Da un po’ di tempo stiamo assistendo ad una farsa sindacale riguardo alle aperture dei negozi e centri commerciali nei giorni festivi. Si tratta della (presunta) contrarietà da parte di Cgil-Cisl-Uil alle aperture in queste date. Contrarietà che tra l’altro non si esprime allo stesso modo in tutti i territori, visto che in alcune realtà non viene fatta alcuna opposizione, in altre realtà mettono in piedi iniziative inutili tipo “La festa non si vende”, in altre ancora vengono fatte indizioni di sciopero.
Ma in nessuna realtà vengono dette le cose come stanno veramente, ossia che il lavoro nel giorno rosso di calendario non è obbligatorio. Lo sciopero quindi non ha alcun senso, semplicemente perché l’ordine di servizio obbligatorio da parte di una qualsiasi azienda a un lavoratore è illegittimo, ragion per cui il dipendente può non presentarsi al lavoro non rischiando alcuna sanzione e vedendosi comunque pagata quella giornata che, lo ricordiamo, i Ccnl definiscono come “giornate che devono essere retribuite” (intendendo che sono pagate a prescindere dal fatto che il dipendente lavori o meno, e a prescindere addirittura dal fatto che il negozio sia aperto oppure no). Con una indizione di sciopero quindi, il lavoratore in busta paga dovrebbe trovare semmai sia la trattenuta per la giornata lavorativa non svolta, sia la stessa giornata pagata ugualmente! Invece in questo modo Cgil-Cisl-Uil cercano di rendere implicitamente obbligatorio il lavoro festivo, legittimandone l’imposizione proprio con quella indizione di sciopero.
Non solo, sono sempre più frequenti i casi in cui Cgil-Cisl-Uil firmano accordi integrativi aziendali con i quali “salvano” alcune date festive “più importanti” ma allo stesso tempo rendono obbligatorie tutte le altre. Una vera e propria divisione tra festivi di serie A e festivi di serie B che l’ordinamento e i Ccnl non prevedono ma che viene letteralmente inventata da Cgil-Cisl-Uil.
C’è infatti un aspetto fondamentale che viene omesso in questo tipo di accordi che vengono spacciati per migliorativi (e invece non lo sono affatto, anzi sono peggiorativi): i Ccnl (sia Commercio che Distribuzione Cooperativa, i due principali del settore) dicono chiaramente che “le festività che dovranno essere retribuite sono quelle appresso indicate”, e poi segue l’elenco dei festivi (TUTTI i festivi, non festivi di serie A e festivi di serie B). Con ciò si intende che, in quei giorni, io lavoratore sono retribuito anche se non lavoro, e soprattutto sono retribuito anche se il mio negozio dovesse scegliere di rimanere chiuso (!).
Quindi non esiste esigibilità per alcun giorno “rosso di calendario”, proprio perché, se non mi presento al lavoro, l’azienda quel giorno me lo deve retribuire lo stesso per contratto. Qualsiasi accordo che renda “esigibili” i festivi altro non è dunque che una deroga (in peggio) al Ccnl, perché in sostanza sottrae ai lavoratori uno storico diritto retributivo acquisito (ossia il pagamento della giornata festiva, a prescindere dal fatto che in quella data il dipendente lavori oppure no). E infatti l’articolo successivo dei Ccnl (sempre sia Commercio che Distribuzione Cooperativa) fornisce una ulteriore conferma, specificando che le ore di lavoro, a qualsiasi titolo richieste, prestate in quei giorni debbano essere retribuite come lavoro straordinario festivo. Perché essendo facoltativo, l’unica gestione possibile e giusta è appunto quella che prevede l’erogazione dello straordinario.
Smascheriamo gli imbroglioni e non facciamoci prendere in giro. La festa non si vende, ma per davvero.
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