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Confindustria detta la linea

Così, nell’audizione al Senato del direttore generale Giampaolo Galli, divide nettamente in due il suo giudizio sulle linee di politica economica.

Bene la difesa di conti pubblici, perché «senza stabilità della finanza pubblica non è possibile lo sviluppo economico», ma «è vera anche la relazione inversa: senza crescita è molto difficile conseguire la stabilità finanziaria».

Del resto l’impegno di risanamento indicato dal governo nel Def è «estremamente ambizioso», con manovre il biennio 2013-2014 da «circa 39 miliardi, cifra ben superiore a quella di 25 miliardi approvata la scorsa estate». Cifre rilevanti, che «delineano uno sforzo di gran lunga superiore a quello compiuto negli anni ’90 per rispettare i parametri di Maastricht e partecipare fin dall’inizio alla moneta unica europea». Si profilano dunque altri anni di «lacrime e sangue», anche perché il controllo delle variabili di bilancio è passato – con l’anno 2011 – nelle mani della Commissione Ue. Lo spazio di manovra dei governi nazionali, dunque, riguarda ormai solo il come distribuire tagli e spesa; mentre il «saldo finale» viene determinato altrove.

L’impegno, «è ancora più gravoso oggi, in un contesto reso difficile dalle conseguenze della crisi finanziaria globale e dalla perdita di competitività accumulata nel nostro Paese». Anche perché «l’elevato livello della pressione fiscale» non lascia margini di intervento su questo fronte. «Per avere successo, un simile sforzo richiede che si ridisegnino i meccanismi di spesa e lo stesso perimetro dello Stato nell’economia e nella società». Un avvertimento che implica una richiesta di «privatizzazioni» di grandi dimensioni (seppur c’è rimasto qualcosa di redditizio da privatizzare,patrimonio demaniale e immobiliare a parte).

Senza questi cambiamenti – dice Confindustria – «i tagli alla pesa potrebbero rivelarsi difficili da sostenere e rischiano di tradursi nel rinvio di spese necessarie o in forme occulte di debito pubblico», come il «debito verso fornitori» (la famosa lamentela dello stato che paga su tempi troppo lunghi).

Preoccupa però soprattutto «il taglio agli investimenti pubblici» che deriva «in misura importante» dalla compressione della spesa primaria. «Scenderebbero a 27 miliardi già nel 2012, erano 38 miliardi nel 2009. Si tratta di una diminuzione consistente che avrà effetti di lungo periodo sull’infrastrutturazione del Paese ed è in contrasto con le raccomandazioni dell’Unione Europea, che chiede di effettuare il risanamento senza penalizzare la spesa in infrastrutture».

 

Un briciolo di traduzione si rende necessaria: Confindustria dice che va bene tagliare su quasi tutte le voci del bilancio pubblico, ma non su quelle degli investimenti statali (opere infrastrutturali, ecc). Dove le imprese possono trarre qualche vantaggio.

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