Menu

L’accerchiamento Nato della Russia

Nel quadro della verifica di reattività delle forze aero-navali russe della Regione meridionale, una squadra navale della flotta del mar Nero sta conducendo esercitazioni tattiche per il rinvenimento di truppe d’assalto nemiche, che abbiano come obiettivo principale la Crimea. Manovre simili sono state condotte ieri, con l’ausilio di aerei antisommergibile, anche lungo le coste del Pacifico, per la scoperta di potenziali vascelli subacquei nemici.

La Russia ha di che stare all’erta. Il 10 febbraio scorso, al termine del vertice di Bruxelles dei Ministri della difesa dell’Alleanza atlantica, il segretario generale, Jens Stoltenberg, ha annunciato l’adozione della proposta di rafforzamento della presenza militare Nato in Europa dell’est, Mediterraneo orientale e mar Nero. E il candidato democratico (?) alle primarie degli Stati Uniti, Bernie Sanders, ha dichiarato ieri che “l’Amministrazione americana deve collaborare più attivamente con la Nato per difendere l’Europa dalle minacce di aggressione russe”.

La russa RT riportava ieri alcune dichiarazioni rilasciate al Times dal Ministro della difesa britannico Michael Fallon, al termine del vertice di Bruxelles, secondo il quale la flotta di sua maestà contribuirà alla lotta della Nato contro “l’aggressione russa”, inviando a est navi da guerra e personale militare. Secondo Fallon, “il dispiegamento di forze Nato lancerà ai nostri nemici un chiaro segnale, che siamo pronti a rispondere a qualunque minaccia e a difendere i nostri alleati”. Secondo il Times, non si tratta solo di dichiarazioni: cinque vascelli britannici e oltre 500 uomini stanno per essere trasferiti nelle acque circostanti le coste russe. Entro il prossimo luglio giungerà nel Baltico una fregata; un cacciatorpediniere la seguirà in ottobre-novembre. Tre dragamine saranno inviati per quattro mesi nel Baltico, Mediterraneo e Atlantico settentrionale. Le truppe, inoltre, andranno a unirsi ai seimila uomini Nato in sei paesi dell’Europa orientale, quale “mezzo di intimidazione” contro un “possibile attacco” russo a Polonia e paesi baltici.

Come scrive il Times, la NATO ha respinto la richiesta polacca della creazione di basi militari permanenti, temendo che ciò indurrebbe Mosca a rispondere con lo schieramento di proprie truppe ai confini occidentali. Si prevede perciò di creare una rete di piccoli punti di forza, con rotazione di truppe, periodiche esercitazioni militari e apertura di depositi per attrezzature militari da utilizzare da parte di task force che comprendano forze aeree e navali, oltre a truppe speciali fino a 40 mila uomini.

Per il 2016, gli USA prevedono di aumentare di 4 volte le proprie spese militari in Europa, esigendo dai paesi Nato stanziamenti per la difesa pari al 2% del PIL. Il tutto, naturalmente, commenta RT, viene condito dalla dichiarazione dell’ambasciatore USA presso la Nato secondo cui “la Nato è un’alleanza difensiva e nessuno deve temere che essa intraprenda operazioni d’attacco”.

A lato di tali dichiarazioni “difensive” degli alti rappresentanti dell’Alleanza atlantica, ancora RT riporta le affermazioni del direttore del National Intelligence USA, James Clapper, secondo cui la disgregazione dell’Urss e la conseguente fine della stabilità basata su un sistema mondiale bipolare, hanno reso il mondo più pericoloso. Evitando ovviamente di chiedersi chi, per settant’anni, abbia perseguito e alla fine raggiunto quella disgregazione, Clapper ammonisce che pesa oggi sugli USA una quantità di minacce senza precedenti.

Sarà dunque per questo che la strategia di Washington consiste nello stringere attorno alla Russia un anello sempre più fitto di “rivoluzioni colorate”. A questo proposito, l’agenzia Novorosinform scrive che nel bilancio 2017 il Dipartimento di stato USA pianifica di destinare 953 milioni di $ al “sostegno della democrazia” nei paesi vicini alla Russia. I fondi sarebbero destinati soprattutto a Ucraina, Georgia, Moldavia e paesi dell’Asia centrale, sotto l’eloquente voce “Azioni di contrasto all’aggressione russa attraverso la diplomazia sociale, programmi di aiuti esteri e creazione di un governo stabile in Europa”, per cui si prevede una spesa complessiva di 4,3 miliardi di $. A fronte di tali cifre, Novorosinform rileva sarcasticamente come gli USA si siano al contrario rifiutati di farsi garanti per il debito di 3 miliardi di $ di Kiev nei confronti di Mosca, segno evidente di quanta fiducia nutrano oggi sul Potomac nell’economia ucraina, nonostante che alla vigilia del golpe del 2014 avessero foraggiato qualcosa come duemila organizzazioni antigovernative. Ad ogni modo, già per il 2016 Washington ha stanziato 117 milioni di $ per l’Ucraina e 51 per Moldavia e Georgia: paesi che hanno già avuto le loro rivoluzioni arancioni. Ecco che invece in Asia centrale, il contrasto alla “aggressione russa” passa per Kazakhstan e Kirghizia, da tempo orientate verso Mosca con l’Unione doganale e, insieme al Tadžikistan, inseriti nell’Organizzazione di Sicurezza Collettiva, di cui fanno parte anche Russia, Armenia e Bielorussia.

Il professore dell’Università di Mosca, Andrej Manojlo, a proposito dei regimi instaurati con le “rivoluzioni colorate”, ha dichiarato a Novorosinform come il metodo tradizionale USA sia quello di cominciare col creare sistematicamente, soprattutto tra gli strati giovanili, un clima anti-russo, che si trasforma poi, sotto le giuste direttive e con le necessarie intromissioni, nelle “rivoluzioni colorate”. Una volta avvenute queste, l’intervento e la presenza sono poi più diretti; Manojlo ricorda come in Georgia, ad esempio, in ogni Ente e Ministero lavorasse a suo tempo un “tutore” statunitense; in Ucraina invece è direttamente l’ambasciata USA a occuparsi delle questioni e a impartire gli ordini. Oggi, il sostegno finanziario yankee è destinato alla traballante economia ucraina, mentre in Georgia va a spalleggiare le élite più “leali” a Washington, dopo la fuga del fedelissimo Saakašvili e il non completo allineamento dell’attuale potere.

Nel mirino yankee ci sarebbe poi l’Armenia, alleata della Russia nel Caucaso, ove l’estate scorsa è messo a punto lo scenario di un nuovo tipo di rivolta, definita “elettromajdan”, secondo il metodo della cosiddetta “transizione democratica”.

Stando a Manojlo, la probabilità di una nuova “rivoluzione colorata” è abbastanza alta in Tadžikistan e ancor più in Kirghizistan (qui, si tratterebbe della terza rivoluzione), mentre sembra particolarmente sgradito agli USA il presidente uzbeko Islam Karimov. Dato che però è difficile immaginare, nella regione, rivolte nel segno della “eurointegrazione”, come per l’Ucraina, ecco che nel Tadžikistan si punta su contrapposizioni regionali interne, mentre in Kirghizia sono le organizzazioni non governative statunitensi che fanno propaganda tra la popolazione essenzialmente rurale. E un fattore non certo secondario nella regione è quello islamico – dalle 5 di questa mattina è in corso un’operazione di sicurezza nella regione di Kasavjurt, in Daghestan, contro una delle non poche formazioni terroristiche infiltrate nell’area – finora tenuto a freno, forse, solo dalla presenza di basi militari russe.

In ogni caso, sulla questione della pressione sempre più forte della Nato attorno ai confini russi si è sentito in dovere di intervenire anche uno che alla disgregazione dell’Urss e alla conseguente avanzata USA e Nato in Europa orientale aveva dato un contributo non di poco conto: l’ultimo presidente dell’Unione Sovietica Mikhail Gorbaciov. Dopo le dichiarazioni di Stoltenberg, Gorbaciov ha detto ieri che la Russia deve reagire a tali propositi Nato, “una pappa cucinata dal loro capocuoco, gli Stati Uniti”.

Per dirla col Boccaccio, “piangasi il danno a cui di ciò mal piglia”.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *