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1000 candele per Stefano Cucchi: l’inizio di un percorso collettivo?

Mille candele accese per fare luce, per chiedere verità e giustizia, per sapere – e punire – chi ha ucciso Stefano. Anche se ieri ne sarebbero servite di più, di candele… Già intorno alle 18, orario previsto di inizio della manifestazione “Accendiamo La Verità: 1000 candele per Stefano Cucchi”, gli attivisti di ACAD (Associazione Contro gli Abusi in Divisa), organizzatori dell’evento insieme alla famiglia Cucchi, comunicavano infatti che le mille fiaccole a disposizione erano quasi esaurite. In effetti la gente scesa in piazza ieri a Roma per ricordare Stefano e le altre vittime di “Malapolizia” era molta, forse più di quanta se ne attendessero gli organizzatori: persone spinte dalla volontà di ottenere verità e giustizia per Stefano e per tutti gli altri “morti di Stato”, ma anche dalla consapevolezza che tutti possiamo essere lo Stefano Cucchi di turno. 

Il primo dato che ieri è parso emergere in modo chiaro è proprio questo: a prescindere dalle sentenze, dalle verità di Stato, da una stampa più o meno attenta, nell’opinione pubblica sembra essersi diffusa una certa consapevolezza. Le persone presenti in piazza sapevano perfettamente chi ha ucciso Stefano Cucchi, e che quello che è capitato a lui, a Federico Aldrovandi, a Gabriele Sandri, ad Aldo Bianzino e alle altre vittime può capitare a tutti, se non si interviene. Collettivamente e dal basso.
Questo il secondo elemento emerso nel corso degli interventi dal palco: non è più sufficiente indignarsi e chiedere giustizia sui social networks, su internet, attraverso la carta stampata. E’ necessario mobilitarsi, dare alla battaglia contro gli abusi e i crimini compiuti da uomini in divisa una dimensione collettiva, pretendere la certezza che, se per qualsiasi motivo si finisce nelle mani dello Stato, tutto ciò che avviene da quel momento in poi deve essere chiaro, trasparente, certo.

Il terzo elemento di interesse emerso ieri è la composizione sociale dei presenti in piazza: oltre ad attivisti di centri sociali, movimenti ed associazioni anche tante persone comuni, cittadine e cittadini che magari fino a qualche tempo fa nemmeno immaginavano l’esistenza di certi enormi “buchi neri” all’interno della nostro stato di diritto, e che grazie anche alle drammatiche storie di Stefano e degli altri hanno iniziato a guardare ciò che accade intorno a loro con uno sguardo diverso.

Oltre a questi aspetti, i primi a saltare agli occhi, la manifestazione di sabato a Roma ha offerto molto altro. A partire dal luogo prescelto, piazza Indipendenza, di fronte alla sede del Consiglio Superiore della Magistratura. Scelta simbolica: si va a chiedere giustizia proprio “a casa” di coloro i quali devono stabilirla, a volte però purtroppo senza successo. E poi piazza Indipendenza è esattamente quella dove, qualche giorno fa, i lavoratori della Ast di Terni sono stati presi a manganellate (senza motivo) mentre manifestavano per tutelare i loro diritti ed il loro posto di lavoro.

Come detto, la piazza era praticamente piena già qualche minuto prima delle 18: appena il tempo di accendere le fiaccole, e sono partiti gli interventi dal palco, introdotti da Luca, uno degli attivisti di Acad, che ha chiarito da subito un concetto: da oggi, per quel che riguarda i casi di “morte di Stato”, non è più possibile delegare, ma serve partecipazione, attivismo sociale. Poi è stato il turno dei genitori di Stefano, e di Ilaria, la sorella, che con la consueta ferma compostezza hanno ripercorso la loro drammatica storia. Toccanti e significative le parole di Ilaria Cucchi: “Quando dico che ho vinto è vero, Stefano non è più solo. Tutti sanno, tutti hanno capito quello che gli è successo, e stasera tutti sono qui”. Poi, ancora, gli interventi dell’avvocato Fabio Anselmo, dei familiari di altre vittime di Malapolizia (Magherini, Mastrogiovanni, Budroni), di un rappresentante di Amnesty International, di un appartenente all’associazione Articolo 21. Forte, deciso l’intervento in ricordo di Renato Biagetti, come quello di altri due attivisti di Acad che si sono alternati sul palco. Il primo ha ribadito la necessità di riappropriarsi delle piazze, a fronte di una offensiva repressiva forte da parte dello Stato: si chiedono lavoro, casa, diritti, giustizia e la risposta è più repressione e più polizia. La seconda ha ricordato come e perchè nasce Acad, ricordando la determinazione ad ottenere risposte di chi ha dato inizio alle prime battaglie: “L’associazione non sarebbe potuta nascere se le famiglie Cucchi, Uva, Aldrovandi e Ferrulli avessero preso per buone le versioni date dallo Stato sulla morte dei loro cari”. Nel corso del suo intervento ha anche raccontato che le denunce di abusi di vario tipo commessi da “uomini in divisa” che Acad riceve sono ormai, in media, una al giorno. Un dato che, se confermato, non avrebbe nemmeno bisogno di essere commentato.

* Radio Città Aperta, Roma

Guarda il servizio fotografico della manifestazione di Roma

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