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BolognaFiere. Il giaguaro e gli amici del giaguaro

Breve considerazione sul ritiro dei licenziamenti di #bolognafiere, con ancora le bollicine dello spumante nel bicchiere col quale abbiamo festeggiato il risultato.

Il giorno dopo la formalizzazione da parte del presidente della Fiera del ritiro dei 123 licenziamenti, e quindi della vittoria dei lavoratori (mi preme sottolinearlo, c’è sempre qualcuno in queste occasioni che è tentato di gonfiare il petto), a una lettura dei quotidiani locali viene fuori l’incensata al sindaco Merola, che fa il poliziotto buono e si ascrive il merito di aver fatto ritirare i licenziamenti a Boni. Su “Libero” gli danno addirittura del “comunista”; proprio lui, quello della privatizzazione delle mense scolastiche, quello dell’esternalizzazione delle educatrici comunali all’Istituzione Scuola, quello del referendum sul finanziamento alle scuole private buttato alle ortiche, quello degli sgomberi delle occupazioni abitative e delle ordinanze antidegrado. 

Personalmente, della sua partita di corrente all’interno del suo partito mi interessa nulla; in fin dei conti lui e Bonaccini sono interpreti differenti, in conto PD, dello spirito dei tempi: come schiacciare la testa ai lavoratori e ai cittadini, quale sia il modo migliore, se con più o meno spargimento di sangue, come rubare democrazia e partecipazione, sono argomenti che vanno contrastati a monte della nostra quotidiana battaglia di civiltà e dignità, e non a valle delle tattiche di posizionamento di questi soggetti. Statene pur certi, i soci pubblici e privati troveranno la quadra, “alla fine della Fiera”, per tentare di toglierci diritti, salario, cittadinanza, dignità, partecipazione.

Dall’altro lato c’è chi il sindaco lo ringrazia. Il problema dei lavoratori oggi è che hanno a che fare con apparati sindacali di gestione dell’emergenza, che in tutta onestà, non riesco a non considerare come una propaggine della funzione aziendale.

Indire uno sciopero, riuscitissimo, che blocca la città, e chiedere scusa. Preoccuparsi di non disturbare il manovratore, provando a disinnescare la giusta rabbia di chi ha la lettera di licenziamento in tasca. Offrire sul piatto della intermediazione la dismissione del contratto integrativo, unico elemento che rende la busta paga meno misera, per i part-time della Fiera.

Non viene in mente a nessuno che nella partita di costruzione del polo fieristico regionale l’esempio della determinazione dei lavoratori della Fiera di Bologna potrebbe dare una mano a quelli di Parma e Rimini, oggi per lo più impiegati in ditte esterne, a riconquistare “il minimo sindacale” di un contratto e condizioni di lavoro decenti? Ma dove sta scritto che se riesci ad ottenere il ritiro dei licenziamenti, sul piatto della trattativa devi mollare i diritti? 

È questa la funzione che si danno gli apparati di gestione, e lo stanno facendo da almeno 30 anni. “Accompagnare” i lavoratori nell’accettazione di una condizione più misera, passo dopo passo, perché c’è la crisi, e se chiedi troppo poi l’azienda chiude. 

La funzione aziendale, appunto. 

L’unica alternativa è lavorare alla indipendenza della strategia di lotta dei lavoratori, costruire coscienza e sottrarre legittimità all’autoreferenzialità degli apparati di gestione. Da ieri, a Bologna, si può andare avanti più forti, senza cedere quanto conquistato con fatica e sudore. L’esperienza fatta in questa vicenda e il precedente marcato dai lavoratori ci mostrano che, ai tempi del Jobs Act e dello smantellamento delle tutele e dello Stato, è possibile ancora mettere il freno ai tentativi di ricattarci e fiaccarci. 

E dopo essere riusciti a tenere la linea di fronte al tentativo di sfondamento di chi voleva rottamare i lavoratori della Fiera, sarebbe bello riuscire ad avanzare e a trasformare questa lotta in una battaglia di conquista di diritti e dignità.

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