In corteo dalla fabbrica verso il centro della città di Dongguan, nella provincia del Guangdong (sud della Cina), verso i palazzi del governo, e improvvisamente l’attacco della polizia, in assetto antisommossa. Loro sono i lavoratori della Yue Yuen Industrial (Holdings), in Cina, che produce scarpe per i più grandi marchi mondiali. Sono in sciopero da ieri – non è la prima volta – per rivendicare aumenti di salario, migliori contratti, il pagamento delle assicurazioni, della previdenza sociale e alloggi come previsto dal contratto (alcuni lavoratori non hanno mai ricevuto né alloggi né pasti gratuiti, nonostante il contratto lo prevedesse). E quando in Cina a incrociare le braccia e bloccare la produzione sono le migliaia di lavoratori della Yue Yuen che produce scarpe per Nike, Reebok, Asics, New Balance, Puma, Converse, Salomon e Timberland e che ha fabbriche in Cina, Indonesia, Vietnam, Stati Uniti, in Messico e altrove in Asia … i vari committenti-padroni cominciano a preoccuparsi. “Questa è una lezione costosa alle multinazionali che ignorano i diritti dei lavoratori”, ha dichiarato un lavoratore all’agenzia Reuters. Appunto. Perché alla Yue Yuen, che impiega di circa 60mila lavoratori, parliamo di questi numeri: 300 milioni di paia di scarpe prodotte lo scorso anno, equamente diviso tra Cina, Indonesia e Vietnam, per un utile netto di 434,8 milioni di dollari nel 2013.
Gli operai della Yue Yuen avevano scioperato già il 5 di aprile, poi dopo il blocco dei negoziati con l’azienda le proteste sono riprese più forti di prima fino ad arrivare allo sciopero di ieri, 14 aprile, che probabilmente – come riportano i media cinesi – rappresenta uno dei più grandi scioperi dei lavoratori cinesi nella storia recente. Al centro della protesta, oltre alla richiesta di migliori condizioni di lavoro e di contratto, il pagamento delle assicurazioni e della previdenza sociale. Richieste che l’azienda ha respinto.
I lavoratori, che provengono per lo più da altre province della Cina, secondo le leggi cinesi non possono trasferire in un’altra provincia la loro assicurazione, pagata in parte da loro e in parte dall’azienda, a meno che non venga pagato un supplemento. L’azienda però non ne vuole sapere di pagare.
Negli ultimi 10 anni il China Labor Watch ha condotto più di 400 indagini in altrettanti siti industriali senza aver trovato una fabbrica che rispettasse la legge cinese per quanto riguarda le assicurazioni. Un “problema” di vecchia data, dunque, con la consapevolezza dei lavoratori invece che cresce e una protesta che si allarga e si diffonde. Gli ultimi scioperi a Yue Yuen si aggiungono infatti all’ondata di scioperi degli ultimi mesi in Cina, che hanno riguardato i lavoratori di multinazionali come Wal-Mart Stores Inc., Nokia, e International Business Machines Corp. e Samsung, che dopo (gli scioperi), è stata costretta ad aumentare i salari.
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Mario
Data la rapida estensione delle proteste contro la Yue Yuen dal Guangdong al Jiangxi, Pechino ha una ragione in piu per velocizzare il processo di riforme.