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I risultati della settimana corta nel Regno Unito, e non solo…

«Lavorare meno, lavorare tutti» sono parole d’ordine storiche, a cui siamo soliti aggiungere, per imprescindibile completezza, «a parità di salario». Un vecchio slogan, ma solo dal punto di vista anagrafico, perché in realtà assolutamente attuale, in quanto una delle varie soluzioni che dovrebbero essere adottate per alleviare la situazione di crisi che viviamo.

Non sono solo “i soliti comunisti” a dirlo, e soprattutto lo si dice non tramite elucubrazioni cerebrali o semplicemente accademiche, ma sulla base di sperimentazioni concrete.

A breve verranno infatti presentati al Parlamento britannico i risultati della sperimentazione promossa dall’organizzazione no-profit 4 Day Week Global e dal think tank Autonomy, monitorata insieme a ricercatori delle università di Cambridge, Oxford e Boston.

Dallo scorso giugno, 70 aziende per un totale di 3.300 lavoratori hanno implementato il “modello 100:80:100”, ovvero lavorare l’80% delle ore previste mantenendo il 100% dello stipendio, impegnandosi a mantenere il 100% della produttività.

Le dichiarazioni raccolte dalle imprese stesse sono davvero positive: il 15% ha indicato che la produttività è aumentata in modo significativo, il 34% che è leggermente migliorata, e quasi tutto il restante 50% che si è comunque raggiunto l’obiettivo di mantenerla invariata.

In pratica 9 aziende su 10 di quelle che hanno partecipato all’esperimento hanno dichiarato di voler continuare con questo modello. E casi del genere si stanno espandendo un po’ in tutto il mondo. Sperimentazioni simili sono state tentate in Francia, Spagna, Svezia, Belgio, Irlanda, Nuova Zelanda, Australia, Canada. In Islanda ormai il 90% della popolazione lavora a orario ridotto.

Per evitare che si pensi sia un qualcosa che possa funzionare solo in piccoli paesi o in piccole aziende, bisogna ricordare che anche Microsoft ha usato il modello 100:80:100 per i suoi uffici in Giappone, e ha dichiarato che la produttività è aumentata di quasi il 40%.

In Italia alcune aziende, con apripista IntesaSanPaolo, si comincia a ridurre con estrema cautela l’orario settimanale di lavoro (e però aumentando il monte ore giornaliero).

Dovrebbe essere fatto qualche passo in più nel nostro paese, alla luce degli ottimi risultati raggiunti, invece di derubricare questa possibilità a fantasia di un mondo operaio ormai scomparso – e che scomparso non è –. Tanto più se si pensa che, statistiche OCSE, un lavoratore italiano lavora in media 1.668,5 ore all’anno, uno spagnolo 1.641, uno francese 1.490 e uno tedesco 1.349, tra l’altro con una produttività minore.

I guadagni si hanno poi, e questa è la cosa più importante, sulla salute dei lavoratori: quelli inglesi coinvolti nel programma per lo più dichiarano di essere meno stressati e dormire meglio, e inoltre il numero di giorni di malattia presi è diminuito di due terzi. Senza contare che in tanti dicono che lavorare meno ha un impatto positivo anche sull’inquinamento.

In sostanza, la possibilità di diminuire l’orario di lavoro a parità di salario ha un effetto moltiplicatore su molti aspetti e sarebbe necessario in questo frangente di crisi e di disoccupazione. Accanto ovviamente a un ritorno a una programmazione pubblica che indirizzi gli investimenti verso la crescita di lavori di qualità e sicuri.

Ne guadagneremmo tutti, e questo probabilmente spaventa i padroni e padroncini del nostro paese.

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