E’ arrivata dopo più di sette ore di camera di consiglio la sentenza del processo di primo grado per la morte del giovane romano che non uscì vivo dal ‘repartino’ dell’ospedale Pertini di Roma ad una settimana dal suo arresto nella capitale. Pene irrisorie quelle inflitte ai sei medici che dovevano curare Cucchi quando era ricoverato nel reparto ‘protetto’ dell’Ospedale Sandro Pertini, tutte sotto i due anni e comunque tutte sospese, per omicidio colposo. Assolti invece i tre agenti di polizia penitenziaria e i tre infermieri. Nello specifico la terza corte d’assise di Roma, presieduta da Evelina Canale, ha condannato a due anni di reclusione il primario della struttura protetta del Sandro Pertini, Aldo Fierro. Un anno e quattro mesi di reclusione sono stati inflitti ai medici della stessa struttura, Stefania Corbi, Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno e Luigi Preite De Marchis. Condanna a 8 mesi di reclusione per il medico Rosita Caponetti. L’accusa per i condannati è di omicidio colposo. Assolti gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli, Domenico Pepe e gli agenti della polizia penitenziaria Nicola Menichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici.
Una sentenza scandalosa che ha scatenato l’immediata rabbia di alcuni dei familiari e degli amici di Stefano Cucchi e di altre vittime di abusi da parte di esponenti delle forze dell’ordine. ‘Dov’è la giustizia? Assassini, assassini’ è il grido che si è levato dai posti riservati al pubblico immediatamente dopo la lettura della sentenza mentre la sorella della vittima, Ilaria, ha reagito con le lacrime. Ci sono stati anche attimi di tensione quando i poliziotti hanno tentato di bloccare la reazione del pubblico.
Poi le proteste sono proseguite anche all’esterno dell’Aula bunker del carcere di Rebibbia. ‘Siete tutti complici” hanno gridato ai carabinieri che presidiavano l’Aula parenti e amici delle vittime di ‘malapolizia’. Tra loro Lucia Uva, la sorella di Giuseppe, morto dopo esser stato fermato dai carabinieri a Varese. ”Oggi non è morto nessuno” ha detto la donna in lacrime rivolgendosi alle forze dell’ordine.
“Mio fratello é stato tradito dalla giustizia per la seconda volta. Non so dire cosa faremo, ma certamente non ci tiriamo indietro. Questo non ce lo aspettavamo. I medici dovranno ora fare i conti con la loro coscienza. Si tratta di una pena ridicola rispetto a una vita umana. Sapevamo che nessuna sentenza ci avrebbe dato soddisfazione e restituito Stefano ma calpestare mio fratello e la verità così… non me l’aspettavo. Oggi capisco quelle famiglie che non affrontano questi processi perché sono dei massacri” ha detto ai giornalisti ancora in lacrime Ilaria Cucchi.
”Tre anni fa avevo previsto questo momento. Questo é un fallimento dello Stato, perché considerare che Stefano Cucchi é morto per colpa medica é un insulto alla sua memoria e a questa famiglia che ha sopportato tanto. E’ un insulto alla stessa giustizia” ha invece denunciato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi.
Era dalle 10,30 di questa mattina che i giudici si erano ritirati in camera di consiglio per la sentenza del processo di primo grado sulla morte di Stefano Cucchi, deceduto il 21 ottobre del 2009. Una sentenza offensiva e omissiva arrivata a due anni dall’avvio del processo (la prima udienza si svolse infatti il 24 marzo del 2011).
I pubblici ministeri, Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy, avevano chiesto due anni di reclusione per i tre agenti della penitenziaria accusati di lesioni personali (Nicola Minichini, Corrado Santantonio, Antonio Domenici) e quattro anni di reclusione ciascuno per i tre infermieri del Pertini che dovevano rispondere di abbandono di persona incapace (Giuseppe Flauto, Elvira Martelli, Domenico Pepe). Chieste condanne anche per i sei medici del Sandro Pertini: 6 anni e 8 mesi per il primario Aldo Fierro, 6 anni per Stefania Corbi e Flaminia Bruno, 5 anni e 6 mesi per Silvia Di Carlo e Luigi Preite De Marchis, 2 anni per Rosita Caponetti.
Per l’accusa e in particolare per la famiglia Cucchi, Stefano fu picchiato selvaggiamente nelle camere di sicurezza del tribunale in attesa dell’udienza di convalida dell’arresto; inoltre caddero nel nulla le sue richieste di farmaci, e in ospedale praticamente fu abbandonato a se stesso, senza cibo e assistenza, fino a causarne la morte. Per questo la famiglia aveva criticato anche le richieste di pena dell’accusa, chiedendo che agli imputati fosse contestato quantomeno l’omicidio preterintenzionale.
Per tutta la mattina è stato assai imponente lo spiegamento di forze di polizia all’interno e all’esterno dell’aula bunker in attesa che arrivasse la sentenza. La corte ha anche fissato un limite massimo alla presenza di pubblico in aula, disponendo che non più di cinquanta persone fossero ammesse alla lettura della sentenza.
Dalle dieci fuori dall’aula bunker hanno manifestato decine di rappresentanti di associazioni, forze politiche e collettivi contro la repressione, esponendo striscioni che recitavano frasi come “Solidarietà a tutte le vittime della tortura e del carcere” e “Ilaria…siamo tutti con te. Non ti lasciamo sola”. Con loro molti amici e parenti di alcune delle vittime di ‘malapolizia’ che rivendicano insieme alla famiglia Cucchi giustizia per i loro cari. Tra le persone arrivate a Roma per stringersi attorno alla famiglia Cucchi c’era Claudia Budroni il cui fratello è stato ucciso il 30 luglio del 2011 sul Raccordo anulare di Roma. A sparargli fu un agente di polizia ora indagato ma, come ricorda Checchino Antonini su popoff.globalist, a due anni dall’omicidio non è ancora stata depositata la perizia balistica. C’era anche Grazia Serra, la nipote di Franco Mastrogiovanni, il maestro ucciso il 4 agosto del 2009 in un letto di contenzione di un ospedale nel salernitano. Ancora Lucia Uva che aspetta ad anni di distanza che venga interrogato l’unico testimone dell’omicidio di suo fratello, morto in ospedale, a Varese il 14 giugno del 2008, dopo una notte di sevizie, così pensano i familiari, in una caserma dei Carabinieri. E poi ancora Domenica Ferrulli, figlia di Michele, morto a causa di un pestaggio della polizia il 30 giugno del 2011. Alcune delle vittime degli uomini in divisa sono sopravvissuti, e sono voluti essere a Rebibbia oggi: come Filippo Narducci di Cesena, che il 9 aprile del 2010 è stato pestato, sequestrato illegalmente dalla polizia, denunciato. Ora che è stato assolto, pretende che ad essere giudicati e puniti siano i tre poliziotti che lo pestarono.
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