Alitalia, come molte altre grandi aziende in crisi (Telecom, Ilva e per altri versi Fiat), vive una crisi strutturale derivante dalla liberalizzazione dei mercati, aggravata da scelte industriali sbagliate ormai da decenni.
La storia di Alitalia è stata la storia del trasporto aereo italiano ma oggi è l’intero settore a pagare con oltre 10.000 lavoratrici e lavoratori sopravvivono grazie agli ammortizzatori sociali, con migliaia che hanno perso il lavoro o lo perderanno nei prossimi anni.
Da Meridiana alle società di gestione aeroportuale, dai servizi all’indotto: tutti pagano gli sbagli di una classe politica e gruppi dirigenti che negli anni hanno dissipato una ricchezza enorme dei lavoratori e del paese.
USB da anni sostiene che l’affermazione di privatizzazioni e liberalizzazioni dei cieli avrebbe visto Alitalia e il trasporto aereo italiano soccombere e che la soluzione passava assolutamente attraverso un intervento importante dello Stato sia in termini di assetto societario, sia di e di indirizzo delle politiche del settore.
Avevamo gridato inascoltati che l’Alitalia avrebbe dovuto fare massa critica, anche a livello societario, con altri vettori aerei e che l’intero paese avrebbe dovuto sostenere e sfruttare le potenzialità delle aziende del settore per sviluppare il turismo, i servizi e l’economia.
Per primi avevamo indicato nelle Ferrovie dello Stato, nelle Poste Italiane e in grandi Tour Operator i partner esterni che avrebbero potuto contribuire economicamente e soprattutto avrebbero costituito una rete pubblica di vendita di offerta turistica e di intermodalità nei trasporti: ci presero per matti o sognatori di scenari impossibili!
Da tempo immemorabile per noi l’ipotesi percorribile per le alleanza internazionali, assolutamente indispensabili, doveva essere preceduta dalla costruzione di un forte polo nazionale e far leva sulla complementarietà delle reti e delle flotte. Quindi esprimemmo la preoccupazione che allearsi con vettori “forti e vicini” avrebbero portato non allo sviluppo armonico dell’alleanza ma, al contrario, al solo drenaggio di passeggeri dal ricco mercato del nostro paese verso aeroporti non italiani per portarli in tutto il mondo. Effetti: ridimensionamento dell’Alitalia, crisi degli altri vettori minori italiani, crisi delle società aeroportuali italiane, soprattutto dei grandi scali. E’ di fatto ciò che è accaduto in questi anni.
Da sempre diciamo che con lo sviluppo delle compagnie low cost, mai avversate dai governi e dalle istituzioni locali italiane al contrario di quanto fatto ad esempio dai francesi, il mercato di medio e breve raggio sarebbe risultato poco praticabile per una compagnia come Alitalia e che conseguentemente il lungo raggio, cioè i voli intercontinentali e quelli di lunga percorrenza, sarebbero stati e sono ancora quelli sui quali si doveva e si deve puntare.
Nulla di ciò è stato fatto in questi anni e la situazione attuale è disastrosa: taglio di linee, ridimensionamento della flotta di lungo raggio, scelte assurde su aeroporti e strategie, alleanze inutili e spesso dannose, taglio del personale, ridimensionamento dell’intero settore del trasporto aereo.
Oggi la svendita di Alitalia in mani straniere o il mantenimento dell’azionariato raccogliticcio ed assolutamente incapace di gestire alcunché dei “capitani coraggiosi”, accompagnata dall’abbandono dell’intero settore del trasporto aereo, non risolvono assolutamente nulla ed anzi aggravano una situazione già tragica.
Ciò che oggi serve è un intervento diretto dello Stato attraverso la nazionalizzazione della Compagnia e delle altre aziende e vettori del trasporto aereo, l’alleanza industriale con Ferrovie dello Stato che devono rimanere in mano al pubblico, salvaguardando posti di lavoro in tutto il settore.
Serve un piano industriale che ricostruisca la compagnia nell’ambito di un progetto complessivo che ridisegni le politiche dell’intero trasporto aereo, che colpisca l’illegalità di alcune pratiche che favoriscono le compagnie low cost e che punti essenzialmente sui voli intercontinentali stabilendo alleanze internazionali che siano complementari alle caratteristiche della compagnia italiana.
Lo sciopero generale del 18 ottobre parla anche di questo: servono politiche industriali serie e un intervento dello Stato e del pubblico che garantisca occupazione e sviluppo.
Unione Sindacale di Base
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