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Salerno: turistificazione e lavoro povero

Bisogna fare un giro nei siti di annunci per capire quanto è diventata forte, ovvia e normale l’idea che il lavoro si possa pagare poco, se non pochissimo, chiedendo in cambio grandi capacità, come la conoscenza di più lingue, assoluta disponibilità e molta flessibilità. E questo, se è vero per molte mansioni, lo è ancora di più per le donne ed i lavori considerati femminili: quelli di pulizia e cura, che sono in parte mansioni caratteristiche dell’economia dei B&B e del turismo salernitano.

Incontrare o raccogliere le testimonianze di alcune di queste lavoratrici aiuta ad avere ulteriori conferme su cosa è diventata una parte del mondo del lavoro nella città capoluogo.

Ad esempio, il sito Yoopies alla voce “Offerte di lavoro – donna delle pulizie a Salerno” presenta richieste di questo tipo: “Cerco una tata che si occupi sia dei bambini che della casa – la retribuzione è 550 mensile dal lunedì al venerdì e il sabato mezzo giornata”. Altri annunci riguardano specificamente le pulizie e la tariffa oraria indicata è quasi sempre fissata tra 6 e 7 euro. In subito.it, un annuncio cerca una badante donna per una persona con Alzheimer, per 5 giorni a settimana e 7 ore al giorno, con un compenso mensile di 600 euro.

Certo, alcune eccezioni sono presenti.

Ad esempio, il sito Jobijoba presenta la richiesta per le pulizie di 5 appartamenti, con una retribuzione di 10 euro per ora. Ma si tratta di eccezioni.

Il sito it.indeed.com pubblica l’annuncio di un lavoro part-time per addetto all’accoglienza presso case vacanze, con una buona conoscenza della lingua inglese, un mezzo di locomozione, disponibilità a lavorare con orari flessibili. Paga prevista? 500-700 euro al mese.

Quella della totale flessibilità oraria insieme alla disponibilità ad aderire ai valori dell’azienda per cui si potrebbe lavorare è una doppia richiesta che ritorna in quasi, se non tutti, gli avvisi. Ad un addetto alla vendita part-time, con retribuzione indicativa non riportata, ad esempio, si richiede la capacità di “offrire un’esperienza fantastica ai clienti”, di essere concentrati sugli obiettivi di produttività e di fornire una disponibilità flessibile, per tutto l’anno: in pratica, sere, fine settimana e festività comprese.

In molti casi, il riferimento a leggi o contratti nazionali di lavoro è del tutto assente. Colpisce un annuncio sul sito toptata.it nel quale per una baby sitter a tempo pieno, alla quale si richiede di svolgere anche le faccende di casa, la retribuzione è da negoziare con la famiglia. Come se il rapporto di lavoro fosse del tutto un fatto privato e non esistesse una legislazione di riferimento.

Queste richieste di lavoro si collocano in un contesto provinciale con un tasso di disoccupazione totale intorno al 15% e giovanile circa del 42%. Mentre nel solo comune di Salerno, il tasso di occupazione della popolazione attiva (quella tra 15 e 64 anni) è del 54%, secondo stime fondate su un’ elaborazione de Il Sole24Ore su dati del Ministero dell’economia e finanza e dell’Istat: dato che a livello nazionale è pari al 61,5%.

In effetti, si tratta di una richiesta di lavoro classica, quello di tipo domestico, a cui si è affiancato un insieme di richieste collegate all’economia locale dei Bed and breakfast, cresciuti negli ultimi dieci anni in città. Ciò che si vede in maniera lampante è che l’occupazione attivata dall’economia turistica è, almeno in parte, fatta di lavori poveri o sottoretribuiti.

La condizione lavorativa vissuta in questo tipo di economia è un dato molto sensibile, sul piano emotivo oltre che dei salari, per una parte della popolazione. Il fatto che se ne parli poco nella vita politica locale non va confuso con il fatto che tutto andrebbe bene.

Non è un caso che dopo l’intervista pubblicata a Awa Diop da questo giornale il 15 gennaio scorso – un donna senegalese che, dopo 13 anni a Salerno e svariati lavori, ha deciso di tornare al paese di origine in quanto in città la sua esperienza lavorativa è stata del tutto negativa – una studentessa mi ha contattato per scrivermi che: “mi è sembrato di leggere la storia lavorativa di mia madre. Sfruttata a nero anche per 400 euro nei Bed and breakfast o per famiglie. A lavorare anche a Natale”.

Una storia da raccontare, come altre sono presenti in città. Una storia che la studentessa, successivamente contattata, ha presentato così: “Mia madre trova lavoro grazie al passa parola tra le lavoratrici domestiche e di cura e grazie al quartiere in cui abita, zona ad alto tasso di concentrazione di Bed and Breakfast. Una fitta rete di relazioni, fatta di lavoratrici cilentane, filippine e ucraine, tutte in contatto quando si tratta di cercare un nuovo lavoro.

Di frequente, infatti, capita di restare senza lavoro nell’ambito delle mansioni di cura, per questo la rete di contatti è così necessaria. Funziona così. Lei perde il lavoro o, meglio, spesso si licenzia esausta delle condizioni lavorative e, contemporaneamente, un nuovo Bed and Breakfast apre nel quartiere. Ricchi, liberi professionisti e pluriproprietari, gestori del nuovo Bed and Breakfast, entrano in contatto con alcune lavoratrici domestiche del quartiere e il contatto finisce in mano a mia madre. Un appuntamento e il lavoro parte”.

Come funziona il lavoro, concretamente? Il racconto continua: “mia madre non ha un orario di lavoro definito. Di sera il proprietario le scrive un messaggio su WhatsApp anche a mezzanotte e le indica l’orario e le cose da fare il giorno dopo. Lei pulisce tutte le camere e lava tutte le lenzuola. È l’unica dipendente, a nero. Per almeno 8 ore al giorno, al mese guadagna 500 euro. Deve essere sempre disponibile. I proprietari sfruttano la sua vicinanza nel quartiere per chiederle di essere sempre più presente. Come dicono alcuni: ‘Vabbè mentre va a fare la spesa può allungarsi al bed and breakfast’. Domeniche e festività sono i giorni di maggiore affluenza e lei lavora sodo. Dopo un annetto lo molla. La proposta che proprio non poteva accettare prevedeva 12 ore al giorno per 700 euro”.

Ovviamente, con tali cifre si fa molta fatica a vivere. Ed allora, i lavori si moltiplicano. La storia della mamma della studentessa che mi ha contattato continua così: “nel frattempo, mia madre ha altri due lavori il cui ricavato è solo di 400 euro. Ed è di nuovo alla ricerca di un terzo lavoro. Sempre nel nostro quartiere viene aperto un nuovo B&B, anche in questo caso benestanti prendono in affitto più appartamenti in diversi stabili per trasformarli in s trutture ricettive turistiche. Mia madre inizia a lavorare per loro. La paga è di 100 euro a settimana per 30 ore settimanali. Natale e Capodanno li ha passati tra le vacanze e il tornaconto di altri, non con me. Aveva un giorno di riposo a settimana che non coincideva mai con quello della settimana precedente. Non poteva programmare nulla, una visita medica o il parrucchiere perché sempre di sera su WhatsApp all’ultimo minuto le veniva comunicato che il suo giorno libero sarebbe stato il giorno seguente. La proprietaria le ha permesso di lavorare (sempre a nero) per il periodo natalizio e poi, finita l’affluenza, le ha candidamente detto che l’avrebbe richiamata quando i turisti sarebbero aumentati. Un lavoro al servizio del profitto altrui senza la più lontana considerazione del lavoratore sottoposto. Semplicemente, non le serviva più: poi ti richiamo, le hanno detto”.

La piena disponibilità. La totale flessibilità. Come quella richiamata negli annunci che abbiamo letto. È, d’altronde, questa la considerazione fatta dalla stessa studentessa: “Non si trattava di una condizione pattuita all’inizio, non era un lavoro a tempo determinato né a chiamata. Ci sono semplicemente gli interessi dei più forti che si costruiscono sulla necessità dei più deboli. Il patto non prevede che non si lavori, che il gestore non lavori molto con il suo B&B: in questa situazione semplicemente non ti paga e, così, quando si trova vuoto il rapporto si chiude con una doccia fredda per chi è dipendente, sebbene a nero”.

Dunque, l’economia del turismo, dei B&B, del lavoro di cura pagato non è necessariamente un’economia di sussistenza. Può essere un’economia florida, che si fonda sul fatto che s olamente una parte della società salernitana, quella già più ricca, ha accesso a questo tipo di imprenditoria.

Il progetto di turistificazione giustificato nell’ottica dello sviluppo economico e della produzione di ricchezza si basa, dunque, in maniera strutturale, cioè nella sua logica di funzionamento, su disuguaglianze economiche e un insieme di lavori poveri Si tratta di un progetto economico che crea ricchezza solo per chi è già ricco e non emancipa la posizione lavorativa e sociale di chi vi svolge i lavori da dipendente.

Per tacere degli effetti di queste pratiche economiche e turistiche sul mercato degli alloggi, di cui parleremo presto, sebbene anche questo sia un argomento quasi tabù per la politica e la società locale.

Dipartimento di Scienze Politiche, Sociali e della Comunicazione – Università degli Studi di Salerno

Pubblicato dal “Quotidiano del Sud” (edizione di Salerno)

 

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1 Commento


  • Gianna

    La pura, dura, sottaciuta verità. Bravo a chi l’ha fatta emergere, almeno in un articolo di giornale. Mi chiedo perché, però, chi di dovere non indaga per far emergere queste storie di donne, soprattutto, sfruttate perché hanno bisogno. La stessa triste storia si ripete negli esercizi commerciali, negli studi medici e in svariati altri ambiti lavorativi, dove, oltretutto, gli incassi non mancano…che schifo! Approfittarsi di chi ha bisogno

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