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L’automazione avanza. I lavoratori che fine fanno? Un convegno a Pontedera

Nel 2013 un famoso studio condotto da due economisti dell’università di Oxford, Michael Osborne e Carl Benedikt Frey. intitolato “Il futuro della disoccupazione”, poneva un interrogativo inquietante. Quanto sono minacciati i posti di lavoro dalla computerizzazione?”. I due studiosi ricorrendo ad alcune nuove tecniche matematiche e statistiche per calcolare l’eventuale effetto dell’innovazione tecnologica su un’ampia gamma di lavori, (esattamente 702 in tutto), arrivavano ad una conclusione decisamente pesante.

Secondo i due studiosi nel giro di una ventina d’anni il 47 per cento dei posti di lavoro rientrerà nella “categoria ad alto rischio”, perchè sarà potenzialmente automatizzabile. La automazione sostituirà soprattutto i lavori meno specializzati e a basso salario. Quelli più specializzati e ad alto salario, invece, correrebbero minori rischi di sparire. I più penalizzati, fino a diventare “eccedenza di capitale umano” sarebbero i lavoratori poveri e a bassa qualifica, effetti minori ci sarebbero sulla middle class (ma su questo nutriamo qualche dubbio), mentre i segmenti alti della società avranno meno problemi dall’impatto con una estesa automazione tecnologica.

Le tecniche e i processi di automazione della produzione da sempre spingono in avanti l’evoluzione delle società umane. Il problema è stato ed è l’uso di queste innovazioni nei rapporti tra gli esseri umani e con la natura, il loro orientamento e la guida stessa dei processi di automazione, che oggi da una parte aumentano la disoccupazione di massa, dall’altra la fatica e lo sfruttamento umano a fini privati.

Tutti i grandi cambiamenti tecnologici hanno comportato una profonda riorganizzazione della produzione. Per questo è fondamentale una approfondita riflessione sull’influenza che hanno nei rapporti sociali esistenti.

Sabato 30 marzo a Pontedera (Pisa), l’Usb ha organizzato un interessantissimo convegno proprio su “Industria 4.0: Automazione e disoccupazione tecnologica” e su come impatta e impatterà sul lavoro nei prossimi anni. Il convegno si terrà presso il Centrum Sete Sois Sete Luas, via Rinaldo Piaggio 82 Pontedera,dalle 9.30 alle 17.00.

Sono previsti interventi e relazioni di Cinzia Della Porta, Luciano Vasapollo (Contesto della competizione economica internazionale), Stefano Zai (Industria 4.0: rivoluzione tecnologica e del lavoro), Guido Lutrario (Nuove tecnologie e riduzione delle tutele – caso gig economy), Maria Antonietta Pascali (Industria 4.0 nella ricerca pubblica), Marco Benevento (Il sindacato di classe nella fabbrica globale), Francesco Scolamiero (La formazione ai tempi della specializzazione per pochi e del lavoro povero per molti), Sergio Bellavita (Industria 4.0 e contrattazione collettiva), Luigi Marinelli (La necessità della rivendicazione della riduzione dell’orario di lavoro), Giorgio Cremaschi (Il processo storico di riduzione dell’orario di lavoro, perché e quando si è interrotto). Le relazioni saranno alternate da interventi dei delegati di Piaggio, CNR, Fca, Sevel, Ast, GD, Stmicroelectronics, Wartsila, Tim

A livello internazionale questa “rivoluzione” tecnologica sta determinando l’espulsione di decine di milioni di lavoratori dalle varie attività produttive, nel terziario e nei servizi.

Quali risposte può dare il sindacalismo di classe a questo aumento esponenziale della disoccupazione, contro una gestione della crisi che non dà alcuna prospettiva di reinserimento lavorativo, aumentando invece e sempre più il divario tra sfruttati e sfruttatori? E’ possibile utilizzare questo formidabile avanzamento tecnologico per il soddisfacimento dei bisogni delle maggioranze, a partire dai produttori diretti della ricchezza, che rimangono i lavoratori?” si interroga l’Usb nella nota di presentazione del convegno del 30 marzo che ha scelto di tenere, significativamente, a Pontedera dove sta decollando intorno alla Piaggio un progetto strategico di automazione. Roberto Colaninno, Presidente e Amministratore Delegato di Piaggio & C. S.p.A. infatti ha messo recentemente in programma il dimezzamento della manodopera nella fabbrica di Pontedera.

La nuova rivoluzione industriale, denominata Industria 4.0, è caratterizzata da tecnologie che evolvono con ritmi e contenuti molto rapidi, determinando nuovi rapporti tra tecnologia e lavoro. Le conseguenze di questa rivoluzione investono gran parte dei processi produttivi, ma anche una nuova relazione tra consumatori e mercati, ridisegnando già da ora una diversa società.

La caratteristica principale di questa evoluzione è l’integrazione tra i processi fisici e le tecnologie digitali, che fa emergere una nuova centralità del “lavoro mentale” e rinnova i modelli organizzativi. Con il divenire intelligente della produzione, le grandi fabbriche risolvono progressivamente il superamento delle linee e la loro sostituzione con ‘isole’ autonome dove convivono uomini e macchine, team di lavoratori e robot.

Le piccole imprese, pur tra mille difficoltà in termini di investimenti in macchinari e R&D, intensificano e qualificano le caratteristiche della produzione italiana, con lavorazioni di nicchia che fanno convivere abilità artigianali classiche con quelle digitali.

Il tema viene affrontato dalle élite economiche, politiche e del sindacalismo confederale unicamente dal punto di vista delle novità tecnologiche e declinato nei capitoli degli investimenti e della politica industriale, lasciando in secondo piano l’enorme impatto sul mercato del lavoro, come se il cambiamento tecnologico fosse “neutrale” negli effetti che ha sui rapporti sociali ed economici.

Nei due secoli passati la sostituzione del lavoro dell’uomo con macchine non ha mai comportato un aumento stabile della disoccupazione, perché nuovi lavori si sono venuti a creare in un’economia in crescita costante.

Oggi però l’elemento dominante dell’economia mondiale è la crisi sistemica del modello di produzione capitalistica, con i mercati in costante affanno, se non in recessione, soprattutto nei paesi occidentali. Un contesto nel quale i processi di sostituzione di mansioni divenute obsolete con nuovi posti di lavoro non è possibile, a causa della competizione internazionale su mercati che si fanno sempre più ristretti rispetto alle enormi potenzialità produttive dei sistemi messi al lavoro.

Da un lato si assiste a una progressiva automazione di attività che hanno una certa componente di routine e in cui è possibile sostituire il lavoro umano con quello meccanico, dall’altro il crescente utilizzo di tecnologie aumenta ed estende il grado di standardizzazione di tutte le attività lavorative, rendendo più facile una sostituzione di lavoratori da parte di robot e macchine, anche in professioni finora non ritenute automatizzabili.

Emergono tecnologie come la stampante 3D che può creare gli oggetti più svariati, riducendo il lavoro manuale umano al minimo, pur rimanendo quello intellettuale.

Il lavoro di ricerca su Industry 4.0 oggi è principalmente finanziato da strutture pubbliche. Per i Poli Industria 4.0, sono stati messi a disposizione 40 milioni di euro di risorse pubbliche, ogni ‘competence center’ può ricevere fino a un massimo di 7 milioni 500mila in sovvenzioni per le spese di avviamento e fino a 200mila euro per ogni progetto.

A livello globale, sono moltissimi i programmi e gli interventi – declinati con strategie e formule differenti – dedicati allo sviluppo e all’utilizzo di macchine intelligenti, interconnesse a “Industria 4.0”. L’Unione Europea ha messo a disposizione per il periodo 2014-2020 cospicui finanziamenti (70,2 miliardi) a favore di enti pubblici, imprese e associazioni.

Il programma quadro si chiama Horizon 2020, che finanzia la ricerca e l’innovazione. Di questi 30 miliardi sono per l’Industria 4.0, spostando il suo baricentro dalle opere infrastrutturali all’innovazione tecnologica. La conduzione privatistica e mercantilista di questa nuova rivoluzione industriale è facilmente calcolabile in termini di posti di lavoro persi.

 

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