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Il 26 Maggio sarà sciopero generale. “Il cuore oltre l’ostacolo”

Intervista a Guido Lutrario dell’Esecutivo nazionale dell’Unione Sindacale di Base.

Il 26 maggio avete convocato uno sciopero generale. È una scelta impegnativa. La decisione dell’Usb è stata “una fuga in avanti”?

Ci dovrà pur essere qualcuno in questo Paese che abbia il coraggio di buttare il cuore oltre l’ostacolo. In tutta Europa le organizzazioni sindacali stanno sostenendo proteste e scioperi prolungati per combattere l’attacco alle condizioni di vita dei ceti popolari. Qui in Italia siamo intrappolati nella gabbia di un sistema che vede Cgil, Cisl, Uil e Confindustria tenere sotto controllo il conflitto sociale.

Il Governo sforna misure contro i lavoratori a getto continuo e risponde a tutte le richieste dei padroni, senza che si produca una risposta. L’USB sente l’esigenza di mettere in campo le forze di cui dispone, di opporre una resistenza, di far capire ai lavoratori che si può reagire, che restare a guardare non avrà altro effetto che incoraggiare i padroni ad alzare sempre più il tiro.

L’emergenza bassi salari in Italia è una costante che condiziona questo paese da almeno trenta anni. Quali sono le caratteristiche della questione salariale oggi?

I salari in Italia sono fermi da anni e, con l’inflazione che ha ripreso a correre, hanno subito una fortissima perdita di potere d’acquisto. L’intervento del governo sull’esonero parziale dei contributi previdenziali (impropriamente conosciuto come taglio del cuneo fiscale) non solo è una goccia nel mare ma ha come contropartita la moderazione salariale nei rinnovi contrattuali. Senza un intervento di legge sul salario minimo e senza un nuovo meccanismo di adeguamento dei salari (e delle pensioni) all’andamento reale dei prezzi, continueremo a subire la discesa verso il basso delle retribuzioni.

Purtroppo questo è esattamente il programma di questo governo: far scendere i salari per reggere la competizione sulla scena internazionale attraverso il contenimento del costo del lavoro. Il che ha come effetto la fuga all’estero delle professionalità e il ridursi della nostra economia ai settori dove si concentra il lavoro sottopagato, dal turismo al commercio, dalla ristorazione ai servizi di cura. Un paese in via di deindustrializzazione, dove l’unica cosa che cresce è il lavoro precario e frammentato.

Aumenti dei prezzi, basse retribuzioni, precarietà. Le condizioni del lavoro e dei lavoratori e lavoratrici gridano vendetta da ogni punto di vista, eppure nel paese stenta a esprimersi un conflitto sociale conseguente. Secondo voi dove sta “l’intoppo”?

C’è innanzitutto un fattore strutturale, la scomparsa delle grandi aziende. Aver eliminato le grandi concentrazioni di lavoro, in particolare di lavoro operaio, è stato un obiettivo scientemente perseguito dal padronato, che in questo modo ha “normalizzato” il Paese. Le conseguenze sono state un impoverimento crescente, con forti disparità sia sociali che territoriali (con le regioni del sud ormai a grande distanza da tutte le altre), e un abbassamento del livello dei diritti e della democrazia.

 

Sono cresciuti l’egoismo e il razzismo, è diminuita fortemente la partecipazione politica e sociale, c’è un abbrutimento culturale diffuso che è figlio sia della povertà che della ridotta propensione delle persone a confrontarsi e ad agire collettivamente. E poi ci sono fattori più politici, l’inglobamento dei sindacati confederali nel sistema, con la funzione di esercitare un controllo sul conflitto sociale, la legge antisciopero che risale a più di trent’anni fa e che rende molto complicato replicare in Italia quello che succede in Francia o in altri paesi, le regole della contrattazione che assicurano il monopolio della rappresentanza ai sindacati “di sistema”.

Anche l’assenza di una forza politica che assuma coerentemente la rappresentanza degli interessi di lavoratori e lavoratrici fa parte dell’intoppo. Questi sono tutti fattori che rendono complicata la ripresa di un conflitto sociale diffuso. La partita però è tutt’altro chiusa, perché la storia non si ferma ma produce continuamente nuove contraddizioni ed anche inedite opportunità di una inversione di rotta. Ed è su queste che lavoriamo.

 

Diversamente dagli altri sindacati avete rifiutato di andare all’incontro con la Meloni alla vigilia del 1 maggio che poi ha prodotto il Decreto lavoro. Perché?

L’incontro aveva perduto di senso, i contenuti del Decreto erano già stati resi noti alla stampa da diverso tempo e il governo aveva già fatto capire di non essere minimamente interessato al confronto. In più, una convocazione la sera della domenica, suonava come uno sfottò. Gli altri sindacati sono abituati a fare l’opposizione di “sua maestà”, noi siamo un’altra cosa.

 

Come valutate il Decreto lavoro? Quali sono gli elementi di continuità o – se ci sono – di discontinuità con misure analoghe precedenti come il Jobs Act?

Il Decreto del Primo maggio aumenta la precarietà, rilanciando i contratti a tempo determinato ed estendendo l’uso dei voucher. In questo c’è una fortissima continuità con il Jobs Act, perché la logica è oggi come allora quella secondo la quale l’aumento della flessibilità del lavoro è destinata a favorire un rilancio dell’occupazione. I fatti dimostrano che la flessibilità aumenta solo i bassi salari e la povertà, mette i lavoratori sotto ricatto e quindi riduce la soglia dei diritti.

Nel Decreto poi ci sono altre scelte da combattere, come l’abolizione del reddito di cittadinanza, sostituito da una misura per la quale sono destinate minori risorse e che prevede una riduzione della platea dei beneficiari. Inoltre si irrigidisce il rapporto tra diritto alla misura di sostegno al reddito e obbligo ad accettare la proposta di lavoro, anche a tempo determinato, per pochi giorni e a grande distanza dalla propria abitazione.

Lo scopo è sempre lo stesso: obbligare ad accettare un lavoro, quale che sia, e soprattutto a salario da fame.

Cosa vi aspettate dallo sciopero generale del 26 maggio. Avete una idea di come dare seguito ad una giornata di lotta?

Sarà uno sciopero che vedrà impegnate moltissime categorie che oggi sono accomunate da un problema molto concreto: le basse retribuzioni. Non ci aspettiamo di fermare il Paese ma sappiamo che in molte aziende ci sarà una forte adesione. Il trasporto aereo non potrà scioperare quel giorno, sempre per la maledetta legge 146, ma lo farà il 19 maggio e siamo convinti che darà una spinta in avanti agli altri settori. Ci sarà una adesione forte nel trasporto locale in tantissime città, replicando i riuscitissimi scioperi nazionali degli ultimi mesi.

Sarà forte lo sciopero anche nei porti, da Genova a Livorno a Trieste, a Civitavecchia, a Salerno, ecc. Le astensioni si sentiranno in moltissimi magazzini della logistica. Coinvolgeranno il mondo delle aziende partecipate e dei servizi a rete. Poi sciopererà il pubblico impiego che il 16 terrà a Roma un Controforum sulla Pubblica Amministrazione e che ha saputo che non c’è un euro per i rinnovi contrattuali. E poi sciopereranno tanti lavoratori dei settori atipici, dai taxi ai farmacisti, dai rider ai precari dello spettacolo fino ai braccianti.

Ma il 26 porteremo in piazza anche la questione abitativa che grazie agli studenti è tornata al centro dell’attenzione generale e che costituisce l’altra faccia della precarietà sociale.

Lo sciopero generale questa volta, però, non avrà al centro solo i temi tipicamente sindacali, come i salari, la precarietà, la questione degli appalti, il diritto alla casa. Ci saranno sul piatto anche altri temi di impatto generale. In primo luogo la guerra e l’aumento delle spese militari: lo slogan alzate i salari, abbassate le armi sintetizza bene da tempo la nostra posizione su questo tema.

Ma poi ci sarà anche la questione democratica, contrassegnata dalla pericolosa accelerazione sul tema dell’autonomia differenziata e dai progetti presidenzialisti della Meloni. Queste questioni sono di minor presa sulla cittadinanza ma sono destinati a produrre effetti devastanti sulla società e USB ha ben chiaro che la questione sociale non può mai separarsi dalla questione delle libertà e dei diritti democratici.

Lo sciopero sarà infine l’occasione per riprendere i temi che sono stati al centro della bellissima manifestazione del 28 aprile a Roma, intitolata “Non sulla nostra pelle”, che ha visto finalmente in piazza un forte protagonismo del proletariato migrante.

Tutti questi argomenti, insieme alla difesa dell’ambiente e alla lotta alle disparità di genere, dovranno essere ricompresi in una grande manifestazione che stiamo preparando per giugno e che vogliamo condividere con un vasto arco di forze sociali e politiche.

Lo sciopero quindi vuole essere volano di mobilitazioni che vadano oltre il mondo del lavoro e riescano a comporre un movimento più ampio. Su questo stiamo già organizzando incontri e riunioni per condividere il percorso. Il nostro obiettivo è rimettere in moto la società. Perché, prima o poi, ne siamo sicuri, la società italiana tornerà a mettersi in movimento.

 

Foto di apertura Patrizia Cortellessa

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2 Commenti


  • Mara

    La cosiddetta sostituzione etnica che tanto preoccupa questo governo non vale per lo stesso quando si tratta di sostituire le professionalità come i medici di cui qui c’è carenza poiché i nostri medici se ne sono andati all’estero e per il numero chiuso di facoltà come medicina fino allo scorso anno e perche non è stato garantito il diritto allo studio ai giovani italianii


  • Gianni Sartori

    Dalla Francia in lotta contro la legge sulle pensioni, al Belgio, al Paraguay e anche negli Stati Uniti, le lotte dei lavoratori sindacalizzati – come un fiume carsico – riemergono prepotentemente nelle strade e nelle piazze. A buon rendere.

    RITORNA LA LOTTA DI CLASSE? A DIRE IL VERO NON SI ERA MAI ASSENTATA.

    Gianni Sartori

    Confesso che il dubbio mi era venuto. Ossia che – mentre il capitalismo in tutte le sue molteplici e svariate varianti proliferava ricoprendo il pianeta di immondizie e cadaveri – la vecchia cara “classe operaia”, se non proprio in via di estinzione, ultimamente appariva alquanto malmessa, in disarmo. Tanto da farmi dire che se ai “miei tempi” si discuteva di “proletariato in sé” e di “proletariato per sé” ormai si doveva parlare di “proletariato completamente fuori di sé” (ossia definitivamente assorbito, sussunto alla società della merce e dello spettacolo).

    Ma evidentemente peccavo di pessimismo. Smentito (mi auguro almeno) da qualche recente segnale odierno di mobilitazione sindacale.

    Cominciamo dalla Francia (sempre in prima fila, almeno dal 1789).

    Il 15 maggio circa 200 persone hanno tentato di penetrare nel Circuito del Grand Prix di Pau per protestare contro la nuova legge sulle pensioni. Poco dopo iniziavano gli scontri con la polizia che cercava di impedirlo facendo ampio uso di lacrimogeni. Colpendo sia manifestanti che spettatori dell’evento sportivo. Una cinquantina di manifestanti intanto si era radunata davanti all’altro ingresso, ma anche questi venivano bloccati dallo schieramento delle forze dell’ordine. Solo alcuni, utilizzando le scale, raggiungevano un recinto dove un paio di poliziotti sarebbero stati momentaneamente “circondati”. Al momento non si registrano fermi o arresti.

    A Zellik, in Belgio (sempre lunedì 15 maggio, ma nel pomeriggio) alcuni sindacalisti avevano realizzato un simbolico “posto di blocco” davanti al centro di distribuzione dei supermercati Delhaize. La direzione ha immediatamente convocato un ufficiale giudiziario e la polizia si è presentata in forze. La protesta nasceva dalla dichiarata intenzione di Delhaize di liberalizzare, concedendola ad altri (“franchiser”) la gestione dei suoi circa 130 magazzini, attualmente ancora gestiti in proprio. Deplorando il sostanziale impedimento di ogni manifestazione di dissenso, i sindacati hanno posto in essere decine di iniziative.

    Da Drogenbos a Ixelles (in due diverse occasioni), da Bruxelles a Gand, da Saint-Gilles a Liegi.

    Ricoprendo gli edifici e le vetrine di scritte, sgonfiando i pneumatici dei camion dell’azienda, bloccando le serrature e ricoprendo di olio industriale i carrelli. 

    Dall’altro lato dell’Atlantico, in Paraguay (anche se il paese non ha sbocchi sull’Oceano), nella giornata di venerdì 12 maggio i lavoratori in sciopero di Añá Cuá (Ayolas, dipartimento di Misiones) si sono riuniti davanti all’entrata di EBY (Entità Binazionale di Yacyretá). Qui si sono registrati scontri con le forze della polizia nazionale dopo che i manifestanti avevano bloccato la strada. Numerosi feriti tra i lavoratori in sciopero contro cui la polizia ha utilizzato fucili da caccia caricati con pallettoni di plastica.

    Dagli Stati Uniti la novità che Starbucks rischia di venir condannato per “politica antisindacale”.

    Risale al dicembre 2021 la costituzione di un primo sindacato, rappresentativo di diverse centinaia di lavoratori, in alcune succursali di Starbucks a Buffalo. Presto seguito da almeno altre 300 succursali coinvolgendo circa 7mila dipendenti dell’azienda. In marzo un giudice amministrativo ha riconosciuto la nota catena di caffè (una multinazionale con sede principale a Seattle) colpevole di molteplici violazioni della legislazione del lavoro. In particolare per aver impedito la sindacalizzazione dei suoi dipendenti. Licenziandone parecchi dopo che si erano impegnati nella propaganda sindacale e minacciandone altri. Non solo. Avrebbe garantito vantaggi e promozioni a coloro che votavano contro la costituzione di un sindacato. Nei giorni scorsi, convocato dalla commissione per gli Affari Sociali, un responsabile della catena ha dichiarato di non accettare questa decisione in quanto, a suo avviso “Starbucks non ha violato la legge”. Parlava della“ sua” evidentemente.

    Gianni Sartori

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