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Italiano ucciso in Inghilterra; “ci rubi il lavoro”

C’è sempre qualcuno più a Nord di te, o in un luogo comunque che si ritiene più “fortunato” e che, nella crisi, vede scomparire progressuvamente i segni caratteristici del proprio benessere. A partire dall’aumento della disoccupazione.

Un giovanissimo ragazzo italiano, il 19enne Joele Leotta, di Nibionno, provincia di Lecco (una delle enclave della Lega, terra dove domina l’ex ministro Roberto Castelli), è stato ucciso nel suo appartamento di Maidstone, contea di Kent, 50 chilometri da Londra.

Sarebbe stato pestato fino alla morte da un gruppo di coetanei inglesi, che gli imputavano di “rubare il lavoro”. Esattamente come potrebbe avvenire ovunque. Anche in Italia, specie nei sancta sanctorum della Lega, magari con la feroce partecipazione di gruppi fascisti, ci sono stati diversi pestaggi di migranti, con identica motivazione. Pestaggi in cui la morte della vittima è questione di fortuna, di resistenza fisica, di autocontrollo da parte degli aggressori. Variabili aleatorie, come si vede, perché anche un colpo non portato con violenza estrema può avere effetti mortali, per puro caso.

La crisi porta via lavoro, crea disoccupazione. La gestione attuale della crisi, la ricerca della forza lavoro al prezzo più basso possibile, incrudisce i rapporti interni alla “forza lavoro”. Su questa “concorrenza interna” si innestano le spiegazioni ideologiche semplicistiche, quelle che individuano nel “concorrente” la causa dello scarso salario e della propria disoccupazione. Senza vedere il “puparo” che muove i fili, l’impresa capitalistica, per quanto piccola possa essere.

Otto ragazzi inglesi, fra i 21 e i 25 anni, sono già fermati dalla polizia. Ragazzi senza occupazione e senza soldi, senza futuro, che hanno visto in un coetaneo dall’inglese stentato, appena arrivato per lavorare nel ristorante “Vesuvius” e contemporaneamente per imparare la lingua dell’impero, un “pericolo” per se stessi.

Organizzare i disoccupati e i precari, unirli per costruire il “blocco sociale” che unisce lavoratori di ogni genere (dentro e fuori dei luoghi di lavoro, peraltro in rapida diminuzione), non è solo un dovere politico per chi vuole “cambiare il mondo”; è una necessità primaria, vitale, per impedire che il mostro della crisi – affrontato individualmente – generi il mostro razzista e omicida. Quello di cui il capitale ha bisogno per allontanare da sé la rabbia deglie sclusi.

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