Da ieri pomeriggio e fino a sabato 21 dicembre, le lavoratrici e i lavoratori delle Funzioni Centrali della PA sono chiamati ad esprimersi sul contratto del loro comparto, sottoscritto in pre-intesa da una risicata maggioranza dei sindacati al tavolo di contrattazione composta da Cisl e sindacati autonomi.
Sebbene dall’abolizione della scala mobile i contratti del PI abbiano smesso di svolgere la loro principale funzione di miglioramento reale delle condizioni salariali, non era mai successo prima che gli aumenti non solo non coprissero l’inflazione ma che addirittura lasciassero sul terreno la perdita secca del 10% del potere d’acquisto degli stipendi.
Non c’è mai stata nessuna reale volontà di trattativa da parte di un governo che si è seduto al tavolo con risorse assolutamente insufficienti e non negoziabili e l’obiettivo di chiudere nel più breve tempo possibile e con qualunque maggioranza presente.
Gravi le responsabilità che pesano sulle spalle dei firmatari nella sottoscrizione, senza neanche la parvenza rituale di una protesta, di un contratto che sancisce l’impoverimento delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici e lo svilimento della funzione che questi svolgono a garanzia e tutela dello stato sociale di questo Paese.
Ma anche un cambio di passo nelle relazioni sindacali, con una CISL sempre più subordinata e complice di questo governo e la miseria di sindacati autonomi pronti all’incasso per il servizio reso.
Il quadro è stato fin da subito chiaro e così le nostre scelte: dall’abbandono del tavolo l’8 ottobre, allo sciopero della categoria del 31 ottobre, fino allo sciopero generale del 13 dicembre.
Il problema dei salari è ormai esploso in maniera evidente in questo Paese persino quando il datore di lavoro è lo Stato. I primi a potere dire qualcosa sono adesso proprio quei dipendenti pubblici che da ieri pomeriggio stanno esprimendo il proprio dissenso e respingendo al mittente questo pessimo contratto, riappropriandosi del diritto di decidere su ciò che li riguarda direttamente, anche al di là dell’appartenenza sindacale.
Su questo singolo obiettivo stiamo condividendo un percorso con CGIL e UIL, che come noi non hanno sottoscritto la pre-intesa, volto a un preciso scopo: ribaltare un accordo che sta dentro le scelte economiche di un Governo servo dei poteri forti, con un osceno progetto di società, capace solo di accelerare pericolosamente il coinvolgimento del nostro Paese nel piano inclinato della guerra e di smantellare i servizi pubblici e colpire i lavoratori senza disturbare chi continua ad arricchirsi impunemente.
Nessuna unità sindacale astratta, nessuna amnesia sulle differenze e responsabilità che gravano sulla storia sindacale degli ultimi decenni ma la consapevolezza, che ci deriva dalla forza della nostra identità, che l’esito di questo referendum riguarda tutti e tutte e che impedire di chiudere definitivamente questa partita ha un peso politico che non si può confinare solo a chi è direttamente coinvolto.
Lottare si può e si deve, oggi col voto al referendum, domani con l’adesione a USB e l’affermazione e la crescita alle prossime e vicine elezioni RSU di aprile 2025.
Per USB è una lotta strategica, per questo ogni posto di lavoro diventa campo di battaglia, luogo di agitazione, di presa di parola e di coscienza. Serve alzare la testa e dire al Governo, al ministro Zangrillo, a quei sindacati che stanno mettendo in campo meschini tentativi di boicottaggio del referendum, che stavolta sarà dura passarla liscia.
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