E’ tutta contenuta nel nuovo d.l. 90/2014, all’art. 4 sulla mobilità obbligatoria, l’ennesimo cappio al collo che riguarderà in particolare i lavoratori e le lavoratrici delle province. Ai guasti già prodotti dalle norme sul riordino delle autonomie locali e ai tagli prodotti dal D.L.66/2014 – aggiuntivi rispetto a un triennio di manovre finanziarie da economia di guerra – si approssima il redde rationem per posti di lavoro e salario del personale provinciale.
Già da tempo nei consessi istituzionali si era andata profilando l’ipotesi della mobilità coatta dei dipendenti provinciali verso i tribunali e già lo scorso anno era stato avviato un primo bando di mobilità rivolto però solo al personale dei ministeri: con le nuove norme diventa certezza l’intenzione di avviare un esodo di massa dagli enti provincia in via di estinzione, ai tribunali privi di personale nelle cancellerie (cfr. Corriere della Sera in data odierna a pag. 11).
Non avevamo dubbi che anche quelli che potevano sembrare strenui difensori dei lavoratori ce li siamo persi lungo la strada. Cominciando da cgil, cisl e uil che sottoscrissero un accordo il 19 novembre 2013 con l’allora ministro Delrio, a loro dire foriero di vantaggi e tutele contrattuali e retributive per i lavoratori delle province, che andavano scomparendo dal nostro ordinamento.
Una prima crepa si è aperta con l’approvazione delle norme di riordino delle province (tra le altre cose) finite nella legge 56/2014, ma ora la crepa rischia di divenire una vera e propria voragine visto che il decreto ministeriale, che conterrà la tabella di equiparazione tra personale proveniente da amministrazioni e comparti differenti, non prevede alcuna forma di confronto sindacale, né tutele legate a situazioni specifiche (maternità, disabilità, etc.)
Per quanto blanda sia stata la resistenza di cgil, cisl e uil all’affossamento di fondamentali diritti del lavoratore negli ultimi 30 anni, potevano tuttavia apparire agli occhi dei lavoratori come utili deterrenti, ma invece, a leggere il loro recente documento dedicato alla riorganizzazione delle autonomie locali, sembrano aver del tutto introiettato il pensiero unico proposto oggi dal Governo Renzi.
Stesso dicasi per l’UPI che già all’indomani dell’approvazione della legge di riordino spense gli ardori del suo presidente (ora assessore regionale alla sanità del Piemonte) e dimenticò per sempre i proclami enunciati di fronte ai lavoratori chiamati a difendere le province nel “lontano” 5 Novembre 2013.
Sappiano quindi i lavoratori che la sola battaglia oggi possibile passa attraverso la USB. E riguarda tutti: lavoratori di ruolo, precari, dipendenti delle ditte in appalto o delle società partecipate, come abbiamo messo bene in chiaro con lo sciopero delle funzioni pubbliche dello scorso 19 Giugno. La nostra battaglia continua e chiameremo ancora a raccolta i 56.000 dipendenti delle Province con assemblee regionali già nel mese di Luglio per poi dar vita ad una assemblea nazionale (con le ipotesi di lavoro scaturite dai lavoratori stessi) nel corso del mese di Settembre.
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