Ma queste prime indicazioni serviranno soprattutto a capire se le prossime emissioni di bond italiani potranno incontrare il “favore del mercato”. E a quale prezzo.
Bisogna ricordare che venerdì sia il mercato azionario che quello dei titoli di stato sono stati sconquassati in modo molto serio. Le previsioni sono altrettanto negative. Un tracollo eccessivo e il conseguente aumento dello spreda con i bund tedeschi potrebbe arrivare a livelli tali che tutta la “manovra” in corso di aprovazione nel testo “blindato” varato dal Senato rischia di essere quasi completamente inutile.
Ultima notazione negativa: il G7 di Marsiglia si è chiuso senza alcuna decisione rilevante. Non proprio il miglior modo di affronatre un crisi così…
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Piazza Affari in ansia per l’asta BTp di martedì
di Walter Riolfi
Se si valutano le reazioni dei mercati valutari, le dimissioni di Jürgen Stark dal board della Bce sono un fatto estremamente negativo per l’euro. L’economista tedesco, così come Axel Weber dimessosi a inizio anno, rappresentava il verbo dell’ortodossia della Bundesbank all’interno della banca centrale europea. La sua uscita può essere letta come una rinuncia al rigore, una minor autonomia della Bce dalla politica e un pericolosa accondiscendenza verso le debolezze dei Paesi in crisi come l’Italia. La reazione dei mercati (l’euro ha perso due punti sul dollaro) ha dunque una sua logica. La cosa strana è che i commenti più pesanti sulle sorti dell’euro sono arrivati da alcuni investitori statunitensi che nel frattempo si cullano nella politica ultra espansiva del quantitative easing di una Fed sempre più in sintonia con Tesoro e Casa Bianca.
Dal punta di vista dell’Italia, le dimissioni di Stark parrebbero invece un fatto positivo, poiché a Francoforte s’indebolirebbe la resistenza ad acquistare BTp (o Bonos spagnoli) da parte della Bce. Ma quel che è giudicato un male dal mercato potrebbe rappresentare un fatto negativo anche per l’Italia, visto che quel poco di rigore fiscale intrapreso dal Governo è arrivato solo dopo aver visto volare lo spread dei titoli di stato italiani rispetto al Bund. È assai probabile che una accresciuta tolleranza delle autorità monetarie europee verso l’Italia finisca semplicemente per far salire ancora più in alto i rendimenti dei BTp, rendendo impossibile qualsiasi pareggio di bilancio.
Per questi motivi non ci si aspetta sensibili cambiamenti nella politica monetaria della Bce e nemmeno nell’utilizzo del fondo salva–stati. E con l’italiano Mario Draghi, a novembre presidente della banca centrale, non dovrebbero cambiare gli equilibri della Bce, sulla quale la Bundesbank e il Governo tedesco hanno una sorta di golden share. Se si pensa che circa tre quarti dell’elettorato tedesco è contro i salvataggi ai Paesi in crisi, è anche difficile immaginare che Angela Merkel possa ammorbidire il proprio atteggiamento verso l’Unione. Non lo crede Riccardo Barbieri, capo economista di Mizuho Bank: «Probabilmente la pressione su Grecia e Italia, s’intensificherà nelle prossime settimane. È improbabile che la Bce smetta di intervenire, ma i suoi acquisti di bond diminuiranno», scrive l’economista. Di conseguenza, il Governo italiano «dovrà studiare un concreto piano per far crescere l’economia».
Così saranno ancora i mercati a dettare i tempi e i modi della politica economica e domani, alla loro apertura, sarà nuovamente lo spread sul Bund a scandire il ritmo della Borsa. «Nessuno dei nostri clienti è interessato agli utili delle banche», racconta Marcello Zanardo, analista di Bernstein Research. Agli investitori interessa solo l’andamento dei rendimenti dei bond governativi, dello spread soprattutto, dal quale dipende il costo con cui si finanziano le banche e la loro stessa solvibilità. E lo spread è direttamente legato alla volontà politica dei singoli governi a varare efficaci misure fiscali. Dalla politica internazionale non può arrivare nessun aiuto, divisi come sono i leader Usa, che premono sullo sviluppo economico, e quelli europei, concentrati sul taglio dei debiti. Nessun soccorso potrà arrivare nemmeno dalle banche centrali, visto che un loro intervento concertato (espansivo come vorrebbe la Fed) si preannuncia impraticabile.
In Bernstein (così come presso le maggiori case d’investimento) il consiglio è ancora di restare «sottopesati» sulle banche del Sud Europa: eufemismo per significare nuove vendite sui titoli. Per questo, non bisogna crearsi illusioni sull’andamento dei mercati nelle prossime sedute che, per Piazza Affari, si preannunciano assai difficili, viste anche le nuove emissioni del Tesoro per quasi 20 miliardi.
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Tra Roma e Madrid il «derby» della fiducia
di Isabella Bufacchi
Il Tesoro collocherà la prossima settimana, in soli due giorni come previsto dal calendario delle aste di settembre, fino a 18,5 miliardi di titoli di Stato: BoT a tre e dodici mesi saranno venduti lunedì per 11,5 miliardi mentre i BTp andranno in offerta martedì per un ammontare compreso tra 5 e 7 miliardi. Anche Spagna, Olanda, Francia e Germania emetteranno titoli di Stato nell’arco della stessa settimana, in quella che si preannuncia una competizione serrata tra i più solidi paesi “core” e gli stati periferici, tutti alla conquista dei grandi portafogli quando invece banche e investitori istituzionali sono sempre più restìi ad aumentare l’esposizione al rischio sovrano dell’eurozona. Le emissioni lorde dei bond governativi in euro a medio-lungo termine potrebbero superare i 25 miliardi in un contesto estremamente impegnativo per il rifinanziamento del debito pubblico europeo. Le aste di Italia e Spagna in particolar modo dovranno affrontare sul primario il ritorno della volatilità e la tendenza di ampliamento degli spread, nonostante il continuo sostegno assicurato sul secondario dagli acquisti di BTp e Bonos da parte della Bce.
Il Tesoro ha annunciato il collocamento di 7,5 miliardi di BoT a 12 mesi quando ne scadono 7,7 miliardi, mantenendo un lieve sostegno di liquidità in eccesso. Lo scorso agosto i BoT annuali sono stati collocati a un rendimento lordo del 2,96%: venerdì sul secondario i Buoni con questa durata venivano scambiati attorno al 3,35% e stando agli addetti ai lavori non è escluso che domani, a causa della perdurante turbolenza, vengano assegnati sopra il 3,40 per cento. Andranno in vetrina per 4 miliardi anche i BoT a tre mesi, caratterizzati da apparizioni sempre più rarefatte sul primario: l’ultima asta di questi Buoni, che sono uno strumento di gestione di tesoreria ma che possono attirare il risparmiatore più indeciso, risale allo scorso marzo. In quanto ai BTp, martedì è atteso il debutto del nuovo quinquennale in offerta tra 3 e 4 miliardi mentre non andranno in asta i BTp con durate extralunghe (15 o 30 anni). Il Tesoro ha deciso di affiancare al nuovo BTp a cinque anni la riapertura di tre emissioni off-the-run (non più in corso di emissione) con scadenza 2018-2020. I BTp con durate tra i 7 e i 10 anni sarebbero risultati infatti tra quelli graditi alla Bce. Ampliando la gamma degli strumenti in offerta, il Mef allarga la sfera degli investitori potenzialmente interessati a partecipare alle aste: la domanda dovrebbe risultare solida anche in virtù della cancellazione dell’asta di agosto dei BTp a cinque anni. Tuttavia gli strategist si attendono un aumento dei rendimenti rispetto ai tassi in calo registrati dopo l’approvazione della manovra al Senato a metà della scorsa settimana.
Oltre all’Italia, tra gli appuntamenti più seguiti sul primario la prossima settimana spiccano quelli delle aste dei Bonos spagnoli e degli Schatz tedeschi, questi ultimi poco appetibili con un rendimento ridotto allo 0,41 per cento. I titoli di Stato spagnoli hanno registrato venerdì un aumento degli spread in rapporto ai titoli tedeschi, ma di misura inferiore al rischio-Italia: il differenziale tra i Bonos e i Bund decennali venerdì ha chiuso a 342 centesimi contro i 364 dei BTp. In termini assoluti, i BTp decennali rendono attorno al 5,40% contro il 5,20% dei Bonos.
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Un nuovo test da 20 miliardi per misurare il rischio Italia
di Isabella Bufacchi
Il Tesoro chiederà al mercato tra domani e martedì di rimpolpare le casse dello stato con la sottoscrizione di nuovi prestiti al rischio-Italia, tramite l’acquisto in asta di titoli di Stato con durate dai tre mesi ai nove anni fino a un massimo complessivo di 18,5 miliardi. Questo importo non è eccezionale, è un quantitativo standard quando confrontato con lo stock dei titoli del debito pubblico da 1.587 miliardi che genera 300 miliardi di emissioni a breve, media e lunga scadenza da rimborsare nell’arco dei prossimi 12 mesi. Ma eccezionale è invece la condizione nella quale si trova il mercato, stritolato dalla morsa dei tentacoli di una crisi, non solo italiana e non solo europea, che è tanto finanziaria quanto bancaria, tanto economica quanto politica. Ed eccezionali sono le turbolenze che il Tesoro dovrà affrontare con il suo fitto calendario delle aste rimanenti in settembre, a partire da domani, dopo l’ennesimo venerdì nero.
Il percorso del gap tra BTp e Bund nel corso dell’ultimo mese la dice lunga sull’intensità eccezionale dell’instabilità del rischio sovrano: raggiunto un picco oltre quota 400 punti agli inizi di agosto, torna in area 270 dopo i rassicuranti, storici primi acquisti di titoli italiani da parte della Bce, si riallarga a 370 a causa delle incertezze sull’efficacia di una manovra continuamente ritoccata e ammorbidita e sui lenti progressi sul fronte della crisi greca e del veicolo potenziato Efsf, si stringe a 330 dopo il rafforzamento delle misure di risanamento dei conti pubblici con voto del Senato, ma ritorna sui 370 a causa delle voci sul default imminente greco, le dimissioni a sorpresa di Stark, capo economista e membro del board della Bce. Lo spread si muove non solo per via dell’aumento del rendimento dei titoli italiani ma anche in seguito al ribasso del rendimento tedesco: ma è un fatto che il BTp decennale ha toccato un picco al 6,4% prima dell’intervento Bce, è riuscito brevemente a perforare al ribasso la soglia psicologica del 5% grazie agli acquisti di Francoforte, ma poi è risalito attorno a 5,70% prima di assestarsi al momento in area 5,40 per cento. Questa volatilità, fotografata nell’ultimo mese e solo sui BTp a dieci anni per non parlare di quelli e tre e cinque anni, perdura da lungo tempo e non rende i titoli italiani particolarmente appetibili in asta: perché quello che può sembrare un buon affare, un ottimo affare al momento del collocamento, si può rivelare un cattivo investimento subito dopo.
Così nel corso di un’asta di titoli di Stato, si concentrano, si rincorrono e si scontrano tutte le forze tecniche ed emotive, in segno positivo e in segno negativo, che muovono i mercati di questi tempi su vari livelli: nazionale, europeo e globale. Rendendo eccezionali di volta in volta i contesti. Capita allora che i BoT annuali in offerta per 7,5 miliardi siano sostenuti dal rimborso di BoT per 7,7 miliardi e dalle aspettative di un possibile taglio dei tassi Bce. Stesso può dirsi per i BTp che saranno collocati martedì tra i 5 e i 7 miliardi: la prossima settimana nell’eurozona vengono rimborsati 30,5 miliardi di titoli a medio-lungo termine, 16 da parte della Germania e 14,5 da parte dell’Italia. Questi rimborsi aumentano la disponibilità liquida nei portafogli: parte di questa liquidità andrà a sostegno dell’asta dei BTp. Un altro fattore, eccezionale rispetto al passato, che alimenta la domanda riguarda il ruolo della Bce: gli addetti ai lavori si attendono domani la conferma di nuovi acquisti effettuati dalla Banca centrale su BTp e Bonos spagnoli per almeno 10 miliardi di euro la scorsa settimana. Un segnale importante: la Bce non può comprare titoli direttamente in asta ma può garantire una rete di sicurezza alle banche specialist, ai super primary dealer che devono sottoscrivere i titoli in asta per poi rivenderli. Se la domanda degli investitori finali, soprattutto stranieri, langue, la Bce rappresenta un lido sicuro per i bilanci delle banche non più in grado di accumulare posizioni negative (anche in asset swap) collegate ai titoli di Stato con prezzi in discesa. Il Tesoro può affrontare le aste a testa alta, inoltre, dopo l’approvazione al Senato di una manovra che migliora le proiezioni di riduzione del debito-Pil a partire dall’anno prossimo.
In campo, però, scendono nel giorno delle aste anche le forze contrarie e negative, quelle dell’avversione al rischio, del timore del double-dip e del rischio-contagio e che classificano l’Italia tra i paesi periferici con problemi gravi strutturali irrisolti. Sull’Italia pende il verdetto del review sulla “Aa2” di Moody’s, che potrebbe arrivare dopo il voto della Camera sulla manovra: il declassamento di un solo gradino potrebbe paradossalmente trasformarsi in una notizia positiva, tenuto conto che il mercato ha scommesso fin dall’annuncio di Moody’s a metà giugno sulla retrocessione di due notches. Ma bisogna guardare oltre i confini italiani, per avvertire le forze più destabilizzanti nelle aste di domani e dopo: la gestione della crisi del debito sovrano greco ed europeo resta irrisolta. E il flight to quality si rigenera continuamente con i nuovi interrogativi: cosa accadrà se la partecipazione dei privati alla ristrutturazione “soft” del debito greco non dovesse tagliare il traguardo del 90%? E se si arrestasse il cammino del secondo pacchetto di aiuti ad Atene? E se il potenziamento dell’Efsf dovesse slittare per colpa delle votazioni nei parlamenti di alcuni paesi core? E cosa accadrà alla Bce dopo le dimissioni di Juergen Stark dal board? Allenterà gli acquisti sui BTp oppure, rimosso un ostacolo, riprenderà vigore la politica a favore della stabilizzazione con ricorso a misure eccezionali?
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