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l fantasma del cigno nero

I timori del cigno nero

di Pierpaolo Benigno


Non è solo la maggiore incertezza a spaventare i mercati. Quello che preoccupa è invece la possibilità che si realizzi un “cigno nero”. Un evento raro e catastrofico, detto anche di coda. Evento che, giorno dopo giorno, sta diventando sempre più probabile e che sappiamo ha la caratteristica di manifestarsi nel modo più naturale e prevedibile possibile.

Non è una recessione a “W”. Sarebbe troppo ottimistico pensare che se si dovesse imboccare la strada della recessione saremmo in grado di uscirne subito con una nuova espansione. È semplicemente la paura di una grande stagnazione che può condurre ad una nuova Grande Depressione.

Il cigno nero, che i mercati temono in questo momento, può scaturire dall’inizio di una piccola contrazione negli Stati Uniti che si propaga in Europa. A quel punto, con una crescita sotto zero, salterà qualsiasi parametro di sostenibilità dei debiti pubblici europei e sarà vano, anzi deleterio, continuare a perseguire manovre di aggiustamento fiscale. Salterà anche il sistema bancario che, nel suo complesso, ha un’esposizione debitoria maggiore rispetto alla taglia del settore pubblico, e non si sa chi lo può salvare. Le interconnessioni globali dei mercati finanziari faranno il resto per condurci ad una profonda contrazione. A quel punto anche la deflazione ci metterà il suo gonfiando i debiti privati e pubblici. L’euro si sdoppierà o sbriciolerà. Ecco quindi il decennio perduto, il cigno nero il cui sguardo dobbiamo rifuggire.

Non siamo però spettatori passivi e inermi rispetto al verificarsi di questi eventi. Da un lato, nell’oscurità del pessimismo delle aspettative, possiamo scambiare qualche cigno di colore bianco o grigio per nero. In effetti, in questo periodo, stiamo raccogliendo dati sull’andamento delle economie occidentali per capire se ci sarà o no una nuova recessione. Fino a poco tempo fa, queste informazioni erano di segno altalenante, mentre ora sono sempre più negative. Ma la velocità e la sfiducia, con le quali i mercati finanziari le processano, puntano direttamente al panico che contribuisce al verificarsi dell’evento sfavorevole. La distruzione di ricchezza finanziaria nei mercati azionari, le tensioni nei mercati creditizi vanno a sommarsi ad uno scenario già estremamente fragile che, diversamente dal 2007-2008, parte ora da un livello elevato di disoccupazione. Anche l’economia reale, per paura dell’evento sfavorevole, ritarda le decisioni di investimento di lungo periodo come quelle di assunzioni di forza lavoro indebolendo ulteriormente la domanda.

Non siamo spettatori inermi anche perché la politica economica può fare molto per il verificarsi, o non, del cigno nero. In fondo, le grandi depressioni sono il frutto degli errori di politica economica. Di errori già ne sono stati fatti abbastanza: uno stimolo di politica fiscale insufficiente negli Stati Uniti, il rientro anticipato verso l’austerità fiscale e monetaria in Europa, la mancata regolamentazione degli intermediari finanziari, la tragedia greca che per l’imbarazzante incapacità dei politici europei è divenuta tragedia europea a cui ha fatto da controcanto il dibattito inutile sul limite del debito negli Stati Uniti. Non si può sbagliare nuovamente e, per fortuna, ci sono ancora armi a disposizione.

Gli Stati Uniti possono contribuire con un nuovo stimolo di politica fiscale che crei domanda di beni e di lavoro e che colmi quel buco scavato dal crollo degli investimenti in edilizia. La fuga dei capitali verso la qualità ha portato i rendimenti dei titoli decennali americani a valori irrisori, il 2%. Sarebbe un grave errore ora avere paura della sostenibilità del debito pubblico americano e non direzionare questi capitali verso un ulteriore stimolo di domanda aggregata. Qualsiasi uso pubblico sarebbe più produttivo rispetto al non fare nulla e lasciare che l’economia imploda su se stessa.

L’Europa avrebbe la soluzione immediata dei suoi problemi se mai si decidesse a scambiare tutti i debiti pubblici in un debito federale garantito da una tassazione comunitaria. A quel punto il pareggio di bilancio, depurato dai debiti, sarebbe facilmente sostenibile da ciascun paese. Ma l’asse franco-tedesco ci ha fatto capire che non è questa la strada da percorrere.

Siamo nelle mani della Bce se mai, per evitare il collasso, decida di garantire tutto il debito pubblico dei singoli stati. Ma per arrivare a tanto, dovrà riuscire a scacciare quelle cattive idee che suggeriscono che aumenti della base monetaria portano necessariamente a maggiore inflazione. L’anello mancante a queste teorie è la sconnessione fra base monetaria e aggregati monetari, come M2 e M3, che si osserva in periodi di profonda contrazione che appunto lascia molto margine di manovra alle banche centrali. In fondo, una delle più belle lezioni sulla Grande Depressione viene non da Keynes ma da Milton Friedman, il padre del monetarismo, che con Anna Schwartz ha mostrato come la contrazione degli aggregati monetari sia stata una causa del perdurare della Grande Depressione. Non si può commettere lo stesso errore.

Sappiamo però che non possiamo aspettarci molto dall’Europa. Per ora accontentiamoci di pendere dalle parole di Bernanke, a Jackson Hole, e poi di Obama, dopo la festa americana del lavoro. Speriamo siano sufficienti anche per noi.

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