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Il sogno dei fondi illimitati

Smaltita la paura, però, qualche domanda sarebbe bene farsela. Come vedete qui sotto, se lo chiedono anche i bravi giornalisti. Soprattutto quelli che lavorano direttamente al serviio di Confindustria, matenendo però autonomia e competenza di giudizio.

La risposta è scontata e semplice: la garanzia di quella montagna di denaro (eventuale) è pubblica. Saranno gli stati – Francia e Germania, in prima linea – a esporsi a questo rischio.

Siamo dunque tornati al 2008: il sistema finanziario globale è fragile, va salvato a tutti i costi. Un bell’intervento dello stato nell’economia – maledetto se si tratta della muncipalizzata di Canicattì – diventa la migliore delle ricette possibili se riguarda Societé Generale o Credit Agricole. E dire che il “buco” aperto in questo caso può essere centinaia di volte più grande di quello provocato da una pessima gestione clientelare della municipalizzata (che comunque andrebbe risanata lasciandola in mani pubbliche, ma selezionando i dirigenti in base a criteri diversi dalla fedeltà a qualche boss politico e/o mafioso).

A nulla vale far notare che, in questo giro di crisi, è stato proprio l’elevato debito pubblico – provocato o moltiplicato proprio dal primo “salvataggio” delle banche – a determinare di nuovo l’instabilità del sistema creditizio. Banche (occidentali, quelle cinesi stanno benissimo) e debito pubblico stanno insieme come due impiccati con la stessa corda. Nel 2008-2009, dopo il crack Lehmann Brothers, le casseforti private sono state riempite di denaro pubblico (ricapitalizzazione), che però non è stato utilizzato per il “normale” lavoro delle banche (prestare soldi a imprese e famiglie in cambio di garanzie), ma “trattenuto” e investito in “titoli sicuri”. Ovvero quelli degli stati, che però avevano per questo dovuto dissestare i propri bilanci (si pensi all’Irlanda, che prima del crack aveva un debito pari al 12% del Pil).

Risultato: l’economia reale dei paesi avanzati ha ripreso subito a rallentare, colpita contemporaneamente da un credito (le banche) riluttante a prestare e da consumi ridotti a forza di “manovre” per riportare il debito pubblico dentro i “parametri” del più stupido dei trattati (Maastricht, definizione di Romano Prodi). Il debito pubblico è diventato in media più rischioso, perdendo valore nelle contrattazioni di mercato in borsa. Ma proprio quei titoli che andavano deprezzandosi erano gli “asset” in pancia alle abnche appena salvate. E subito di nuovo in crisi.

Se avvertite un certo giramento di testa non è perché state male. E’ questo torubillon di crediti-debiti (in realtà lo stesso oggetto nominato in modo diverso a ogni passaggio di mano) che fa perdere lorientamento sia a chi lo guarda che – e forse soprattutto – a chi lo pratica.

Questo nuovo ciclo di “salvataggio pubblico” di “banche private” e “stati” rappresenta a suo modo un salto di qualità, introvertendo i rischi maggiori negli stati più forti e solidi. Ma il meccanismo non è diverso. La finanza internazionale si comporta ormai come un tossicodipendente all’ultimo stadio, che pretende dosi crescenti della sostanza.

Per questo, “Il sogno dei fondi illimitati” ci è sembrato un pezzo di news analysis da mettere in bell’evidenza. Per chi vuole essere informato e farsi domande, è un buon punto di partenza. O una stazione necessaria.

 

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Il sogno dei fondi illimitati

di Isabella Bufacchi

 

I numeroni fanno sempre stragi di cuori. Piacciono, a prima vista, seducono perché fanno sognare. È circolata l’ipotesi di un fondo salva-Stati con una potenza di fuoco da 3mila (o 2mila, perché no) miliardi di euro e questa cifra mozzafiato ha sostenuto le Borse – oscurando provvisoriamente i timori di recessione e default greco – e ha contribuito a riportare lo spread tra BTp e Bund a 385 punti, con il rendimento dei titoli tedeschi in risalita dall’1,71 all’1,81 per cento.

Ma esiste un precedente: quando esplose il caso della Grecia, nel maggio 2010, il clamore dell’annuncio del piano da “one trillion dollars” fu seguito da una crisi senza precedenti del debito sovrano europeo. Nella sua prima versione (quella attuale) l’Efsf può emettere bond fino a 225 miliardi, nella seconda (non ancora attuata) 440 miliardi in vista del fondo permanente Esm (anticipato forse dal 2013 al 2012) con una capacità di intervento da 500 miliardi. Ma non basta. Quando a Grecia, Portogallo e Irlanda la crisi di fiducia si è allargata a Spagna e Italia, il mercato ha calcolato che le risorse per ipotetici salvataggi degli Stati europei in crisi di liquidità sarebbero dovute lievitare ad almeno 2mila miliardi (le aste a medio-lungo termine di Italia e Spagna potrebbero superare i 1.200 miliardi nel 2012-2015).

Miliardo più miliardo meno, l’arsenale delle munizioni è lievitato verso quota tremila, una cifra che in realtà sta a significare “senza limiti”. Il mercato reclama un’Eurolandia in grado di attingere a un bacino di risorse illimitate per arginare qualsiasi forma possa assumere in futuro la crisi del debito: ricapitalizzare le banche, sostituirsi alle aste dei titoli di qualsiasi Stato, coprire i fabbisogni pubblici per evitare default.

La cifra di per sé è un simbolo. E c’è da aspettarsi che, dopo l’infatuazione, dalla forma il mercato passerà alla sostanza. Le uniche risorse illimitate disponibili sono quelle delle banche centrali, e quindi Bce: per questo è spuntata ieri l’idea di un Efsf che si finanzi tramite Francoforte. Altra fonte “illimitata” è la leva: l’Efsf potrebbe garantire in parte (il 20%?) le emissioni dei titoli di Stato di Paesi in crisi di liquidità, consentendo alla Bce di acquistarne senza scrupoli (fino a 2.200 miliardi?). Oppure per estendere a dismisura i confini del superveicolo si potrebbero rilanciare le cartolarizzazioni: impacchettare bond o prestiti dell’Efsf per erogarne dei nuovi. Leverage e asset-backed securities tornano al centro del dibattito, questa volta schierati dalla parte dei “buoni”.

Che siano 2mila o 3mila miliardi, con o senza leva, con o senza Abs, queste risorse diventeranno un fardello per gli Stati con le spalle larghe. Eurostat lo ha messo bene in chiaro quando ha contabilizzato gli Efsf-bond come debito pubblico, ripartendoli nello stock dei debiti degli Stati garanti dell’Efsf stesso. Il pozzo senza fondo dal quale attingere potrebbe costare il rating “AAA” a Germania e Francia, persino alla Bce, all’Efsf e all’Esm. Quando il mercato si sveglierà dal sogno da 3mila miliardi, i politici europei dovranno essere pronti a evitare che Borse e spread ripiombino nell’incubo.

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