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Il feticcio Marchionne travolto dagli operai americani

Bocciata la proposta del sindacato per il rinnovo del contratto

Gli operai delle fabbriche FCA degli Stati Uniti hanno bocciato la proposta di rinnovo del contratto quadtriennale di lavoro presentata dall’UAW e da Marchionne. Una dopo l’altra dalle grandi fabbriche è arrivata la conferma, nonostante l’insistenza dell’UAW di non ammettere la sconfitta. I margini sono rilevanti, dal 72 per cento di no degli operai di linea e al 65 per cento degli specializzati a Sterling Heights (3 mila dipendenti), all’87 e rispettivamente l’80 per cento di Toledo (5 mila dipendenti), al 77 e 65 per cento di Kokomo/Tipton con livelli che acquistano il significato di un’ondata di protesta liberatoria. L’ultima fabbrica, su cui l’UAW contava per evitare la disfatta, è stata Belvidere con 6 mila votanti: 65 per cento no tra gli operai di linea e 70 tra gli specializzati.

 Il contratto avrebbe dovuto introdurre elementi che Marchionne ha definito trasformativi. In realtà la portata trasformativa è nascosta nelle pieghe della proposta, e riguarda i punti sui quali gli operai, nelle assemblee, hanno più insistito: ‘equal work, equal pay’, e ‘alternative work schedules’. Se l’UAW fosse riuscito a mettere una pietra tombale nei termini della proposta su queste due rivendicazioni di fondo, l’una salariale, l’altra relativa alle condizioni di lavoro, il proposito trasformativo di Marchionne si sarebbe realizzato.

 Eguale lavoro, eguale paga è una richiesta pressante. Si tratta di eliminare i due livelli salariali che dividono i “veterans” dai lavoratori “in progression”. Al primo livello i ‘veterans’ assunti prima del 2007 hanno un salario di 28 dollari all’ora; al secondo livello i lavoratori ‘in progression’, 15-16 dollari, per lo stesso lavoro dei veterans. L’accordo bocciato prevede per i primi un aumento del salario del 3 per cento subito e di un altro 3 per cento al terzo anno, più 4 per cento una tantum al secondo e al quarto anno; per i secondi una progressione salariale da 17 a 25 dollari in sei anni.

 La portata trasformativa perseguita da Marchionne e denunciata dai lavoratori, sta nel fatto che la proposta non solo realizza l’obiettivo del salario eguale per eguale lavoro, ma conduce ad un abbassamento generalizzato dei salari, quando i veterans vanno, magari incentivati, in pensione.

 Nell’accordo contrattuale del 2011 questa possibilità era ben presente al sindacato, tanto che per evitarla aveva imposto un limite al numero di lavoratori al secondo livello. Nella proposta di accordo questo limite non c’è più.

 Finora il limite per la Chrysler era del 40 per cento (anche se è giunta al 43). Con questo contratto era previsto che sarebbe stato portato al 25, all’incirca allineato alla Ford e alla GM (29 e 20 per cento). Questo limite già costringe la Ford ad ogni nuova assunzione a passare un dipendente dal secondo al primo livello. Se alla Chrysler fosse stato introdotto il limite di 25, circa 7 mila lavoratori avrebbero dovuto passare al prinmo livello.

 Sul piano salariale ci sono altri problemi irrisolti. Per i lavoratori della Mopar che si occupano dei pezzi di ricambio è previsto un terzo livello slariale, di 22 dollari. Inoltre, non vengono reintrodotti vari elementi salariali aggiuntivi sospesi con gli accordi precedenti, come l’adeguamento del costo della vita, che ora sarebbero assorbiti da premi di produttività commisurati ai margini annuali di profitti realizzati nel Nord America.

 Sul miglioramento delle condizioni di lavoro non c’è traccia nell’accordo. Si dà per scontato l’attuale generalizzato sistema di turnazioni 3-2-120, a proposito del quale nelle assemblee si erano levate proteste: aumenta lo sfruttamento al limite della sostenibilità fisica, e scardina le relazioni sociali fuori dall a fabbrica.

 Le giornate lavorative di 10 ore (più mezz’ora di pausa non retribuita) si succedono su quattro giorni. Nell’arco della giornata due turni su orari complementari, l’uno di giorno l’altro di notte, assicurano l’efficienza continua degli impianti dal lunedì al sabato. Nei due turni tre gruppi di lavoratori realizzano 120 ore settimanali, senza lavoro straordinario. Un gruppo lavora di giorno da lunedì a giovedì, un altro di notte da mercoledì a sabato, un terzo gruppo lavora di giorno venerdì e sabato e di notte lunedì e martedì della settimana successiva. L’orario di lavoro diurno va dalle 6 alle 16.30, quello notturno dalle 18 alle 4.30 del giorno dopo. Alla domenica il lavoro è obbligatorio, ma retribuito come straordinario.

 Quello delle condizioni di lavoro è un punto che il Detroit News del 25 settembre segna tra quelli che hanno generato insoddisfazione. La proposta di contratto infatti non se ne occupa se non per annunciare che il sabato sarà pagato un quarto in più. Viceversa annuncia che commissioni congiunte UAW e FCA verificheranno in ogni fabbrica le condizioni di competitività per migliorare la qualità e l’efficienza, superando nei fatti la divisione di competenze tra ciò che di norma è oggetto del master agreement e rispettivamente dei local agreements a livello di fabbrica.

 L’UAW, a differenza del passato, rinuncia con questa proposta di contratto a negoziare l’assetto produttivo della Chrysler. Marchionne ha promesso investimenti per 5,3 miliardi di lire, ed ha fatto sapere che intende trasferire in Messico la produzione delle autovetture, lasciando agli stabilimenti statunitensi sono suv, pick-up, e jeep. E’ prevista anche una riallocazione di alcune linee di produzione tra questi stabilimenti. Il costo del lavoro nel Nord America si aggira sui 60 dollari all’ora, in Messico è meno di 10. Tutto questo è stato comunicato dall’UAW verbalmente nelle assemblee di fabbrica, e la mancanza di indicazioni contrattuali circa la sicurezza occupazionale sembra, in alcuni contesti, aver pesato non poco sulla decisione di voto.

 Infine c’è un altro grosso tema che desta preoccupazioni. Il passaggio del sistema sanitario dalle competenze dell’azienda a quelle di un costituendo ente mutualistico gestito dall’UAW. E’ una soluzione che dovrebbe rientrare tra i propositi trasformativi di Marchionne. Con una cessione una tantum al neo costituendo ente si libererebbe del peso crescente del sistema sanitario, che attualmente grava sul bilancio aziendale per 600 milioni. L’UAW si troverebbe a gestire il nuovo ente mutualistico su cui dovrebbero confluire i lavoratori occupati di tutte e tre le case automobilistiche di Detroit. Si affiancherebbe all’altro ente mutualistico, noto come Veba, dei lavoratosi in pensione, con l’obiettivo di abbassare i costi degli interventi.

 L’iniziativa è collegata all’entrata in vigore nel 2018 dell’Affordable Care Act con cui Obama ha generalizzato l’assicurazione sanitaria, facendo ricadere l‘onere su coloro che si avvalgono dei cosidetti Cadillac plans, che erogano prestazioni i cui costi sono superiori a 10.200 dollari nel caso di individui e 27.500 nel caso di famiglie. Le eccedenze di costo rispetto a questa cifra sono soggette ad una tassa del 40 per cento, ed è la situazione in cui si trovano i lavoratori Chrysler di primo livello.

 Nel 2013 molti dirigenti sindacali avevano avvertito Obama che la legge, allora in discussione, avrebbe smantellato diritti conquistati dai lavoratori. L’UAW si era invece schierata con Obama. “Cieca ideologia politica”, come venne scritto, o prospettiva di più lungo periodo?

 La costituzione del nuovo ente mutualistico è una delle top priorities del contratto, ha dichiarato Dennis Williams, presidente dell’UAW, al Detroit Free Press il 22 agosto scorso. Con 140 mila lavoratori e d’intesa con l’ente mutualistico dei pensionati che conta 900 mila iscritti, potrebbe comprimere i costi dell’assistenza al di sotto della soglia Cadillac. Lo stesso Williams non è certo di riuscirci, ma per l’UAW è un’altra struttura economica di rilevante importanza, e per Marchionne un modo per liberarsi, con una qualche somma forfettaria ancora non definita, di un costo di 600 milioni che va crescendo. La proposta di contratto è una delega in bianco richiesta ai lavoratori da Marchionne e dall’UAW, che non ha preso in considerazione altre possibili alternative contrattuali.

 Dennis Williams e Marchionne insieme hanno dato l’annuncio dell’intesa contrattuale convocando una conferenza che la stampa ha definito senza precedenti. Hanno dato rassicurazioni circa la soluzione dei problemi di fondo ed hanno riaffermato l’allineamento degli interessi del sindacato e dell’azienda, dando per scontata l’approvazione dei lavoratori. Marchionne ha anche inviato loro un messaggio personale, sottolineando l’importanza di un loro maggiore e più diretto coinvolgimento per la costruzione del comune futuro, confermando in particolare il superamento dei due livelli salariali e il rilievo della costituzione del nuovo ente mutualistico per la salute dei dipendenti.

 Ma la proposta di contratto è bocciata. Che cosa potrebbe succedere? Norwood Jewell, vice presidente dell’UAW che si occupa della Chrysler, aveva detto agli operai: “Sul tavolo non c’erano altro che questi soldi. Se pensate un minuto che Chrysler possa continuare ad investire in questo paese per aumentare i nostri salari così tanto da non poter competere, i conti non tornano”.

 La caparbietà di Marchionne è nota, ed è improbabile che voglia abbassare ulteriormente la credibilità dell’UAW mettendo sul piatto altri soldi. Del resto, “perché dovrebbe aver fretta di sedersi e discutere di un contratto ancora più costoso?” si chiede un analista di Detroit Free Press il 25 settembre. ”Marchionne è ampiamente considerato come un negoziatore scaltro che sa come usare la pressione come leva”. La risposta dimentica che questa volta c’è la possibilità di smuoverlo con uno sciopero. L’ultima volta che i lavoratori della Chrysler hanno scioperato fu nel 2007, ed era uno hollwood strike. L’UAW ha già il mandato per dichiararlo, ma si troverebbe in una situazione davvero imbarazzante, considerata la complessità dei rapporti con Marchionne.

 Potrebbe ancora schierarsi con Marchionne e mantenere in vita l’attuale contratto. Avrebbe il vantaggio di tener legati i lavoratori all’UAW e incassare le loro quote, dal momento che la legge del Michigan e dell’Indiana che hanno recepito il principio del right to work è applicabile solo a partire dal nuovo contratto. Fino ad allora i dipendenti della Chrysler devono, salvo complesse procedure, stare iscritti all’UAW pena il licenziamento.

 L’abbraccio del presidente dell’UAW con Marchionne è stato oggetto di ripetute rappresentazioni. E’ un messaggio dato ai propri iscritti nel tentativo di erigere Marchionne a feticcio, rassicurandolo della capacità del sindacato di mantenere nelle fabbriche la disciplina e di contenere i costi. “Stanno nello stesso letto”, è stato osservato. Ma nell’amplesso con Marchionne l’UAW ha perso il rapporto con i lavoratori.

 

L’amplesso si è stretto il 20 gennaio 2014 quando l’ente mutualistico dei lavoratori pensionati controllato dall’UAW ha venduto alla Fiat il 41,5 per cento della proprietà dell’azienda, che deteneva dal 2009 in base agli accordi legati alla bancarotta. Ha incassato 4,35 miliardi di dollari, meno di quello che aveva fino a quel momento energicamente preteso. Era sembrato un cedimento, in realtà un mese dopo Marchionne ha versato all’ente mutualistico in un’unica soluzione altri 5 miliardi di dollari, quelli che, in base agli accordi legati alla bancarotta, avrebbe potuto rateizzare fino al 2023.

 Con un accordo separato ma contestuale, ha anche garantito direttamente al sindacato, da anni in crisi finanziaria, altri 700 milioni di dollari, in 4 rate annuali di 175 milioni, la prima subito, le altre all’inizio dei tre anni successivi fino al 2017. Come contropartita l’UAW si è vincolata a collaborare con il management delle fabbriche nell’implementazione dei programmi di World Class Manufacturing, partecipando attivamente alle attività collegate di benchmarking e contribuendo al raggiungimento del piano industriale.

 Il rifiuto della proposta di contratto indica che la pace sociale in fabbrica, che l’UAW ha pensato di poter svendere a Marchionne, è un obiettivo socialmente non negoziabile.

 L’ultimo affare che l’UAW ha messo in campo con Marchionne è la creazione del nuovo ente mutualistico. Ma l’intesa tra Marchionne e l’UAW potrebbe non fermarsi qua. Marchionne punta alla fusione con General Motors e l’UAW Retiree Medical Benefit Trust è il più importante investitore istituzionale della General Motors, di cui detiene l’8,9 per cento delle azioni. Non gli è data, in base a vincoli esistenti, la possibilità di agire in favore di Marchionne, ma su Automotive News del 21 settembre è ventilata l’ipotesi che Exor, la finanziaria che possiede FCA, potrebbe acquistarle e farne la punta di diamante per la conquista della General Motors.

* articolo preparato per la rivista Inchiesta e inviatoci dall’autore.

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3 Commenti


  • giorgino

    Doc & Sorry- Sarebbe il caso che i lavoratori fiat in italia ed in usa stabilissero qualche forma di comunicazione, magari a partire dalla organizzazione del lavoro, che è al limite della sopportazione fisica in talia come in usa. Ne può nascere l’idea che se tali rivendicazioni vengono poste negli stabilimentii fiat di tutto il mondo poi è più facile ottenere qualcosa, altrimenti marchionne fa il ricatto di spostare le linee produttive dove i lavoratori sono più arrendevoli, usa messico polonia o italia che sia. Simili iniziative operaie potrebbero riguardare gli stabilimenti di tutte le case automobilistiche ed insistere su tutti gli aspetti contrattuali, tendenzialmente legare sempre più realtà produttive nel mondo. Il capitale ha paura proprio di questo, non potrebbe imporre peggiorementi col ricatto della delocalizzazione. Anche per questo da sempre il capitale cerca di legare gli operai al piano industriale della fabbrica, una sorta di nazionalismo di azienda che appunto segmenta i lavoratori per nazioni e non solo. Questa dinamica è insita nella produzione (competizione tra capitali), i vari nazionalismi la rappresentano sul piano politico.


  • Laura Fiocco

    Concordo con Giorgino sulla necessità di unificare le vertenze sindacali superando i confini statuali. I vincoli più rilevanti sono quelli dati dalle specificità strutturali delle relazioni sindacali nei diversi Stati, ma se ci fosse la volontà politica di superarli si potrebbe trovare almeno il modo di baipassarli.
    Ma il problema vero resta la resistenza pratico-inerte ad ogni mutamento della macchina burocratica delle organizzazioni complesse, quella stessa che sta frenando le istanze di trasformazione interne alla CGIL.
    E tuttavia “s’ ha da fare””, prima che sia troppo tardi.


  • giorgino

    E´ un elemento di interesse la resistenza pratico-inerte ad ogni mutanento della macchina burocratica delle organizzazioni complesse..altrimenti si guarda solo alla complicita di chi e` al vertice dei sindacati concertivi rispetto ai rappresentanti del capitale. Tale complicitä esiste realmente, appunto nei meccanismi della concertazione dove i vertici dei sindacati di regime sono a contatto continuo con gli esponenti del capitale, tanto da privilegiare il rappiorto con quiesto lato piu forte e perdere il legame con la base lavorativa. Ma il riferimento all´autonomia della dimensione burocratica implica una analisi a 360 gradi, o veramente sistemica, altrimenti e facile limitarsi al grillesco (caso Bonanni o lo scandalo Wolswagen ove l`azienda pagava ai massimi rappresentanti sindacali vacanze da nababbi). Una ripresa della forza dei lavoratori difficilmente puo venire senza una patrallela conoscenza dei veri problemi, quindi condivido la impostazione di Laura Fiocco ed in merito sarebbe ottimo che contropiano fornisse ancora contributi ( quello dii giuliano sivini e davvero interessantissimo). Purtroppo il peso del grillismo si fa sentire, molta gente dice di non volerne sapere di questioni sindacali finquando non ci sara stata una tangentopoli dei sindacati. Ma riportandomi a Laura Fiocco , in che senso dici “prima che sia troppo tardi” ?

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