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Fabbriche senza padrone


Vuoi spiegare le motivazioni e i passaggi per cui è stata chiusa l’azienda in cui lavoravate, la Evotape? Quando la fabbrica ha chiuso aveva commesse e lavorava a pieno regime, no?

In breve: la fabbrica chiude a gennaio 2011, pur con ordini per milioni di metraggio di nastro adesivo da produrre. I problemi veri, infatti, non erano la mancanza di commesse, ma iniziano quando Manuli vende alla multinazionale americana Tycoh che in breve tempo fallisce, sull’onda del più famoso fallimento della Enron. Dopo il fallimento della Tycoh, la nostra azienda è passata di mano da una scatola cinese all’altra, fino alla cessazione della produzione del 2011. Con una bancarotta fraudolenta, perché di questo si tratta, evitata solamente con un concordato preventivo, possibile perché figurava come proprietario un prestanome, che era un uomo talmente vecchio da non poter andare in galera… Comunque diciamo che tutto questo, ormai, non è più importante. E’ importante, invece, che un gruppo di lavoratori abbia deciso di organizzarsi in cooperativa per riaprire la fabbrica, evitare che tutta questa struttura non andasse al macero.r

Da dove è nata l’idea di autogestire lo stabilimento?

Allora, partiamo da un fatto: l’azienda non è stata chiusa per mancanza di commesse o per altro che ne decretasse lo stato di crisi, è stata fatta fallire per la guerra economica, per interessi che stavano fuori da questa fabbrica. Ma ci siamo accorti subito che, al di la delle chiacchiere, non sarebbe arrivato un “principe azzurro” a rilevare l’azienda. Parliamoci chiaro: lo stabilimento era stato abbandonato, l’azienda era denigrata, era vecchia, è vicina al sud, con un amministratore delegato che si era prestato a manovre “sporche”… con la crisi che c’è, chi si sarebbe rimboccato le maniche per bonificare uno stabilimento come questo, per rifarne un’immagine e ricreare tutta una serie di strutture? Lo sapevamo che non sarebbe arrivato nessun compratore, nessun principe azzurro… perché solo chi conosce lo stabilimento è in grado di capirne le potenzialità. E noi abbiamo deciso di costituire una cooperativa! Abbiamoespugnato la fabbrica, con tutte le carte in regola, con tutte le cose apposto.

Noi conosciamo le potenzialità di questo posto.. solo il reparto taglio ha dimensioni enormi, così come il magazzino… è difficile trovare fabbriche di nastro adesivo di queste dimensioni, con questi spazi…

Noi ci siamo messi in gioco e ci siamo costituiti con le regole del gioco, con le regole di mercato; sapendo però che non vogliamo appartenere a quelle regole perché rispondono solo al dio profitto; per noi invece, sopra a tutto ci sta il rispetto di chi lavora.

Non è stato semplice…Cioè non si è trattato solo di formare la cooperativa e prendere possesso dello stabilimento…

Siamo in una zona dove la parola cooperativa mette paura. Comunque abbiamo fatto assemblee, decine e decine, per far capire l’importanza di questa scelta, siamo usciti sui giornali, sono venuti gli esperti di cooperative… e alla fine però non potevamo più aspettare e siamo partiti, tutto a norma di legge. Io ho chiesto un po’ di aiuto in giro, per vedere di dargli un’ossatura. Ad esempio, l’amministratore strategico è lo stesso che era l’amministratore della fabbrica ai tempi della Manuli, un esperto di produzione di nastro adesivo, amministratore di 4, 5 fabbriche nei tempi addietro. Siccome io ho avuto modo di conoscerlo quando lui era amministratore qui, lui ci è rimasto molto legato e ci ha dato una mano, cioè si è messo proprio lui, perché noi abbiamo dovuto presentare un progetto industriale strategico al giudice, per poter riaffittare lo stabilimento anche se, siccome l’intenzione era quella di smembrarlo, abbiamo dovuto addirittura occuparlo, ad un certo punto. Noi abbiamo presentato una richiesta di locazione e affitto dei macchinari al giudice, con tutte le carte in regola. In sostanza la nostra è stata come una richiesta di una new. co. Tuttavia la curatela fallimentare tentennava. Per questo abbiamo dovuto forzare la situazione e occupare lo stabilimento. Poi abbiamo avuto la fortuna che una deputata originaria di Gaeta, Melchiorre, ha fatto pressioni sulla Prefettura per analizzare le nostre proposte.

Ti interrompo, ma non pensi che, più che l’interessamento della Melchiorre ad aver fatto la differenza, sia stato il fatto che avete occupato la fabbrica?

Ma certo, questo è sicuro! L’occupazione dello stabilimento è stata la molla da cui è scaturito tutto!

Poi ci siamo dedicati a creare la rete per rendere possibile la costruzione della cooperativa e, soprattutto, dovevamo creare una mentalità differente. Questa è la più grande cosa su cui ancora oggi stiamo lavorando: le regole sono le regole, siamo una cooperativa, però ci dobbiamo comportare da azienda, perchè non siamo una cooperativa di 5 persone; siamo tutti uguali quando andiamo in assemblea, un voto vale uno, dice Grillo, però poi esistono le regole, esiste il responsabile, esistono i preposti, i capi-reparto. Noi qui ci siamo organizzati come un’azienda: abbiamo un dottore incaricato delle visite mediche, il dottore D’Acunto di Rifondazione, abbiamo due ingegneri incaricati come responsabili esterni; stiamo recuperando tute antincendio, stiamo attrezzando gli armadi dei soci, così come previsto dalla legge. Adesso deve partire la segnaletica nei reparti… Cioè ti devi organizzare per fare una cosa come questa. Noi siamo riusciti a rompere questo muro consapevoli che c’è una situazione economica difficile, non c’è una grande crescita a livello industriale. Il tutto però è basato sulle regole ed è basato sul rispetto: cioè qua i lavoratori devono stare nelle migliori condizioni. Io ho fatto fare due sale mensa perchè non si mangia nei reparti o negli uffici, si mangia in sala mensa, igienicamente, con i frigoriferi, i microonde, ecc.. Adesso poi ci stiamo attrezzando: bagno per i camionisti che vengono, uomo e donna, le docce… però ci vuole un po’ di tempo. Dobbiamo dare rispetto ai lavoratori, perché è la cosa più importante. Dopo 36 anni di sindacato penso che il rispetto e la dignità del lavoratore vengano prima di tutto. Però per funzionare ci vogliono regole, perché senza regole non possiamo fare niente.

In quanti siete?

In origine eravamo 400 dipendenti, fino ad arrivare a poco meno di 200, compresi quelli delle ditte esterne, nel periodo della chiusura. Adesso, soci della cooperativa, siamo in 53.

La produzione è ripartita?

Sì, sì, Siamo in produzione, ma non a pieno regime. Il nostro stabilimento ha un’elevata capacità impiantistica e lo si può utilizzare a diversi livelli. E’ che non abbiamo le persone per far funzionare l’intero stabilimento. Se mettessimo in funzione l’intera azienda dovremmo assumere e allo stato attuale non ce la facciamo. Non ci siamo potuti prendere pezzi di stabilimento che poi necessitano di dieci, quindici milioni al mese di materie prime per funzionare. Bisogna poi considerare che siamo una fabbrica che viene da un fallimento e come tali veniamo visti sul mercato.

Prima della chiusura della vecchia azienda facevamo il ciclo produttivo dall’inizio alla fine: dalla lavorazione della materia prima alla produzione del nastro adesivo. Oggi se volessimo fare tutta la produzione ci occorrerebbero almeno 30 o 40 milioni di euro per acquistare la gomma e il resto delle materie prime. I fornitori vogliono pagamento cash conta poco che siamo persone apposto e ci siamo costituiti in cooperativa. Senza contare che a prodotto finito il pagamento avviene a sessanta, novanta giorni di distanza. Insomma non è possibile per noi oggi acquistare le materie prime.

Quindi, che parte della produzione svolgete?

La parte finale: compriamo il semilavorato e vendiamo il prodotto finito. Poi abbiamo il reparto stampa per fare i nastri personalizzati e produciamo le anime di cartone, che sono la parte interna del rotolo che può essere personalizzato.

Torniamo un attimo ai soldi, quelli per ripartire dove li avete trovati?

La premessa è che adesso la cooperativa non sta pagando gli operai, tutto si basa per ora sul lavoro volontario e quel che si incassa va a beneficio della cooperativa. Per il reperimento dei fondi ci siamo rivolti al sistema bancario, ma soprattutto abbiamo dato la nostra assistenza ai lavori di bonifica che si dovevano fare qui dentro. La curatela fallimentare ci ha assegnato una parte dello stabilimento. I lavoratori in assemblea hanno deciso di iniziare a lavorare senza trattenere le paghe. Poi abbiamo cominciato a incassare. Adesso ci stanno pagando profumatamente ed è tutto fatturato. Non avevamo la disponibilità di milioni di euro per rimettere in moto alcuni sistemi della fabbrica che pure eravamo bravissimi nel far funzionare, lo Stato non ci ha aiutato. Diciamo pure che alla fine quest’ambiente ce lo hanno affittato a condizioni non proprio favorevoli. Se noi andiamo a vedere la nostra cooperativa paga un affitto annuale di quasi 200.000 euro… Qui potremmo addirittura creare nuovi posti di lavoro….Il problema è proprio questo: siamo 53, non possiamo pensare di fare da soli una struttura per duecento, trecento persone… 

In che senso? In che situazione versa la cooperativa?

Guarda, ci sono fabbriche di nastri adesivi che non hanno neanche gli spazi per girare un autotreno per mettere i container, da noi ce ne vanno quaranta, tutti insieme, girano sempre e non devi spostare niente. Mi capisci a che livello siamo?

La dimensione è intorno ai 100.000 metri quadrati di cui quasi la metà coperti.

Vuoi un esempio? l’ interporto di Gaeta non ha spazi per poter caricare i container, allora il nostro obiettivo è di valorizzare lo stabilimento anche per sopperire alle mancanze dell’ interporto… capito che potenzialità?

Abbiamo per le mani un missile, il più potente d’Europa, che è stato gestito male e la concorrenza teme che noi troviamo un finanziatore, gli facciamo capire l’importanza e le potenzialità dello stabilimento: temevano che lo stabilimento decollasse e per questo progettavano di smontarlo e portarne i pezzi in Serbia. Macchinari d’avanguardia che stavano qui, ad esempio una spalmatrice che stanno comprando le più grandi fabbriche del mondo, la si voleva portare in Serbia. Lì esiste un dazio del 12% sulle merci importate, se tu però fai un accordo con il governo vai a produrre là, apri uno stabilimento, non paghi quel 12%. Penso che già prima che la nostra azienda fallisse c’era l’intenzione di prendere i macchinari e portarli in Serbia: poi è indifferente che producano o meno, al padrone interessa avere questo accordo… Ma per ora è stato sottratto allo stabilimento solo quello che non interessava a noi, ad esempio dei costosissimi solventi e altre materie prime.

Quale è stata la risposta della politica alla vostra iniziativa?

Assenza totale.. e te lo dice uno che ha fatto per 25 anni il segretario di sezione dal PCI fino al PD… Ci chiediamo come mai le istituzioni a livello provinciale, regionale, non vengono a studiare questo modello di questo gruppo di lavoratori che ha bonificato lo stabilimento e lo ha fatto ripartire… Perché la Regione Lazio e la Provincia di Latina non vengono a vedere cosa serve a questi ragazzi che stanno dando un segnale? Occorrono leggi per aiutare gli operai che come noi riaprono le fabbriche. In Argentina, a suo tempo, la riapertura delle fabbriche è stata finanziata dallo Stato.

La vicinanza delle istituzioni non è la solidarietà: noi abbiamo bisogno di fatti concreti. Ai tempi quando io ero del PCI, qua per una ristrutturazione di venti persone venivano settanta deputati regionali…e c’è venuto anche Cofferati. Questa fabbrica veniva chiamata la Stalingrado sindacale d’Italia, la fabbrica dove anche il direttore dello stabilimento era iscritto alla CGIL… Oggi da quando lo stabilimento è entrato in crisi non si è visto un segretario regionale del sindacato e parliamo di una fabbrica che aveva il 97% di iscritti alla CGIL… Ci hanno abbandonato tutti!

Sei d’accordo con me se ti dico che il sindacato, oggi, se vuole avere una funzione deve fare politica: contribuire alla costruzione di un governo del paese che metta al primo posto la creazione e la difesa di posti di lavoro?

Ti dico una cosa, per esempio… l’articolo 18 va bene se stanno in piedi le fabbriche, altrimenti è un falso problema. Perché gli industriali qua non è che licenziano la gente, qua gli industriali chiudono le fabbriche! L’articolo 18 è un diritto e va difeso, ma prima di tutto bisogna riaprire le fabbriche e creare posti di lavoro.

Riaprire le fabbriche e impedirne la chiusura! Sono d’accordo con te. A Firenze il 22 giugno si terrà la seconda assemblea nazionale “Riapriamo le fabbriche creiamo posti di lavoro”. Vi vorrei chiedere intanto se aderite…

Senz’altro diamo l’adesione all’assemblea di Firenze e mettiamo a disposizione i nostri spazi per organizzarne una anche qui! Perchè lo Stato deve aiutarci! Noi stiamo rimettendo in moto l’economia senza l’aiuto di nessuno. Tutto questo è rivoluzionario e andremo avanti. Noi siamo stati qua dentro barricati con la polizia che voleva assaltare… abbiamo dei cannoni che ci danno tremila litri che servivano a far funzionare lo spalmatore, io ho fatto mettere i cannoni qua con una sostanza infiammabile. Ho detto alla polizia: noi non c’arrendiamo e se ci attaccate non pensate che noi ci mettiamo a fare la guerra con voi a bastonate, il nostro cannone arriva fino a duecento metri! Dopo questo evento non hanno più provato a sgomberarci e anzi sono venuti a proteggerci in più occasioni. Ecco, questo per dire che quando alla classe operaia fumano, la classe operaia è invincibile.

intervista realizzata dalla rete “riapriamolefabbriche”

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