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Campania. Bilancio sulla campagna per il Reddito Minimo Garantito

Durante la campagna referendaria per il NO SOCIALE una delle motivazioni che abbiamo portato avanti è stata quella che un’eventuale approvazione della deforma costituzionale avrebbe, tra l’altro, prodotto la scomparsa della legislazione concorrente Stato-Regioni e quindi materie come le politiche sociali e del lavoro sarebbero state centralizzate, perciò iniziative come quelle portate avantia Napoli e in Campania, lo scorso anno, non sarebbero state più possibili.

Ci si riferisce ad un’importante campagna di massa sul Reddito Minimo Garantito: si è trattato di varie assemblee, riunioni, convegni, cortei, banchetti per le strade il tutto culminato nella raccolta di oltre 13.400 firme su una proposta di legge regionale d’iniziativa popolare che, allo stato, giace presso le Commissioni Consiliari competenti del Consiglio Regionale campano.

Nella relazione d’accompagnamento e nell’articolato cerchiamo di affrontare i nodi che da sempre hanno caratterizzato le nostre battaglie sul R.M.G.: critica dell’impostazione familistica, delle condizionalità esasperate, della solita litania sulla mancanza di soldi, richiesta dello sforamento del P.S.I. per le politiche sociali, della centralità dell’ISEE, l’approccio ristretto alla sola povertà assoluta, ecc.

Uno dei ragionamenti alla base di quella che abbiamo definito come “campagna vertenziale” è stato che delle battaglie territoriali potessero contribuire a sbloccare la situazione a livello nazionale per l’istituzione di una misura effettivamente universale di sostegno al reddito.

Ora, invece, stanno maturando le condizioni per una mobilitazione nazionale dove, però, restano importanti le esperienze accumulate a livello regionale soprattutto in casi come quello campano dove esiste una grossa tradizione di battaglie per il reddito e per il lavoro (si pensi, ad es., ai Movimenti di lotta dei Disoccupati Organizzati).

Qui si cerca di fornire qualche elemento di bilancio e di discussione per meglio rilanciare l’iniziativa mirando anche a costruire piattaforme integrative regionali rispetto a quanto si va delineando a livello nazionale.

  1. Legge-delega sulla povertà e schema di decreto attuativo

La recente approvazione, in prima lettura, da parte del Consiglio dei Ministri del decreto attuativo della legge delega n. 33/2017 è un ulteriore elemento che ci spinge a riaprire in maniera organica dibattito ed iniziativa anche per aggiornare le nostre posizioni alla luce dei cambiamenti normativi intervenuti nel frattempo:

ci si riferisce, in particolare, alle modifiche di alcuni criteri del SIA (Sostegno all’Inclusione Attiva)1 e al suo prossimo erede, ossia il reddito d’inclusione e al successivo memorandum firmato dal Governo con l’Alleanza contro la povertà.

Pur riconoscendo che alcuni criteri sono stati resi meno rigidi (ad es., per i requisiti economici, si fa riferimento ad un valore Isee di 6.000 euro invece di 3.000) la platea che verrebbe coinvolta è ancora del tutto insufficiente e non copre nemmeno quella della povertà assoluta, del resto, addirittura l’UPB (Ufficio Parlamentare di Bilancio) l’organismo istituito dopo la modifica dell’art. 81 della Costituzione, in un suo recente documento, osserva che la platea del reddito d’inclusione è “ancora limitata rispetto al numero dei nuclei in condizione di povertà assoluta (pari nel 2015, in base alle stime dell’ISTAT, a quasi 1,6 milioni)” e rispetto allo stanziamento ricorda che “stime condotte nel 2013 nell’ambito del Gruppo di lavoro sul reddito minimo istituito dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali quantificano tra i 5 e i 7 miliardi di euro il costo di una misura che consenta di colmare integralmente il gap esistente tra il reddito disponibile e la soglia di povertà per la totalità delle famiglie in condizione di povertà assoluta”.2

In realtà anche quest’ultima stima è abbastanza sottodimensionata, mentre il Governo fa passare come grande passo in avanti uno stanziamento, all’interno del Fondo Nazionale di contrasto alla povertà, di appena 1 miliardo e 700 milioni.

Comunque pure la ristretta platea coinvolta non potrà certo aspirare a condizioni dignitose col prossimo REI perché si andrà da circa 190 euro mensili a 485 euro per i nuclei familiari di cinque componenti (importo medio circa 338 euro).

Inoltre l’Alleanza contro la povertà contrabbanda come una sorta di vittoria il fatto che non ci sia l’esclusività dell’ISEE come indicatore e che vi sia stato affiancato l’ISR (l’indicatore reddituale dell’ISEE) però si dimentica che è anch’esso con un tetto molto basso e pur sempre per il nucleo familiare.

La legge-delega sulla povertà, oltre a rimarcare i noti limiti della politica liberista in materia, offre, almeno a livello d’impostazione, degli spunti che potranno essere di sicuro interesse per contribuire a superare alcuni limiti della nostra mobilitazione.

Infatti, nella citata legge, c’è un’ottica mirante ad un’offerta integrata dei servizi e, quindi, a presentare un “pacchetto” riguardante sia una parte monetaria che non monetaria compresa la possibilità di giungere ad “accordi territoriali” tra i servizi sociali e gli altri enti ed organismi competenti per l’inserimento lavorativo, l’istruzione e la formazione, le politiche abitative e la salute prevedendo “sedi territoriali di confronto con le parti sociali”.

Naturalmente conosciamo il concetto che ha la controparte delle “parti sociali” e occorrerà seguire con attenzione l’iter del decreto attuativo appena iniziato e la cui scadenza è per il prossimo settembre.

A dire il vero, nella nostra proposta di legge regionale c’eravamo basati su una simile impostazione ma non siamo riusciti nella mobilitazione a legare i due aspetti – quello monetario e quello non monetario – e ciò ha sicuramente influito sulla capacità di tenuta dell’iniziativa.

Quest’ aspetto è di particolare importanza perché, come sappiamo, molto spesso chi ha problemi di reddito ha, ad es., anche problemi di casa e cercare di costruire piattaforme unificanti di lotta per il reddito e il diritto all’abitare sarà uno degli obiettivi precipui che avremo di fronte fin da subito, soprattutto in relazione al fatto che uno dei decreti delegati previsti sarà relativo al riordino delle prestazioni assistenziali che, come si può facilmente immaginare, si cercherà di fare al ribasso.

Naturalmente si tratterà di capire se il Governo attuerà effettivamente l’offerta integrata di servizi prevista, a suo tempo, anche in varie leggi regionali sul R.M.G. del periodo 2002-2009 – compresa quella campana – e che restarono perlopiù inattuate proprio per la parte non monetaria.

  1. Alcuni limiti della nostra mobilitazione

Altri elementi che hanno influito negativamente sulla nostra iniziativa sono stati:

  1. la mancanza di una “sponda politica” in Consiglio Regionale dove, ad es., il Gruppo Consiliare Regionale dei 5 Stelle, esplicitamente sollecitato ad un confronto, ha risposto che avrebbe appoggiato soltanto iniziative pienamente conformi alla propria proposta di legge nazionale con 1° firmataria la Catalfo. Quello della mancanza di interlocutori politici è, come si sa, un elemento che ci affligge da anni e non soltanto in Campania;

  2. la scomposizione delle forze di Movimento che avevano sostenuto la mobilitazione in quanto una parte ha preferito scelte politiche legate ad una maggiore attenzione sull’Amministrazione de Magistris;

  3. l’impossibilità, al momento, d’inserire la rivendicazione sul R.M.G. all’interno di una più generale piattaforma vertenziale contro le politiche della Giunta De Luca che sin dal primo momento sono state una fotocopia di quelle nazionali (ad es., sono stati replicati a livello regionale gli “incentivi” alle imprese). – In altri termini, a Palazzo Santa Lucia arrivano spesso cortei e delegazioni di lavoratori/trici ma in maniera scollegata e qui si sconta il limite, anch’esso non soltanto campano, dovuto al fatto che vere strutture di coordinamento ed elaborazione a livello regionale sia nel Movimento che nella sinistra d’alternativa che del sindacalismo conflittuale non ce ne sono oppure sono insufficienti;

  4. la mancanza di un coordinamento con vertenze simili sul territorio nazionale ripetendo, così, limiti di precedenti esperienze regionali.

  1. L’avvio della “vertenza metropolitana”

Una parte dei limiti suelencati abbiamo cercato di superarli con l’avvio di una “vertenza metropolitana” nata intorno alla richiesta di spendere il consistente avanzo libero dell’Ente di area vasta bloccato nella sua possibilità di spesa dall’ottica recessiva del pareggio di bilancio in quanto un impiego anche di una parte delle ingenti risorse finanziarie avrebbe alterato il rapporto tra le cosiddette “entrate e spese finali”.

A differenza che nella precedente vertenza regionale sul R.M.G. nel caso metropolitano avevamo qualche “sponda politica” a livello di consiglieri e un’Amministrazione, almeno sulla carta, più disponibile di quella regionale, inoltre abbiamo inserito la sperimentazione di una forma di R.M.G. all’interno di una più ampia “piattaforma metropolitana” che, ad es., vedeva nella richiesta della clausola sociale negli appalti o di un’Azienda Unica a gestione pubblica per il TPL uno dei punti qualificanti per bloccare l’avvio delle gare regionali miranti alla privatizzazione sia dell’azienda napoletana dei trasporti che di quella dell’ex-Provincia.

Dopo un’Assemblea metropolitana e un presidio al Consiglio Metropolitano nello scorso gennaio, abbiamo avuto vari incontri con l’Amministrazione sia di tipo tecnico che politico ma s’è manifestato un atteggiamento oscillante da parte della Città Metropolitana e di sostanziale chiusura soprattutto per l’impiego di fondi nella sperimentazione di forme di R.M.G. non rientrante appieno nelle funzioni dell’ex-Provincia dopo l’entrata in vigore della “legge Delrio” e di una legge regionale d’attuazione particolarmente centralistica che ha notevolmente diminuito le competenze delle ex-Province in materia di politiche sociali.

D’altro canto, a livello di Movimento, si sono avute grosse difficoltà nell’organizzare assemblee territoriali nei 92 Comuni dell’hinterland napoletano.

Tuttavia quella dell’impiego dell’avanzo libero resta una battaglia di grossa importanza soprattutto in una situazione dove la maggior parte delle finanze degli EE.LL. campani è molto critica e, quindi, è assurdo che poi vi sia un Ente che dal rendiconto 2016 risulta con oltre 400 milioni di avanzo disponibile.3

  1. L’ulteriore privatizzazione delle politiche sociali

Tuttavia un bilancio ed una riattualizzazione della nostra iniziativa sul reddito non può essere scissa nemmeno da un altro fattore:

la “riforma” del Terzo Settore e, in genere, delle politiche sociali.

Qui tocchiamo un’altra pesante eredità dell’attivismo renziano che attraverso questo tipo di “riforma” cerca di svuotare ulteriormente a livello di funzioni Regioni ed EE.LL. mirando a spostare in direzione centralistica e verso i privati del settore altre quote di spesa pubblica.

Emblematici in tal senso il decreto delegato, già uscito, sul Servizio Civile Universale che rafforza il ruolo della Presidenza del Consiglio e occupa uno spazio che unavolta sarebbe stato dei lavori socialmente utili ma con un tasso di precarietà e sfruttamento decisamente maggiore;

un altrodecreto in dirittura d’arrivo è, quello riguardante lo statuto della Fondazione Italia Sociale, persona giuridica privata che dovrebbe avere funzione sussidiaria e “non sostitutiva” dell’intervento pubblico.

Su questo aspetto della “non sostitutività” dell’intervento pubblico manifestiamo le nostre più profonde riserve perché la prassi politico-amministrativa è piena di esempi dove i fondi di determinate attività avrebbero dovuto essere “non sostitutivi” e poi lo sono stati (dal vecchio intervento straordinario nel Mezzogiorno agli attuali Fondi strutturali europei).

Del resto in fase di tagli e “spending review” è facile capire che, nei fatti, una parte degli attuali Fondi per le politiche sociali passerà per la costituenda Fondazione di tipo privatistico e ciò insieme alla “riforma” delle imprese sociali sarà un altro tassello della privatizzazione delle politiche sociali, articolazionedi quello che è stato giustamente definito lo “Stato Spa”.

  1. I Fondi strutturali europei con particolare riferimento al FSE.

Per concludere, un breve riferimento ai Fondi Strutturali Europei, richiamati sia nella legge delega sulla povertà che nella nostra proposta di legge regionale d’iniziativa popolare.

In questo caso, ci si riferisce al fatto che, in alcune Regioni, nei Tavoli del Partenariato è presente anche il sindacalismo conflittuale – a prescindere dal ruolo meramente consultivo o addirittura di propaganda delle politiche regionali (si veda proprio il caso del Tavolo campano) – questo tipo di presenza, spesso, s’è dimostrata di scarsa utilità per l’insieme del Movimento almeno fino a questo momento ed è possibile fare significativi passi in avanti soltanto se si superanoquei limiti segnalati per la battaglia sul R.M.G. in buona parte validi anche per una più proficua partecipazione al Tavolo in argomento.

Inoltre, anche sotto il profilo documentale, spesso vengono forniti dati in una maniera tale che ne diventa difficile l’utilizzo (ad es., i dati, il più delle volte, sono trasmessi in maniera aggregata e diventa molto difficile capire quali territori e perché sono stati privilegiati, oppure se sono stati distribuiti a pioggia);

in realtà, anche con la gestione De Luca ci troviamo di fronte al problema della capacità di spesa che ha contrassegnato le precedenti legislature regionali e ciò proprio sugli assi d’intervento che maggiormente c’interessano.

Ad es., sull’ Asse II, quello dell’inclusione sociale, al 7-6-2017 per il periodo 2014-20 su 103.947.300 programmati sono stati impegnati appena 7.387.000 euro, inoltre l’Amministrazione regionale ha presentato alla Commissione europea una riprogrammazione delle risorse dove vengono spostate sull’Asse dell’Istruzione ben 70.000.000 provenienti soprattutto dall’ Asse dell’occupazione e da quello dell’ Inclusione sociale per potenziare le borse di studio.

Quest’orientamento è particolarmente penalizzante per una Regione meridionale quale la Campania perché al Sud non c’è tanto il problema del numero degli studenti rispetto ad altre parti del Paese quanto, invece, l’allargamento dell’area del “workingpoor” proprio tra i diplomati e i laureati che nel primo caso sono ben il 20% (rispetto al 6,7% del Centro-Nord) e per i laureati sono il 7,6% (contro il 3% del Centro-Nord).4

Dai dati forniti dalla Regione dopo tre anni e mezzo di avvio della programmazione 2014-20 per il Fondo Sociale Europeo sui primi quattro Assi d’intervento (Occupazione, Inclusione, Istruzione, Capacità Istituzionale e Amministrativa) su oltre 450 milioni di risorse programmate meno della metà5 hanno avuto delle disposizioni attuative e spesso si tratta della fase dell’impegno e non della fase finale della spesa.

Da rilevare che una parte non trascurabile (50 milioni) dei Fondi che hanno avuto disposizioni attuative sono stati impiegati per aggiungere agli incentivi nazionali alle imprese quelli regionali utili solo a creare occupazione provvisoria che scompare non appena finiscono gli incentivi.

Insomma, in Campania non abbiamo soltanto il problema di affermare che “i soldi ci sono” (dall’avanzo libero della Città Metropolitana ai Fondi strutturali europei) ma anche di capire “come vengono spesi” e, a volte, “perché non vengono spesi”.

Ad es., i 50.000.000 di incentivi alle imprese si sarebbero potuti adoperare non soltanto per l’avvio del R.M.G. ma anche per favorire forme di sperimentazione della riduzione dell’orario di lavoro per creare nuova occupazione.

Occorre notare, infine, che la presenza al Tavolo è accompagnata da un’esclusione del sindacalismo conflittuale dal Comitato di Sorveglianza, l’organismo che cura i rapporti con la Commissione europea e vigila sull’uso dei fondi.

1 Si veda il D.M. 16/03/2017 pubblicato sulla G.U. n. 99 del 29/04/2017

2 Cfr. Ufficio Parlamentare di Bilancio – Rapporto sulla programmazione di bilancio 2017, pagg. 142-3

3 Nonostante che dal rendiconto 2015 a quello del 2016 ci sia stato un parziale calo dell’avanzo non vincolato (libero) per un aumento della parte accantonata e di quella vincolata, la disponibilità di € 403.139.984,28 resta una cifra ragguardevole.

4 Questi dati sono tratti dal Rapporto SVIMEZ 2016

5 I dati sono al 7 giugno 2017 e sono stati forniti in occasione del Comitato di Sorveglianza dello scorso 8 giugno.

  • Usb, federazione del sociale (Napoli)

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