Non si tratta di un problema “tecnico”, però. Ma esclusivamente politico.Si è rivelata folle l’idea che bastasse costruire una camicia di forza – una moneta e alcuni parametri molto arbitrari fissati negli accordi di Maastricht . per unificare popoli, politiche, normative, culture, interessi. Una sorta di “regola scritta sui manuali” che avrebbe vinto sulla vita reale per semplice “incombere” sulle scelte dei vari governi.
Nemeno il trasferimento di sovranità nazionale sulla “legge di bilancio” – la principale legge di qualsiasi stato, perché definisce in modo vincolante l’arco delle opzioni a sua disposizione – ha diminuito il rischio di crollo della fragile impalcatura “monetarista”. La debolezza dei “Piigs” è il contraltare della forza tedesca; meglio, la sua logica conseguenza. La Germania ha usato l’euro (da ancor prima del varo ufficiale della moneta) per ridisegnare la divisione internazionale del lavoro e delle specializzazioni produttive, rendendo di fatto tutti i paesi molto meno capaci di risposta.
Il fatto che ci sia una moneta m non un fisco europeo – dicono gli stessi manuali! – è un assurdo che impedisce qualsiasi distribuzione “coerente” del carico contributivo, determinando aree a disomogeneità crescente.
Se poi, come ora, il paese che fa da “garante” (oltre che primo beneficiario) dell’esistenza dell’euro si mostra spaventato dai costi del suo mantenimento in tempi di violenta crisi, ecco che la tenuta di tutta la costruzione viene a mancare. Non è la crisi della Grecia (2% del Pil europeo, una bazeccola) a destabilizzare l’euro, ma il “braccino corto” di una Germania assai meno lungimirante di quanto non sia piaciuto ai suoi dirigenti far credere.
Il fatto che siano gli imprenditori tedeschi a chiedere al Bundestag di rimpinguare il “fondo salva-stati” – mentre la popolazione resta diffidente o ostile – dimostra come un’architettura monetaria “di classe” si volga alla lunga cntro gli obiettivi per cui era stata pensata: unificare un continente senza gradi scossoni emotivi e discussioni sugli scopi. Insomma, senza conflitti chiari sugli interessi in gioco.
Una panoramica della stampa di oggi, a partire ovviamente dal padronalissimo “Sole 24 Ore”, il più preoccupato di tutti. Giustamente.
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Gli imprenditori tedeschi chiedono al Bundestag il rafforzamento del fondo salva-stati
di Corrado Poggi
Le quattro principali associazioni imprenditoriali della Germania hanno rivolto un appello ai 620 membri del Parlamento tedesco affinché votino a favore delle misure anticrisi proposte dai vertici europei. Se non lo faranno, avvertono le associazioni nella lettera pubblicata dal quotidiano tedesco Handelsblatt, i parlamentari devono essere pronti a far fronte alle “conseguenze incalcolabili” per l’unione europea e per l’euro.
La lettera fa riferimento in particolare al rafforzamento del fondo salva stati, l’Efsf: se la proposta di legge passerà giovedì prossimo come nelle speranze del cancelliere Angela Merkel, la quota della Germania passerà da 123 a 211 miliardi di euro.
Un prezzo alto, osservano gli industriali, ma nettamente inferiore a quello che la Germania dovrebbe pagare in uno scenario di crollo dell’euro. Una maggioranza di voti favorevoli per la proposta di legge non appare in realtà in discussione visto che anche le forze di opposizione rappresentate da social democratici e dai verdi hanno promesso di sostenerla ma é cruciale per la Merkel che vi sia una prova di forza della sua coalizione di centrodestra. A questo scopo, calcola il Financial Times, la Merkel può permettersi di perdere per strada solo 19 voti.
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Merkel, no a un default della Grecia, scatenerebbe effetto domino incontrollato
Un default della Grecia “non é un’opzione” che può essere presa in considerazione, perché determinerebbe “un effetto domino incontrollato”. Lo ha detto il cancelliere tedesco Angela Merkel, durante un’intervista all’emittente televisiva Cnbc. L’intervento di Merkel arriva mentre altri leader europei, tra cui il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, cominciano a dubitare della capacità di Atene di ottenere ulteriori aiuti ed evitare il default.
Sondaggio, su Grecia Germania spaccata
Sull’ipotesi di un default della Grecia l’opinione pubblica tedesca è divisa. Secondo un sondaggio commissionato dall’emittente pubblica Zdf, il 50% degli intervistati è contrario ad un fallimento di Atene per il timore che possa ripercuotersi negativamente sulla Germania, ma il 41% è favorevole ad uno scenario che appare sempre più inevitabile.
Tuttavia il 75% dei tedeschi è contrario al rafforzamento dell’European Financial Stability Facility, Esfs, a fronte di un ben più basso 19% di tedeschi che è favorevole dell’aumento delle risorse per il fondo Ue salva-stati.
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da La Stampa
Nuove voci di default della Grecia. Tremonti: dipende solo da Berlino
La Bce non esclude più il crac di Atene, frenata della Merkel. Piazza Affari su con le banche
ATENE
La Grecia ad un passo dal baratro. Si intensificano infatti le voci secondo cui Atene sarebbe prossima a dichiarare il più grande default della storia per uno Stato sovrano con un debito di 353 miliardi di euro, un ammontare pari a cinque volte quello dell’Argentina che finì in bancarotta nel 2001.
«Il default della Grecia è uno degli scenari. Sono stato a lungo convinto che non fosse necessario, ma le novità da Atene non sono incoraggianti. Tutti gli sforzi sono volti a prevenirlo, ma adesso sono meno sicuro di poter escludere un default rispetto a due mesi fa», ha affermato senza mezzi termini il presidente della Banca Centrale olandese e membro del consiglio Bce, Klaas Knot, diventando così il primo esponente di rilievo dell’Eurotower a parlare pubblicamente di un possibile default di Atene, dopo che la Bce ha sempre insistito che un fallimento dovrebbe essere evitato ad ogni costo, perchè potrebbe destabilizzare la zona euro.
A buttare altra benzina sul fuoco ci ha pensato anche la solita agenzia di rating, in questo caso Moody’s, che oggi ha declassato di due livelli otto banche elleniche, assegnando loro un outlook negativo. Ma la Cancelliera Angela Merkel ha avvertito che un default ellenico «potrebbe innescare un effetto domino», quindi per Atene «non potrà esserci una bancarotta» e il governo greco deve «assolutamente fare ciò che gli è stato chiesto». Secondo quanto riportato dalla stampa ellenica, il ministro delle finanze, Evangelos Venizelos, avrebbe illustrato tre scenari per arrivare a una soluzione della crisi: un default pilotato con un “haircut” del 50% per i detentori di obbligazioni, giudicata però non fra le migliori; poi una «opzione buona» che prevede l’attuazione di quanto stabilito nel nuovo piano di salvataggio europeo siglato il 21 luglio e che comporterebbe un “haircut” del 20% per gli obbligazionisti; e infine una «opzione cattiva» di un default incontrollato in seguito al fallimento degli accordi di luglio.
Lo stesso Venizelos e il premier George Papandreou si sono però affrettati a smentire due di queste tre ipotesi, dichiarando che «la Grecia ha preso la decisione definitiva di fare tutto il possibile per implementare pienamente e puntualmente tutte le decisioni del Consiglio europeo del 21 luglio». Il premier ha anche escluso l’ipotesi di elezioni anticipate. Intanto da quanto emerge da un documento ufficiale della Ue, ottenuto da Bloomberg, l’operazione di buyback del debito greco da parte di Atene, che si inserisce sempre nel quadro del secondo salvataggio del Paese, dovrebbe essere rivolta a tutti gli investitori, comprendere tutti i titoli di Stato ellenici e aver luogo contemporaneamente al piano di swap obbligazionario che il governo greco sta negoziando. Il buyback, inoltre, dovrebbe essere finanziato solo ed esclusivamente dal fondo salva-Stati Efsf. In base ai prezzi che gli investitori stanno pagando per assicurarsi contro il default, le probabilità di un fallimento del Paese ellenico sono superiori al 90%, spiegano gli analisti, sottolineando che i creditori corrono il rischio di perdere anche tutto il capitale investito.
E anche se Atene dovesse ricevere la prossima tranche di aiuti, aggiungono gli stessi analisti, il default potrebbe arrivare a dicembre, con la scadenza di 5,23 miliardi di euro di titoli di Stato. Oggi l’interesse sui bond greci a due anni è schizzato al 70,61%, mentre quello sui titoli a 10 anni è salito al 23,63%, con lo spread con l’analogo bund tedesco a 2.190 punti. Sul tema è anche intervenuto Tremonti. «La soluzione alla crisi economica dipende solo da una minore incertezza della Germania. La situazione è complicata nel mondo, è complicata in Europa e l’Europa è la causa dei timori nel mondo» ha affermato il ministro dell’Economia in una dichiarazione ai microfoni della Rai. «Nel 2008 – ha aggiunto Tremonti – ci fu la capacità di contenere la crisi che fu gestita. Ora la crisi è tornata nella forma di crisi europea. La soluzione si trova solo se la Germania definisce una posizione meno incerta e mostra il coraggio la forza e la visione di investire di più sull’Europa, per il bene dell’Europa e della Germania stessa».
Intanto in Borsa è stata un’altra giornata di pazzione. Le banche hanno salvato il listino di Piazza Affari, che ha chiuso oggi in rialzo grazie allo sprint dei principali istituti quotati, da Bpm (+6,98% a 1,38 euro), favorita dal rialzo del rating da parte di Intermonte (da underperform a neutral) e Intesa Sanpaolo (+6,14% a 1,01 euro), a Unicredit, che ha risalito la china mettendo a segno un rialzo del 4,38% a 0,67 euro ed Mps (+3,34% a 0,38 euro). Una giornata favorevole anche per le francesi Bnp (+9,78%), SocGen (+8,76%) e Credit Agricole (+4,78%), mentre sul listino di Madrid hanno corso Santander (+4,64%) e Bbva (+5,31%). In profondo rosse invece le greche Alpha (-13,33%) e Piraeus (-9,09%), per i timori di una possibile imminente insolvenza da parte dello stato ellenico. Gli investitori hanno tirato un sospiro di sollievo dopo le rassicurazioni di Olivier Bailly, portavoce dell’Ue, secondo il quale «non è vero che tutto il sistema bancario europeo deve essere ricapitalizzato». Non è andata altrettanto bene al Banco Popolare, che ha lasciato sul campo il 3,04% a 1,11 euro, riducendo comunque un calo che aveva portato il titolo fino a quota 1,07 euro. A fine Londra segna un rialzo dello 0,50% a 5.066 punti, Francoforte dello 0,63% a 5.196 e Parigi dell’1,02% a 2.810, con il balzo del comparto bancario dopo gli scivoloni degli ultimi giorni. Il settore del credito spinge al rialzo anche Piazza Affari, con il Ftse Mib in progresso dell’1,36% a 13.664 punti e l’All Share dell’1,02%.
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