Violenta irruzione dei poliziotti in un plesso scolastico occupato da alcune lavoratrici che stavano protestando per la riduzione dell’orario di lavoro e dello stipendio. Per il sindaco di Pomezia Fabio Fucci del Movimento 5 Stelle lo sgombero è stato “assolutamente pacifico”. La Cgil, invece, parla di “gravissimo atto di violenza”. Sullo sfondo, 25 mila posti di lavoro a rischio in tutta Italia.
La signora Serena ha 56 anni e lavora come addetta alle pulizie in un plesso scolastico. Ieri, per la prima volta, ha conosciuto la polizia. Sono venuti a prendere proprio lei. Con le sue colleghe tre giorni fa aveva occupato la scuola Trilussa di Pomezia (Roma) per difendere il posto di lavoro messo a rischio da una gara di appalto nazionale che taglia del 40% stipendi che sono già sotto la soglia di povertà. La signora Serena sa di aver compiuto un gesto in qualche modo estremo, occupare una scuola, ma lo ha fatto, dice, “perché devo vivere”. La sua non è una battaglia isolata. Da mesi è aperto un confronto con il ministero dell’Istruzione per affrontare il problema degli addetti alle pulizie scolastiche (ex Lsu). Sono cinquemila lavoratori solo nel Lazio e venticinquemila in tutta Italia.
“Avevamo già deciso di abbandonare la scuola quando alle 7 del mattino sono arrivati. Hanno spaccato il cancello e sono entrati come delle furie, erano avvelenati, ci rincorrevano e noi per la paura siamo scappate sul tetto. Le mie colleghe gridavano, un poliziotto mi ha sbattuto a terra, una mia collega è stata presa per il collo e sbattuta contro il muro, poi è stata ricoverata al pronto soccorso. Un’altra, mentre la stavano trascinando, ha sbattuto la testa ed è svenuta, credevo fosse morta, abbiamo chiamato l’ambulanza. Non ci hanno nemmeno chiesto di uscire, bastava dirlo con il megafono, è uno schifo, non credevo che arrivassero a tanto, siamo donne e ci hanno trattate come gli ultras negli stadi. Tremo ancora”.
Serena guadagna 700 euro al mese per sei ore di lavoro. Vogliono ridurre l’orario ad un’ora e mezza, prenderebbero 200 euro. E le scuole sarebbero più sporche: “Ho dieci aule, in un’ora e mezza non posso farcela”.
Sarà questione di punti di vista, ma per il sindaco di Pomezia Fabio Fucci (5 Stelle) non è successo niente di rilevante. Forse non è abituato a considerare le conseguenze quando la polizia viene schierata contro i lavoratori, eppure in questi mesi proprio il suo movimento aveva chiesto al governo di regolarizzare i lavoratori delle pulizie nelle scuole. “La lezioni riprenderanno regolarmente — ha replicato alle critiche — la polizia di Stato e la polizia locale mi hanno comunicato che lo sgombero è stato assolutamente pacifico e senza inconvenienti. Sono fiducioso rispetto alle modalità di protesta che i lavoratori metteranno in atto da oggi in poi: è importante che si possa manifestare democraticamente il proprio disagio, ma è altrettanto importante che non si creino ancora situazioni di disagio alle famiglie degli studenti”.
Per Francesca Gentili, segretaria generale della Filcams Cgil di Pomezia, si tratta di un atteggiamento sconcertante: “Gli abbiamo chiesto di prendere le distanze dall’operato della polizia e non ci ha ricevuto, il giorno prima dà la solidarietà ai lavoratori e poi non ha nulla da dire sull’operato della polizia”. Ancora più dura la replica di Vittorio Pezzotti, il segretario generale della Filcams Cgil di Roma e del Lazio che parla di gravissimo atto di violenza. Ne ha anche per il sindaco: “Oltre ad aver chiesto l’intervento della forza pubblica, ha invitato le lavoratrici a cercarsi un avvocato annunciando che procederà a denunce. In una fase così difficile e delicata non abbiamo bisogno di sceriffi improvvisati, ma di un più alto senso di responsabilità soprattutto in chi ricopre cariche pubbliche”.
Poi l’appello al governo per internalizzare i lavoratori delle pulizie, perché ci sono altre 25 mila persone come Serena che rischiano di lavorare per duecento 200 al mese. Come se 700 non fossero già una ragione sufficientemente valida per alzare il tiro di qualunque rivendicazione (polizia permettendo).
Fonte: Il Manifesto del 20 febbraio
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