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Anonymous’: «More shit will come». Altri dati della polizia in rete

Anonymous Italia pubblica in rete 6000 nominativi appartenenti alla polizia di stato. L’annuncio è stato dato ieri sera intorno alle 19 dalla pagina Facebook Operation Payback ITA, il canale ufficiale che la crew utilizza solitamente per annunciare le sue operazioni. Stando alle dichiarazioni degli hacktivisti, il file diffuso in rete attraverso la piattaforma di hosting anonfiles.com, contiene nomi, cognomi, nickname ed indirizzi e-mail di personale in servizio alle forze dell’ordine. Circa 2000 degli identificativi pubblicati sono anche abbinati a degli indirizzi IP. Sebbene alcune testate on-line (è il caso di giornalettismo.com) abbiano dichiarato che questo leak «mette a rischio le indagini dei poliziotti coinvolti» allo stato attuale delle cose non c’è alcun elemento a sostegno di questa tesi. È impossibile infatti affermare con certezza a quali servizi permettano di accedere queste credenziali ed a che reti si riferiscano gli indirizzi IP presenti nell’elenco.
Si tratta evidentemente di una risposta messa in atto da Anonymous Italia dopo gli arresti e le perquisizioni avvenute 6 giorni fa nell’operazione “Tangodown” coordinata dal CNAIPIC (il Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche) e dai procuratori di Roma Capaldo e Lori. La terza in ordine di tempo dopo che lunedì era stato messo a segno un attacco contro il sito del tribunale di Roma mentre martedì erano state diffuse in rete le istruzioni per dar vita ad un’iniziativa di fax bombing contro la sede del palazzo di giustizia capitolino.
Alla guerra di posizione avviata dalla polizia postale, Anonymous risponde con una strategia di “guerriglia-lampo”: ogni giorno un’iniziativa mordi e fuggi che, oltre a smentire la tesi della procura romana che ne voleva “decapitato il vertice” e neutralizzata la capacità operativa, sta mettendo in cattiva luce anche la capacità degli inquirenti di gestire la situazione.
La partita non sembra però finita qui. «More shit will come soon» giurano gli attivisti dai loro profili sui social network. E, visto quanto accaduto in passato, c’è da credergli.

da Infoaut

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