Anche quest’anno, e più dello scorso, per moltissimi lavoratori italiani il Natale segnerà la fine del loro rapporto di lavoro. Tra le varie ‘aziende’ in crisi c’è anche lo Stato, che ha deciso di tagliare pesantemente i lavoratori precari che da decenni si occupano delle sempre più disastrate scuole italiane e che ora rischiano il licenziamento o, nella migliore delle ipotesi, di ricevere uno stipendio pari al 25% di quello non certo da nababbi che percepiscono ora. I dipendenti a rischio sono ben 25 mila addetti alle pulizie.
Nel 1999, la legge 124 stabilì che dal 1° gennaio del 2000 il personale dipendente dagli enti locali dovesse passare allo Stato grazie alla cosiddetta “riforma Bassanini” (PD). Dei 25 mila addetti a rischio licenziamento circa 8.500 erano alle dipendenze di cooperative sociali messe in piedi da comuni e province per dare loro un reddito appena in grado di garantire un livello minimo di sostentamento; gli altri 17mila facevano parte di consorzi nazionali. Quando avvenne il passaggio allo Stato, il ministero dell’Economia finanziò il tutto con 540 milioni di euro. Ma contemporaneamente accantonò nella scuola quasi 12mila posti di collaboratore scolastico sostituiti nella sola mansione delle pulizie dai 25mila pulitori delle cooperative e grandi imprese di pulizia. Poi arrivò il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini che operò un primo taglio di 150 milioni portando lo stanziamento a 390 milioni l’anno.
Nelle scuole, la mansione delle pulizie è affidata ai bidelli che svolgono anche la vigilanza degli alunni. Mentre i “pulizieri” si limitano a mantenere puliti i locali. Le regioni con il maggior numero di addetti sono Campania, Lazio, Puglia e Sicilia che da sole assorbono il 62 per cento di tutti i pulitori presenti nelle circa 8mila scuola italiane. Adesso, però, in tempi di tagli ordinati dalla troika il governo vuole ridurre di nuovo lo stanziamento a quello strettamente legato al risparmio degli 11.857 posti di bidello accantonati nell’organico nazionale dei collaboratori scolastici: cioè, 288milioni di euro. In questo modo l’orario di lavoro per 8.500 pulitori provenienti dagli enti locali verrebbe ridotto da 24 a 6 ore settimanali, e per tutti gli altri da 35 a 15. Nel caso – assai difficile – in cui le cooperative non volessero licenziare nessuno, dovrebbero ridurre gli stipendi del 75% ai primi e del 60 ai secondi. Un vero e proprio massacro. E i contratti scadono per tutti il 31 dicembre.
Così da alcuni giorni migliaia di ex Lsu ed Lpu sono sul piede di guerra, e ieri hanno scioperato insieme all’Unione Sindacale di Base. Stamattina, nonostante il divieto della polizia, a centinaia si stanno dirigendo verso Palazzo Chigi. “La decisione del Governo e del Ministero per l’Istruzione di affidare l’appalto tramite gara CONSIP con ribassi fino al 70% nell’immediato ha provocato l’invio di 22.000 lettere di licenziamento da parte dei vecchi aggiudicatari, ma soprattutto non garantisce né la riassunzione di tutti i lavoratori né le condizioni, già gravose, di lavoro e di salario, con un taglio netto di circa il 50%, che a fronte di stipendi non superiori ai 900/1.000 euro, significano la miseria più nera” denuncia in un comunicato il sindacato conflittuale secondo il quale “l’assunzione diretta di 22.000 lavoratori avrebbe consentito un risparmio non inferiore ai 60 milioni annui di euro – dichiara Paolo Sabatini dell’Esecutivo Nazionale USB – che in tempi di spending review non sono proprio da buttar via, a meno che ideologicamente si preferisca far pagare solo a lavoratori incolpevoli il peso di scelte passate sbagliate e la necessità di stare dietro ai diktat della BCE e dell’Unione Europea”.
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