La denuncia di Patrizia Moretti, la madre del giovane morto nel 2005 durante un controllo di Polizia a Ferrara. Che chiede l’espulsione dei quattro agenti dalla Polizia.
“Sapevo che prima o poi questo giorno sarebbe arrivato e non conta se è ora o tra qualche mese, non cambia molto, la differenza la farà il futuro, cioé quello che lo Stato, le istituzioni e la Polizia decideranno di fare”. E’ l’amaro commento di Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, rispetto alla notizia del ritorno in libertà di 3 dei 4 agenti di Polizia condannati per eccesso colposo in omicidio colposo per la morte di suo figlio, all’epoca 18enne. “Credo che questi agenti vadano espulsi dalla Polizia – insiste la donna in una intervista all’agenzia AdnKronos – altrimenti, se dovessero tornare a vestire la divisa, sarebbe un po’ come autorizzarli a fare quello che hanno fatto”. “Gli assassini di mio figlio hanno avuto una pena lieve e molte agevolazioni” continua la mamma di Federico, ribadendo che a suo avviso “la Polizia non può tollerare che tornino a fare quel mestiere”. Quello che serve, conclude Moretti, “è un cambiamento culturale, affinché ciò che é accaduto a Federico non succeda a nessun altro, staremo a vedere cosa le istituzioni decideranno di fare e quella scelta sarà un patrimonio per le valutazioni di tutti”.
Per tre dei quattro agenti condannati per l’uccisione di Federico Aldrovandi si è ormai conclusa la pena, ma ”giustizia non è ancora compiuta” è il succo del messaggio che Patrizia Moretti vuole lanciare alle istituzioni. ”Ci sono alcune cose ancora in sospeso – ha proseguito Moretti, parlando con l’ANSA – e la giustizia va molto al di là di loro stessi, di quello che dovranno pagare o scontare”. La Moretti dice anche di non attendersi alcun gesto da parte degli agenti, dopo i sei mesi di detenzione: ”Sono passati otto anni e di tempo per meditare ne hanno avuto. E si sono già ampiamente espressi in molte occasioni, direi che sono sempre stati coerenti”, ha aggiunto. Per Forlani il fine pena doveva scattare da oggi, ma grazie ad un permesso era a casa già l’altroieri; Pollastri é uscito dal carcere ieri. Anche per Monica Segatto, agli arresti domiciliari, si é conclusa la pena, mentre mancano ancora una ventina di giorni per Enzo Pontani.
“Hanno finito di scontare la pena di tre anni e sei mesi (in realtà solo 6 mesi, visto che per i restanti hanno goduto dell`indulto) Pollastri, Forlani, Segatto e Pontani, gli agenti condannati per l`omicidio colposo di Federico Aldrovandi”. E’ la denuncia di Tilt, rete di associazioni impegnate nel sociale. “Già si trattava di una pena ridicola rispetto a quello che ci immaginavamo avrebbero dovuto scontare gli agenti che hanno spezzato la vita di Federico, per strada e senza pietà, perché quella vita non tornerà mai indietro – aggiunge la nota – Ma diventa indigeribile sapere che, passati i sei mesi di sospensione, torneranno ad indossare la divisa, quella di chi dovrebbe proteggere il cittadino, e non ucciderlo: per un regolamento interno al corpo di polizia non è prevista la sospensione a vita dal servizio per condanne inferiori ai quattro anni. Per legge quindi degli assassini potranno tornare impunemente a svolgere il loro lavoro di tutori dell`ordine. Come si può accettare?”. Tilt continua a chiedersi: “Perché mai dovremmo sentirci tutelati da uno Stato che dietro la facciata del rifiuto della violenza, in realtà protegge chi uccide i suoi figli? La divisa non può essere una maschera sotto la quale commettere i più feroci omicidi e per questo lo Stato italiano ha il dovere di impedire a chi li ha commessi di ritornare a svolgere funzioni di ordine pubblico. Lo deve alla famiglia Aldrovandi prima di tutto, lo deve a tutti noi, che nel poliziotto vogliamo vedere qualcuno che ci difende e non qualcuno che ci ammazza. Supporteremo strenuamente la richiesta di espulsione dal corpo di polizia dei quattro agenti, da sempre rivendicata dalla famiglia e dagli amici di Federico”.
“Hanno ucciso il mio Federico e rimetteranno la divisa senza nemmeno pentirsi”
La mamma di Aldrovandi: istituire il reato di tortura.
RAPHAËL ZANOTTI – La Stampa 30 luglio 2013
Calamite sul frigorifero, una vetrinetta strapiena di oggetti, fotografie, coppe sportive e in un angolo, vicino al grande tavolo, un televisore. Rigorosamente non al plasma. Una casa normale, come tante. A cui manca una sola cosa, da 8 anni: un ragazzo. Si chiamava Federico Aldrovandi, aveva 25 anni, è stato ucciso. E’ diventato un simbolo. Ma per Patrizia Moretti, la madre era ed è soprattutto un figlio, il suo, quello che manca a questa casa.
Oggi sarà un giorno speciale per la famiglia Aldrovandi. Questa mattina esce da carcere Paolo Forlani, l’ultimo dei 4 poliziotti condannati in via definitiva per aver ucciso Federico. Luca Pollastri, l’altro detenuto, è uscito sabato. Monica Segatto ieri ha terminato il suo periodo di domiciliari. Resta Enzo Pontani, ai domiciliari. Verrà presto liberato: ha solo iniziato la detenzione dopo gli altri. Poi, tutti e quattro, avranno finito di scontare la loro pena: 6 mesi. Loro, i poliziotti, dicono che è un’ingiustizia: gli unici in Italia, da oltre trent’anni, ad aver scontato per intero una pena per omicidio colposo (3 anni se li è mangiati l’indulto).
Lei, Patrizia Moretti, riflette: «Sei mesi per aver ucciso qualcuno è sbagliato, ingiusto, doloroso e soprattutto inaccettabile – dice – E non perché sei mesi siano pochi, anche se sarebbe ipocrita dire che non lo siano. Ma perché sei mesi non sono bastati. Se il carcere dev’essere riabilitativo, come io credo, ebbene per queste persone non lo è stato: non si sono mai pentiti, non hanno mai avuto una parola di dispiacere per la morte di Federico. Mai».
Patrizia Moretti, la sua famiglia, gli amici, hanno combattuto 8 anni per avere ragione. E domani tutto questo sarà finito. Almeno penalmente. La paura più grande, oggi, per Patrizia è che quei 4 poliziotti tornino a vestire la divisa. Cosa possibilissima, quasi automatica. La commissione di disciplina ha già emesso il suo verdetto: sei mesi di sospensione. «A fine anno, tutti torneranno in servizio. Quattro poliziotti, armati, condannati per omicidio, torneranno per le strade con un buffetto e senza che nemmeno si siano resi conto di quello che hanno fatto».
Patrizia era preparata a questo giorno. «Sapevamo che sarebbe arrivato». Ma è amaro lo stesso. «E’ la cultura delle istituzioni che deve cambiare. Questi poliziotti sono stati protetti, è evidente. E questo mi fa male. Quel che invece mi rassicura è che l’opinione pubblica ha reagito. Anche se la giustizia ha fatto il suo corso, è la condanna dell’opinione pubblica ciò che più conta. Solo così riusciremo a cambiare la cultura nelle istituzioni».
La cultura e anche qualcos’altro. Oggi l’ultimo poliziotto che ha ucciso Federico uscirà dal carcere. Dopo sei mesi. Pena scontata. Patrizia sa che potrebbe riaccadere. E allora l’opinione pubblica non basta: «Chi può, istituisca il reato di tortura. Chi non lo vorrebbe istituire ha una sola ragione: evidentemente lo perpetra. E questo non è più accettabile».
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