L’ultimo contratto di settore siglato da Cgil, Cisl e Uil con le due strutture padronali, Assotelecomunicazioni e Assocontact, prevede una sorta di “salario di ingresso” al 60 per cento della paga minima.
Nati impetuosamente agli inizi degli anni Duemila, i call center si sono evoluti confusamente con contratti “selvaggi”. Il call center sembra la catena di montaggio degli anni Duemila. Nel 2006, l’allora ministro del Lavoro, Cesare Damiano, con una circolare riuscì a stabilizzare “circa 24 mila lavoratori”. Lavoro distrutto dal successivo governo Berlusconi. Nel frattempo si è ampliato il fenomeno di delocalizzazione alla ricerca del costo del lavoro più basso. Fino a scoprire che quel costo si può ridurre anche qui. Ma per potervi accedere i collaboratori dovranno sottoscrivere “un atto di conciliazione individuale conforme alla disciplina prevista dagli articoli 410 e seguenti del Codice di procedura civile”. Si tratta della rinuncia a diritti pregressi che non vengono nemmeno specificati.
L’altra ciliegina finale l’ha messa la Fornero con la sua riforma. Senza contare poi la pressione derivante dai rigidi sistemi di controllo esercitati sui lavoratori ai quali si aggiungono una serie di problematiche legate ad aspetti di salute psicofisica, indotti dalla monotonia e ripetitività dei compiti, dalla intensità dei ritmi, dalla saturazione dei tempi, dal self-control richiesto nelle relazioni con il pubblico.
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