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H&M rispetti l’impegno a pagare salari dignitosi

Clean Clothes Campaign, Campagna Abiti Puliti, nasce nel 1989 ed ora è diffusa in tutto il mondo. Mira “al miglioramento delle condizioni di lavoro e al rafforzamento dei diritti dei lavoratori dell’industria della moda globale”. Ricordiamo tutti le centinaia di lavoratori morti in Bangladesh nell’incendio del Rana Plaza, il palazzo dichiarato inagibile ma dove tremila operai  continuavano a lavorare alla produzione di capi di abbigliamento per i grandi marchi della moda. Purtroppo quello del Rana Plaza è solo uno dei tanti esempi. Nel 2013 l’azienda svedese H&M si dissociava dal comportamento delle altre aziende del settore dichiarando che 850.000 lavoratori avrebbero ricevuto un salario dignitoso entro il 2018. Il 2018 è arrivato, ma il salario dignitoso no. Secondo quanto riporta la campagna “Turn Around, H&M!”, non solo sono scomparsi gli aumenti salariali, è proprio scomparso l’obiettivo aziendale. Su questo il comunicato della Campagna Abiti Puliti.

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H&M rispetti l’impegno a pagare salari dignitosi

Mentre gli azionisti di H&M si riuniscono a Stoccolma per l’incontro annuale (AGM), la crescente coalizione internazionale che promuove la campagna “Turn Around, H&M!” richiama l’attenzione sul fatto che H&M stia lasciando senza risposte centinaia di migliaia di lavoratori in attesa di ricevere un salario dignitoso.

Nel 2013 H&M annunciava che 850.000 lavoratori avrebbero ricevuto un salario dignitoso entro il 2018. Invece di materializzarsi nelle buste paga dei lavoratori, l’obiettivo stesso è scomparso dalla comunicazione aziendale, proprio come i documenti originali sono scomparsi dal sito web. La comunicazione aziendale di H&M oggi si riferisce solo all’introduzione del metodo del salario equo per le fabbriche dei fornitori. Gli 850.000 lavoratori e i loro redditi effettivi non fanno più parte del messaggio.

La richiesta formale di discutere, durante l’assemblea degli azionisti prevista per domani 8 maggio, dell’impegno assunto dalla multinazionale a garantire il salario dignitoso ai lavoratori tessili della sua filiera, non è stata presa in considerazione. Ciò è avvenuto nonostante H&M abbia beneficiato dell’accoglienza positiva di tale impegno da parte dei media e dei consumatori socialmente consapevoli; il fallimento dell’impegno assunto minerebbe indubbiamente la reputazione di H&M. Si tratta di un tema sensibile su cui gli azionisti dovrebbero generalmente essere prudenti, anche se la società riporta profitti per 2,6 miliardi di dollari, come accaduto nel 2017.

La Clean Clothes Campaign ha ripetutamente, sebbene senza successo, invitato H&M a dichiarare chiaramente il parametro di riferimento per il salario dignitoso e a pubblicare altre informazioni necessarie a condurre una seria valutazione degli sforzi compiuti a riguardo.

Dominique Muller di Labour Behind the Label (la Clean Clothes Campaign inglese) dichiara: “Un marchio che dichiara pubblicamente con molto clamore tali impegni e riceve per questo molto credito, deve dimostrare, chiaramente e pubblicamente, progressi misurabili e verificabili verso un cambiamento reale. Quello che H&M ci presenta invece, è un quadro molto vago, opaco e non significativo.”

Una recente dimostrazione sono i dati sui salari per paesi selezionati che H&M ha presentato in aprile. Sono focalizzati sulla differenza tra il salario minimo – che non è mai prossimo ad alcun livello credibile di salario dignitoso – e il salario medio più elevato nelle fabbriche dei fornitori di H&M. Non ci sono informazioni sul fatto che i salari includano vari bonus, ma è molto probabile che sia così. Le ricerche condotte presso i fornitori di H&M in Cambogia hanno rivelato che quasi tutti gli emolumenti, oltre il salario minimo, sono legati a prestazioni particolari come il lavoro straordinario di domenica e nei giorni festivi.

Anannya Bhattacharjee dell’Asia Floor Wage Alliance (AFWA) ha dichiarato: “Sulla base dei miei contatti con i lavoratori penso che le cifre di H&M siano gonfiate e travisate, probabilmente includono pagamenti che non dovrebbero far parte del calcolo del salario“. Bhattacharjee ha anche sottolineato che i sindacati dell’AFWA hanno contattato H&M nel 2016: “L’idea era di incontrarsi e negoziare un accordo per il pagamento progressivo di un salario dignitoso; invece di lavorare su quella proposta, H&M ha scelto di nascondersi dietro esperimenti unilaterali e non trasparenti.

Se anche prendiamo le cifre pubblicate da H&M come riferimento, è chiaro che i lavoratori portano a casa solo una frazione di ciò che costituirebbe un salario dignitoso. In Cambogia ad esempio, i lavoratori sono pagati in media 166 euro al mese secondo H&M, e questo è superiore al salario minimo nazionale. Tuttavia un salario dignitoso secondo l’AFWA dovrebbe essere di 396 euro al mese. In Indonesia H&M riporta lo stipendio medio mensile di 148 euro mentre la stima fatta da AFWA per un salario dignitoso è pari a 352 dollari. In Bangladesh, la cifra riportata da H&M è di 79 euro al mese mentre un salario dignitoso dovrebbe essere quasi cinque volte più alto (374 euro). A Bangalore, centro dell’industria indiana dell’abbigliamento, i lavoratori portano a casa 111 euro al mese mentre la stima di AFWA è pari a 280 euro. Non c’è da meravigliarsi se molti lavoratori hanno già aderito alla campagna “Turn Around, H&M!“, invitando l’azienda a rispettare gli impegni assunti durante la manifestazione pubblica tenutasi a Bangalore lo scorso 1° maggio.

La situazione non sembra migliore in Europa. “Abbiamo recentemente parlato con un certo numero di lavoratori che producono vestiti per H&M, e senza eccezione, guadagnano molto, molto meno di quello di cui avrebbero bisogno per essere in grado di soddisfare i bisogni primari per se stessi e le loro famiglie e così avere una vita dignitosa“, ha detto Bettina Musiolek, coordinatrice del gruppo dei Paesi produttori europei della Clean Clothes Campaign.

H&M dichiara di rifornirsi da 1.668 fabbriche in tutto il mondo che impiegano oltre 1,6 milioni di persone. Le pratiche commerciali dell’azienda perciò influenzano direttamente moltissime persone.
Se si considera l’intero processo necessario a produrre un capo di abbigliamento e farlo arrivare al consumatore in negozio o direttamente a casa, stiamo parlando di milioni di persone coinvolte. Mentre la nostra campagna è stata innescata dal fatto che H&M ha voltato le spalle a un impegno esplicito verso 850.000 lavoratori tessili che lavorano per il noto marchio, non dobbiamo dimenticare tutti gli altri lavoratori che vengono sfruttati nella sua catena di fornitura“, ha dichiarato Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti, sezione italiana della Clean Clothes Campaign.

La campagna “Turn Around, H&M!” farà in modo che i tentativi di H&M di allontanarsi dall’impegno originale non passino inosservati. Anche se questo importante tema non è entrato nell’agenda formale della riunione degli azionisti, un gruppo di attivisti si recherà domani a Stoccolma per ricordare a tutti i presenti che un utile di 2,6 miliardi di dollari è più che sufficiente per porre fine allo scandalo dei salari di povertà nella catena di fornitura di H&M. Adesso!

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