Il successo delle manifestazioni del 18 e 19 ottobre, lo sciopero generale del sindacalismo di base e la mobilitazione dei movimenti, hanno messo il pepe al … di Cgil-Cisl-Uil. Le “antenne” residue mantenute tra i lavoratori hanno segnalato che il malessere è alto, la situazione difficile, l’incazzatura crescente; e che la forza, l’autocontrollo, il consenso riscosso dalla mobilitazione “di base” trovano spazio infinito tra i lavoratori.
Le due giornate hanno “fatto vedere” che un’alternativa anche sindacale esiste; e che dipende soltanto dai lavoratori rafforzarla, abbandonando le vecchie sigle guidate da “complici” come Bonanni, Angeletti e Camusso.
Ecco dunque che improvvisamente le “dichiarazioni alla stmpa” cedono il passo a uno sciopero. Improvvisato, minimalista, per “non disturbare il manovratore”, ma uno sciopero, ovvero un atto “ostile” (come ha subito lamentato l’ex “primula rossa” della sinistra Pd, Stefano Fassina, oggi vice di Saccomanni all’Economia).
Certo, tutti sanno (o meglio: sapevano) che uno sciopero sulla legge di stabilità (prima si chiamava “legge finanziaria”) è uno “sciopero politico”; perché contesta “oggettivamente” la politica del governo in quanto tale. E certo, uno scioperino di sole 4 ore, con iniziative a livello locale, in una data ancora non decisa ma comunque dentro il mese di novembre, non è proprio il massimo che sindacati davvero preoccupati delle condizioni di lavoro e salariali potrebbero mettere in campo.
Una protesta col silenziatore, insomma. Ma a questo sono stati costretti dai cortei di venerdì e sabato, che hanno messo in piazza un’alternativa vera, credibile, seria, già di massa anche se ancora insufficiente a far cambiare idea ai governanti conto terzi che ci ritroviamo. Sono stati insomma costretti a far vedere che Cgil-Cisl-Uil, fin qui francobollati sul governo e assolutamente immobili, non sono del tutto scomparsi dalla scena politica. Una testimonianza d’esistenza in vita, non un momento di “lotta”.
Prepariamoci dunque a sentire dichiarazioni “più bellicose”, critiche più dettagliate della manovra, magari addirittura qualche velata “minaccia” di prendere iniziative più robuste. Non le prenderanno, non ne hanno alcuna intenzione. Ma se il movimento di questi giorni continuerà a crescere, soprattutto all’interno dei posti di lavoro – lì dove la minaccia del licenziamento ha raggiunto ormai livelli terroristici – allora si apriranno scenari diversi. Che bisognerà saper gestire con radicalità e saggezza.
Sta cambiando il quadro generale, sia a livello economico che politico. Mentre la crisi si aggrava, mentre sta per entrare in vigore quel Fiscal Compact che aggredità la spesa pubblica a botte di 50 miliardi l’anno, mentre il degrado sociale e la povertà contagiano ceti, classi, figure che mai avrebbero immaginato di vedersi precipitate in questa alucinante condizione… e contemporaneamente lo scenario politico perde la “fissità” del bipolarismo fasullo (con Berlusconi o contro) e le “larghe intese” annullano le differenze dentro l’arco parlamentare. E quindi si comincia a intravedere una frattura verticale tra “classe dirigente” in senso lato (sindacati complici compresi) e il “blocco sociale” che ha cominciato a trovare aggregazione il 18-19 ottobre.
Cambia tutto, bisogna saper pensare e agire il conflitto in modo nuovo. La mossa dei “complici” – quattro orette di sciopero, senza manifestazioni nazionali e senza attaccare il governo – puzza di decomposizione. Non hanno capito niente.
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