La delegazione USB che mercoledì 20 sarà al Tavolo tecnico convocato dal Ministero del Lavoro sul salario minimo andrà a sostenere due questioni cruciali: la necessità di istituire un salario minimo orario legale obbligatorio per qualsiasi contratto ed equiparabile come giusto compenso anche per le situazioni di lavoro autonomo, e la distinta preparazione di una legge sulla rappresentanza sindacale che aspettiamo da diversi decenni.
I due temi non possono essere confusi e vanno trattati distintamente. La necessità di istituire un salario minimo per legge non può essere l’occasione per riconoscere gli accordi stabiliti tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil a gennaio del 2014, che non garantiscono il diritto dei lavoratori a libere elezioni e ad essere rappresentati sui posti di lavoro dalle organizzazioni che democraticamente ottengono il maggior numero di voti.
Padroni e confederali anche su questo tema sono completamente convergenti: non vogliono il salario minimo e pretendono che la loro contrattazione acquisisca valore di legge per tutti senza sottomettersi ai principi basilari della democrazia: diritto alle elezioni sui posti di lavoro, regole certe per tutti, libertà di voto, trasparenza, rappresentatività non in base alla firma dei contratti ma al conteggio dei consensi. E sono proprio i loro contratti ad aver portato così in basso i salari in Italia.
Il salario minimo è diventato una necessità alla luce dei dati ormai clamorosi che sono stati recentemente diramati dal CNEL: 5,2 milioni di lavoratori poveri nel nostro paese, dovuti sia alle basse retribuzioni orarie che alla bassa densità lavorativa (poche giornate o pochi mesi lavorativi in un anno). La soglia non può essere troppo bassa, altrimenti l’effetto avrebbe un valore depressivo. Le simulazioni INAPP sui 9 euro lordi ci parlano di 1,7 milioni di lavoratori che ne beneficerebbero: troppo pochi, per questo la soglia va alzata. E per colf e badanti va previsto un contributo alle famiglie visto che si tratta di welfare.
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