L’avvio degli incontri tra la nuova compagnia aerea ITA e le organizzazioni sindacali Cgil Cisl Uil e USB è segnato da alcuni fatti politici di enorme rilievo e con ricadute terribili oggi sul personale Alitalia (o meglio ex Alitalia) e a breve, se non verranno fermati, su milioni di lavoratori italiani.
Il punto politico principale è che una compagnia a capitale completamente pubblico si sganci dal contratto di settore Assoaereo, come fece la Fiat quando uscì da Confindustria, decidendo quindi di avere mano libera su tutto: dalla gestione dei licenziamenti, al nuovo contratto collettivo di lavoro, alle politiche aziendali, senza alcun laccio e lacciuolo che la leghi al rispetto perlomeno di quei diritti e quelle conquiste acquisite negli anni dai lavoratori del settore.
È evidente come una tale scelta stia maturando dentro un quadro economico e politico dettato da quella dottrina europea, oggi sdoganata da Draghi, che vuole lo Stato impegnato a favorire unicamente la crescita dei “campioni” industriali e contemporaneamente determinato ad abbandonare quelle aziende non ritenute tali o che sono su mercati appetibili – cioè possibile merce di scambio a livello europeo – che quindi per definizione non hanno titolo ad essere sostenute.
Il paradosso, ma non lo è poi tanto in questa ottica, è che sia proprio una azienda oggi tutta pubblica a mettere in atto processi che, così come sono stati annunciati, non possono che portare alla definitiva conclusione della gestione pubblica del trasporto aereo nel Paese, anche facendo vera macelleria sociale di chi nel settore lavora.
Queste scelte, che dovrebbero vedere un contrasto forte, determinato e ampio che vada ben oltre le generose lotte dei lavoratori e delle lavoratrici oggi al centro della ristrutturazione, provano anche a sancire l’affermazione del concetto che sia necessario più Stato per il privato, cioè l’utilizzo di tutti gli strumenti in mano al pubblico per favorire, anche togliendosi di mezzo, l’affermarsi del privato e del mercato sempre più deregolamentato, che nel caso di specie sono rappresentati plasticamente dalle compagnie low cost e dalle compagnie aeree europee.
Una sorta di rivoluzione al contrario: alla forte richiesta di nazionalizzazione delle imprese strategiche e/o in crisi attraverso un nuovo strumento pubblico che assuma le funzioni una volta dell’IRI e che da molto tempo ormai è parte della discussione politico-economica, si risponde con un uso spregiudicato delle aziende pubbliche per aprire la strada a vere e proprie riorganizzazioni produttive con drammatici esiti sull’occupazione e non ultimo, sul sistema Paese.
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