Paolo Boldrini e Daniele Prediare della Nuova Ferrara accusati di aver diffamato il pm Guerra. Chiesto anche un risarcimento da un milione e mezzo di euro.
Il caso Aldrovandi va avanti anche in tribunale. A Mantova si ritroveranno sul banco degli imputati due giornalisti: Paolo Boldrini e Daniele Prediare, rispettivamente ex direttore e cronista della Nuova Ferrara. L’accusa? Diffamazione nei confronti della pm Maria Emanuela Guerra, che seguì le fasi iniziali dell’inchiesta sulla morte del giovane Federico. Prediari avrebbe utilizzato «termini impropri» e Boldrini non avrebbe sorvegliato da buon direttore responsabile. Il processo avrà luogo a Mantova perché lì la Nuova Ferrara ha la tipografia e la geografia giudiziaria, su casi del genere, quello guarda, non l’indirizzo della redazione.
I fatti riguardano due articoli pubblicati nel febbraio del 2010, questo per quanto riguarda la parte penale. Ma c’è anche una questione di giurisprudenza civile, nel mezzo: il quotidiano ferrarese è stato anche citato per danni, con una richiesta di risarcimento di un milione e mezzo di euro. Una cifra che metterebbe in ginocchio qualsiasi prodotto editoriale. Patrizia Moretti, madre di Federico, non esitò a dire che «Nella tragedia che ha sconvolto la nostra famiglia, i giornalisti finiti sul banco degli imputati hanno avuto un ruolo fondamentale per far emergere la verità. La società dovrebbe ringraziare i cronisti che hanno avuto il coraggio di andare avanti tra mille ostacoli, creati anche da uomini dello Stato che hanno abusato del loro potere. Io e la mia famiglia abbiamo raccolto i frutti del loro impegno civile, quando i responsabili sono stati condannati». Spiegarlo a un pm, evidentemente, è tempo perso. Per capire bene la dinamica dei fatti, però, bisogna tornare al clima che per anni si è respirato a Ferrara, dopo l’omicidio Aldrovandi. Inzialmente, infatti, tutta la stampa mainstream si era schierata con gli investigatori e con la loro versione ufficiale, poi seccamente smentita da tre gradi di giudizio. Soltanto con il trascorrere del tempo – e con il prezioso lavoro di colleghi come Checchino Antonini di Liberazione, su tutti – la verità comunemente accettata ha cominciato a scricchiolare: non si era trattato di un incidente, Federico non andava sbattendo da solo contro pali della luce e oggetti vari. Era stato pestato, il ragazzo, riempito di botte fino a che il suo cuore ha smesso di battere. Tutto questo, però, nel processo che vede coinvolti i due giornalisti della Nuova Ferrara, non conta. Conta invece l’orgoglio ferito di una pm. La stessa che disse a Patrizia Moretti e Lino Aldrovandi che «Io so so sempre dov’è mio figlio». Risposta sbagliata: la fedina penale del di lei pargolo non è immacolata, in realtà, per una condanna in primo grado scaturita dall’inchiesta «Bad Boys» sullo spaccio di droga ai minorenni. Niente di particolare, a dirla tutta: si trattò di un’operazione colossale per un piccolo giro di hascisc. Ad ogni buon conto, vogliamo sperare che la dottoressa Guerra non sapesse dove fosse suo figlio, in certi momenti.
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