Sale ogni giorno di tono lo scontro interno alla Cgil, con Maurizio Landini – segretario generale della Fiom – all’attacco della segreteria confederale. Un crescendo di accuse che sconta la difficile posizione in cui lo stesso Landini ha cacciato se stesso e i metalmeccanici; prima approvando, sia pure senza entusiasmo, l’”accordo interconfederale sulla rappresentanza”, e poi rigettandone in toto i cosiddetti “regolamenti applicativi”.
Solo allora, del resto, sembra sia stato messo nero su bianco che l’autonomia contrattuale delle singole categorie veniva cancellata da un “organismo arbitrale” composto dalle segreterie confederali e Confindustria; difficile da credere, anche se Camusso si è spesso dimostrata “capace di tutto”. Un modo per nulla elegante e parecchio minaccioso, comunque, di introdurre meccanismi capaci di evitare altri conflitti stile Pomigliano 2010.
Su questo punto Landini ha evidentemente ragione da vendere, ma sono molti altri i punti “chiaramente incostituzionali” dell’accordo sulla rappresentanza, a cominciare dalla restrizione della titolarità a trattare ai soli sindacati che firmano l’accordo stesso. Un modo per impedire, teoricamente per sempre, che altri sindacati possano affacciarsi sulla scena e praticare il normale conflitto capitale/lavoro su basi diverse da quelle lì “inchiavardate”. Ma soprattutto di eliminare la libertà costituzionale di ogni singolo lavoratore a scegliersi il sindacato che preferisce o formarne un altro. I sindacati di base, ed anche l’opposizione interna alla Cgil, hanno fin dall’inizio indicato con molta chiarezza tutte queste ed altre “criticità” assolutamente negative e, appunto, incostituzionali.
Ma torniamo a Landini e alle sue accuse, fatte pubblicamente al congresso dei delegati dell’Emilia Romagna.
“Se non vogliamo far degenerare il congresso della Cgil bisogna sospenderlo e fare una consultazione vera sugli accordi”, a cominciare ovviamente da quello sulla rappresentanza. “Per me non è in discussione il segretario generale della Cgil, è in discussione la politica e le scelte che la Cgil fa. Questa personalizzazione è una sciocchezza e rischia di essere fuorviante rispetto a quello che si sta discutendo”. Sul piano astratto può essere anche vero; ma su quello politico-sindacale va da sé che la sfiducia in una politica sia una esplicita sfiducia in un intero gruppo dirigente che l’ha elaborata, primo fra tutti il segretario generale Susanna Camusso.
I congressi locali e di categoria – in preparazione di quello nazionale, previsto in maggio – sono infatti già iniziati. E tutti gli iscrittti stanno discutendo sulla base di documenti congressuali che non possono nemmeno far menzione dello stravolgimento “normativo” contenuto nell’accordo sulla rappresentanza. Insomma: di che cavolo stanno discutendo – teoricamente – oltre cinque milioni di iscritti? Di un mondo che non esiste più?
Entra dunque in ballo sia una questione di contenuto (il merito dell’accordo) che di metodo democratico.
La proposta di fermare i congressi e confrontarsi – nelle categorie e nel Direttivo Nazionale – sul merito dell’accordo è dunque una priorità assoluta, che richiede una “risposta immediata”. Perché “La democrazia è lo strumento che ci deve consentire di risolvere le questioni quando abbiamo idee diverse”. L’eventuale (molto più che probabile, secondo noi) diniego “sarebbe un errore e una responsabilità politica grave quella di non fermare la macchina adesso”. “La firma deve essere ritirata e sospesa in attesa che i lavoratori si pronuncino e confermata o no a seconda di come si esprimono. Mi sembra una cosa facile e democratica”. Per un motivo in parte già spiegato: “Quello che è stato firmato non è un regolamento attuativo, ma è un nuovo accordo. Il fatto di decidere le regole in questo modo è una cosa antidemocratica, se lo fa la Cgil siamo ad un cambiamento della natura della nostra organizzazione”.
Le nuove regole sulla rappresentanza, infatti, conducono a una nuova “concezione proprietaria dei diritti sindacali, di fatto limitando le libertà sindacali anche in contrasto con la recente sentenza della Corte costituzionale sulla Fiat”. Si tratta in pratica della stessa critica avanzata, con maggiore ricchezza di argomentazione, dai sindacati di base e dal documento congressuale alternativo “Il sindacato è un’altra cosa”. Ci avesse pensato prima, sarebbe stato un altro congresso…
Sul piano del metodo, per Landini “Non è comprensibile che tutto ciò sia avvenuto senza mettere le categorie nella condizione di poter conoscere, discutere e decidere prima di arrivare alla firma. Se l’accordo sulla rappresentanza non viene sottoposto al voto di tutti i lavoratori o almeno degli iscritti Cgil, la Fiom non si sente vincolata dal voto” del direttivo nazionale (che l’ha approvato a maggioranza, ma dopo la firma; un caso eclatante di “golpe” interno alla stessa Cgil).
Poco prima, a Bologna, il segretario della della Fiom emiliana, Bruno Papignani, aveva sotterrato di critiche Susanna Camusso: “Con l’accordo del 10 gennaio e con il suo atteggiamento, noi dovremmo dire che la nostra segretaria è inadeguata al ruolo che ricopre”. Il lunghissimo applauso scoppiato a quel punto dà il senso di un distacco quasi incolmabile tra i metalmeccanici e il vertice confederale. E ancora: “Nella Cgil non c’è democrazia. Penso che neanche Kim Il-Sung usasse forme di democrazia così apertamente fallaci. Abbiamo raggiunto il punto più basso della storia della Cgil per assenza di democrazia interna”. E in chiusura: “Il gruppo dirigente della Cgil non ha più regole ed usa quelle che gli fanno più comodo”. Craxianamente…
Dopo discorsi così, in una organizzazione di quelle dimensioni, non ci dovrebbe essere più margine per procedere unitariamente. Se le parole avessero il senso che hanno, da qui al congresso nazionale la Fiom – o almeno i tre quarti dei metalmeccanici, quelli che si riconoscono in Landini – dovrebbero preparare l’assalto al vertice per “conquistare la maggioranza” in Cgil, e quindi schierarsi apertamente all’opposizione, oppure preparare le valige per andare altrove (magari a fondare un nuovo sindacato, visto che lo stesso Landini ha ricordato spesso come sia stata la Fiom a fondare la Cgil, non viceversa). In fondo esistono altri sindacati, la cui forza sociale va crescendo anche grazie a consistenti abbandoni della Cgil.
Ma “l’anima Pci” di cui sono intrisi sia il reggiano Landini che molti dirigenti della Fiom (a partire dall’ex segretario generale Gianni Rinaldini) ci costringe a ritenere che questa eventualità – auspicabile, perché scompaginerebbe molto nell’assedio neoliberista e confindustriale al lavoro dipendente – non sia alle viste. Lo sa anche l’ex craxiana Camusso, che conta proprio su questo anacronistico “limite nel dissenso” di scuola Pci per accerchiare e poi disperdere la “fronda” resistente.
A meno dunque di non veder scendere in campo una “nuova logica”, ci sembra purtroppo di poter dire che, dopo molto battagliare e accusare, la segreteria Fiom “accetterà” il verdetto del Direttivo e del congresso nazionale. Autocondannandosi così all’emarginazione individuale dei dirigenti e dei delegati che stanno ora dando battaglia dentro la Cgil. Un danno considerevole, perché rischia di disperdere nel nulla un patrimonio di militanza e conflittualità che ha una lunga, e spesso gloriosa, storia.
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