Incontro questa mattina in Questura per affrontare la rognosa vicenda del divieto di manifestazione per il corteo sindacale dell’Usb del pubblico impiego in occasione dello sciopero generale del20 novembre. Una delegazione di sindacalisti e parlamentari del M5S intende porre con forza a Questura e Prefettura la questione dell’agibilità nella Capitale, sulla quale incombe una direttiva interna del Prefetto che già da giugno prevede una sorta di blindatura (niente scioperi, niente cortei) in occasione del Giubileo.
Del clima pesante che si respira nel paese e a Roma sul piano della libertà di sciopero e di manifestazione si discuterà anche domani pomeriggio nell’incontro del Forum Diritti Lavoro che emblematicamente evoca “l’ultima chiamata dal Colosseo” facendo riferimento al decreto che ha reso anche i beni culturali servizi essenziali e dunque sottoposti a fortissime restrizioni in termini di iniziativa sindacale.
Dal canto suo la Usb afferma che non intende accettare il divieto a manifestare il 20 novembre prossima a Roma (altre due manifestazioni sono previste a Milano per il nord e a Napoli per il Meridione) in occasione dello sciopero generale del pubblico impiego. Qui di seguito l’editoriale comparso sul portale della Usb e relativo a questa vicenda dai risvolti estremamente inquietanti:
Repressione del diritto e diritto di shopping
La decisione della questura di Roma di vietare il corteo del 20 novembre in occasione dello sciopero generale del lavoro pubblico promosso da USB contro la Legge di stabilità 2016 va respinta con forza e con indignazione profonda. Non solo perché impedisce il libero esercizio della libertà di manifestare sancito dalla nostra Costituzione, da ciò che rimane della nostra Costituzione, ma perché adduce argomenti che fanno immediatamente scattare campanelli d’allarme se possibile ancora più minacciosi. L’ordinanza di divieto, utilizza una direttiva del 2009 della Prefettura di Roma, riconfermata nel giugno scorso, frutto di un accordo con le forze politiche e sindacali della Capitale, ovviamente senza e contro i movimenti sindacali e sociali conflittuali e di classe. Essa fa intravvedere la eventualità di incidenti tra i manifestanti e gli automobilisti, i commercianti, addirittura i turisti a cui sarebbe leso il diritto alla mobilità e allo shopping. È solo sulla scorta di questi ipotetici problemi all’ordine e alla sicurezza pubblica che la questura di Roma ha potuto motivare il divieto, trovando così l’argomentazione che, a suo dire, farebbe scattare l’unica prescrizione prevista dalla carta Costituzionale che dice che si possono impedire manifestazioni solo per problemi legati all’ordine e alla sicurezza pubblica. Ma il divieto arriva proprio mentre diventa Legge “il decreto Colosseo” e a Roma si insedia l’ennesimo Commissario di provenienza prefettizia a sostituire lo sfiduciato sindaco Marino. Questa della sostituzione della politica con gli apparati di polizia sta diventando una prassi sempre più utilizzata nel nostro Paese e sarebbe il caso di ragionarci sopra, sgomberando il campo dalla nebbia fitta prodotta dall’indignazione, giusta e legittima, della gente per il dilagare del malaffare politico che rischia di coprire però, quanto inconsapevolmente non si sa, operazioni che sanno di stretta autoritaria e repressiva in cui ci stanno pure i divieti a manifestare durante uno sciopero sindacale. Nell’ordinanza del questore di Roma con cui si dispone il divieto, non si tiene in alcun conto che alla base della manifestazione c’è la sacrosanta necessità di respingere il sonoro ed umiliante schiaffo che il governo ha rifilato ai lavoratori dei settori pubblici con l’indecente stanziamento di cinque euro medi lordi di aumento contrattuale per i prossimi tre anni, dopo ben sei anni dalla scadenza dei precedenti contratti. Né tanto meno che quella legge finanziaria, ispirata da Bruxelles ed oggi sottoposta ad un passaggio parlamentare che sarà reso vano dal consueto ricorso alla fiducia, contiene la previsione di migliaia di licenziamenti nelle partecipate, altri regali ai privati e alle imprese e seppellisce l’idea di tassazione progressiva proporzionale ai redditi con l’abolizione della tassa sulla prima casa indistintamente per tutti. Non tiene conto cioè del valore sociale dello sciopero e della manifestazione, ma lo mette sullo stesso piano del “diritto alla mobilità” dei cittadini, dimenticando che scelte di politica urbanistica, dei trasporti e di cementificazione selvaggia hanno minato in profondità, e non da oggi, questo diritto. Insomma garantire di poter andare a far shopping in santa pace nelle vie del centro di Roma e’ ben più importante che garantire almeno di poter protestare nei confronti di un governo che ha chiuso ogni canale di comunicazione politica con i suoi sudditi. Noi non accettiamo questo divieto e lo combatteremo sul piano giuridico e su quello politico già dalle prossime ore, ma lo combatteremo soprattutto stando in piazza anche a Roma, come a Milano e a Napoli, il 20 novembre in decine di migliaia per rivendicare non solo i nostri diritti ma anche la libertà di farlo. Chi rinuncia ad esercitare un diritto e’ inevitabilmente destinato a perderlo, e USB vuole difenderlo per se e per tutti.
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