Menu

Fiat e Fincantieri, la deindustrializzazione avanza

I due casi nel racconto dai giornali di oggi.

*****

Sergio Sinigaglia
Ancona/ OPERAI BARRICATI: L’AZIENDA CI DIA RISPOSTE
E le tute blu della Fincantieri occupano il consiglio regionale
L’ultima proposta, respinta da tutti i sindacati, prevede 180 licenziamenti: «È indecente»

ANCONA
Ad Ancona sono tornati i «martedì della collera». Dopo una sospensione durante il mese di agosto, ieri 300 lavoratori del cantiere navale si sono trovati davanti alla fabbrica che da mesi ha interrotto completamente la produzione. Una decisione molto grave è stata presa dalla direzione, che per la prima volta ha chiuso i cancelli. «Una provocazione inaudita – denuncia Giuseppe Ciarrocchi, segretario regionale della Fiom – visto che nelle occasioni precedenti ci siamo sempre trovati qui nel piazzale senza problemi». Per questo primo martedì della nuova fase di mobilitazione si è deciso di invadere il Consiglio regionale che ha dovuto interrompere i lavori.
«Noi eccedenti, voi indecenti», questo uno dei significativi striscioni che sono stati affissi nella sala consiliare. Il presidente della giunta Gianmario Spacca ha cercato di calmare gli animi, ma ha dovuto subire la dura contestazione degli operai. Alla fine i lavori sono stati interrotti e rinviati a nuova data.
Quella di ieri è stata una giornata che rilancia l’iniziativa: venerdì 30 è prevista un’altra tappa significativa con la seconda «notte rossa» dopo quella di primavera, con la partecipazione, questa volta, anche del segretario nazionale Fiom Maurizio Landini. L’appuntamento è per le 19, sempre davanti ai cantieri.
Dunque riparte la mobilitazione, dopo che la settimana scorsa si era tenuto l’atteso incontro con l’amministratore della Fincantieri Giuseppe Bono. Nella crisi sono coinvolti 580 lavoratori interni più 1500 delle ditte appaltatrici. È una vicenda simbolo della crisi, che anche in questa regione sta provocando una «strage» occupazionale. Il confronto, svoltosi in Regione, con la partecipazione dei vertici istituzionali marchigiani, provinciali e comunali, ha visto Bono presentare una proposta che prevede l’arrivo di due commesse per altrettanti navi. Dunque apparentemente una buona notizia, se non per un piccolo particolare: degli attuali 580 cassaintegrati, ne verrebbero reintegrati 400, insieme ai 1500 delle ditte esterne, ma ben 180 rimarrebbero fuori.
Una proposta «indecente», respinta al mittente dai sindacati, per una volta uniti senza defezioni: «Non si capisce – sottolinea Giuseppe Ciarrocchi – perché se il lavoro c’è per 1900 lavoratori, ne debbano rimanere fuori 180. Ci sembra un film già visto. Si vogliono redigere liste “nere” in base all’assenteismo e magari alla sindacalizzazione. Siamo naturalmente disponibili alla trattativa, ma senza discriminazioni». Bono si è affrettato a specificare che se gli esclusi, ai quali verrebbe garantita la cassa integrazione, non riuscissero a trovare nel frattempo un’altra sistemazione, avrebbero garantito il reintegro «in uno stabilimento del gruppo».
Ma i lavoratori sentono puzza di fregatura e hanno la netta sensazione di trovarsi di fronte a una riedizione della ormai tristemente nota «linea Marchionne». Quindi siamo alla ripresa delle ostilità con gli operai decisi a non mollare. E dopo la «notte rossa» di venerdì ci si preparerà alla grande manifestazione del 15 ottobre a Roma. Anche da queste parti l’autunno si annuncia quanto mai caldo, e indignato.

*****

Fuga da Termini Imerese
Due anni di cassa per tutti, poi (forse) al lavoro in 1500, 700 pensionati. Sindacati critici, la Fiom non ci sta

Dino Collazzo
Tutto deve cambiare perché nulla cambi. Il ministro Paolo Romani, ieri, ha incontrato a Roma l’advisor di Invitalia, i sindacati e la Regione Sicilia per discutere nuovamente dello stabilimento Fiat di Termini Imerese: il risultato è stato pressoché identico, tutti d’accordo nel ritenere il piano credibile tranne i sindacati che chiedono maggiori garanzie sull’occupazione. Il piano per Termini Imerese c’è ma non si vede. O meglio si vede ma continua a non convincere.
Il nodo è la scarsa garanzia fornita sulla possibilità che nel polo siciliano vengano riassorbiti tutti i 2.200 lavoratori. Sul tavolo del ministro dello Sviluppo economico, infatti, le proposte non cambiano. La Dr Motor resta la sola azienda che dovrebbe riassorbire, dopo ben due anni di cassa integrazione per tutti, 1.312 dipendenti, mentre altri 200 verrebbero assunti da altre quattro imprese, che nulla hanno a che vedere con il settore auto. A conti fatti resterebbero a casa quasi 700 lavoratori che, secondo il ministro, potrebbero andare in prepensionamento. La Fiom ha già fatto sapere che non ci sta, in primo luogo perchè il Gruppo Di Risio, non essendo un costruttore di automobili (infatti la Dr si limita ad assemblare pezzi di vetture della multinazionale cinese Chery) non ha la capacità di garantire il lavoro per tutti. Molti lavoratori vedono all’orizzonte il rischio del licenziamento, nel caso in cui la domanda non dovesse decollare (è questo il tema del prossimo incontro del 5 ottobre tra Di Risio e i sindacati). In secondo luogo la richiesta dei sindacati è che la Fiat lasci lo stabilimento (la «fuga» è prevista a fine anno) finché non ci saranno garanzie sulla piena occupazione.
È per chiedere un futuro certo e per continuare a dare speranza a una terra affamata da sempre di lavoro che le seicento tute blu di Termini Imerese hanno deciso di invadere il cuore politico di Roma. Visto che sono in sciopero, quando non sono in cassa, e visto che di lavoro non se ne vede, hanno deciso di far sentire le loro voci nella capitale. Hanno sfilato e non «manifestato», per non innervosire il sindaco Gianni Alemanno impegnato a invocare l’intervento delle forze dell’ordine per ripulire Roma dai selvaggi in tuta blu.
Gli operai si sono dati appuntamento in piazza ss Apostoli, alle nove erano tutti lì, da dove hanno dato inizio al loro corteo. Tutto è durato un attimo, il tempo di girare l’angolo e arrivare a Montecitorio dove ad attenderli oltre alla polizia è arrivato anche il niet del primo cittadino: «Tutti hanno diritto a manifestare ma la nostra città non può essere messa in ginocchio da manifestazioni non autorizzate – ha detto Alemanno – Lavoratori e sindacalisti debbono comprendere che non possono essere i cittadini i capri espiatori della mancanza di risposte della politica alle loro rivendicazioni. Queste manifestazioni non autorizzate assumono un carattere di illegalità».
Immediate le reazioni dei lavoratori, che al grido «Alemanno fascista» hanno criticato la scelta di chiedere al prefetto e al questore di bloccare la manifestazione dei lavoratori e alla magistratura di perseguire i lavoratori per blocco stradale. Indignazione anche da parte del segretario della Fiom Maurizio Landini, che ha sfilato con gli operai: «Voglio dire ad Alemanno che forse si dimentica che è il sindaco. Non è il governatore di Roma che non c’è più dal ’43».
Quanto accaduto non ha fiaccato il morale degli operai che, dopo essersi rifocillati in piazza Montecitorio, in ordine sparso e a piccoli gruppi si sono diretti verso il ministero dello Sviluppo economico. Cori, fischi e slogan hanno invaso le starde del centro. Molti di loro hanno più di cinquant’anni e da trenta lavorano in Fiat. Nicola La Corte lavora in magazino ed è adetto al trasporto: «Siamo in sciopero da tre settimane e continueremo così fino a che non ci diranno quale sarà il nostro futuro». È deluso dalla totale assenza del governo e della classe politica «Siamo soli, il problema Termini non è nato oggi, è dal 2002 che chiediamo di essere ascoltati. Chi dovrebbe garantire lo sviluppo e il lavoro in questo paese ha preferito concedere alla più grande industria di scappare, dopo averle regato anche l’articolo 8».
Rabbia e tanta preoccupazione, è questa la sensazione che serpeggia tra i lavoratori, per il loro destino e per quello di un’intera provincia che rischia di veder morire parte della sua economia. Sono 15 i paesi che vivono anche grazie al lavoro dello stabilimento di Termini. «Così si distrugge un intero territorio- dice Orazio Buccone, operaio – vorrei chiedere al governo se sono queste le politiche di sviluppo per il sud». Orazio in Fiat è entrato 31 anni, fa ha vissuto il periodo in cui il lavoro non mancava, poi però sono arrivati gli anni Ottanta, la stagnazione e le crisi si sono succedute fino a oggi. Con il figlio al lato, Orazio ti guarda negli occhi e ti dice: «Ci hanno tolto tutto, tu mi chiedi che cosa mi aspetto da quest’incontro e io ti rispondo un po’ di serietà. Non si può giocare sulle spalle di chi lavora». Il coro tra i lavoratori è unanime, alla Dr Motor e al suo piano non crede nessuno e a scandirlo con forza è a fine giornata il segretario palermitano della Fiom Roberto Mastrosimone: «La situazione non è per niente bella, siamo venuti a Roma per avere risposte ma non le abbiamo avute. Quindi la vertenza è aperta e continua».
Davanti al ministero era presente anche una delegazione di operai dell’Irisbus. La loro paura è che la Fiat lasci alla Dr il compito di liquidare lo stabilimento dopo averlo aquisito «Ecco perchè – ha detto Salvatore – abbiamo votato no in assemblea a una nuova trattativa con Dr group».

*****

Loris Campetti
MARCHIONNE
In Sicilia le prove generali per lasciare l’Italia

È difficile, anche per i fiatologi, ricordare il numero esatto di amministratori delegati e presidenti succeduti a Fresco e a Cantarella dall’inizio del XXI secolo ad oggi. Tra Fiat auto e gruppo sono almeno una dozzina, diversi per cultura industriale, concezione della democrazia, piani di crisi e progetti di rilancio. Alcuni legati alla finanza, alcuni capitani coraggiosi e altri tenenti di brevissimo corso. Hanno tutti una sola caratteristica in comune, un obiettivo condiviso: chiudere la fabbrica di Termini Imerese e mandare a casa i lavoratori. Costruire automobili in Sicilia è una diseconomia, dicevano in coro i regnanti di turno, non c’è neanche il ponte tra Messina e Reggio. Eppure, alla fine degli anni Sessanta i soldi pubblici per aprire quello stabilimento la Fiat se li è presi, impegnandosi a costruire un indotto che non s’è mai visto, con la conseguenza di dover trasportare non solo le automobili finite dall’isola in continente, ma anche le componenti dal continente all’isola. Eppure, costruire in Serbia o in Polonia auto per l’esportazione nei mercati europei non è antieconomico, persino i suv fatti in Italia per il mercato Usa, o in Usa per quello europeo rientrano nelle possibilità. Lo stretto di Messina è più ampio dell’Atlantico?
Poi, improvvisamente, Marchionne scoprì che in cambio di garanzie e soldi pubblici Termini sarebbe diventata così conveniente – una punta di lancia industriale nel Mediterraneo – da spingerlo a firmare un accordo con sindacati, governo Prodi e regione Sicilia per raddoppiare lo stabilimento. L’accordo non ha mai visto la luce, mentre è tornato centrale l’obiettivo iniziale: chiudere Termini Imerese, mandare a casa i suoi operai.
È dal 2002 che gli operai siciliani difendono con le unghie e con i denti il loro stabilimento. Bloccando i cancelli, invandendo ora Palermo ora Roma, arrampicandosi sui tetti, coinvolgendo istituzioni, politica, cultura, studenti, centri sociali, artisti. Quasi 10 anni di battaglie, senza tregua, con la rabbia di chi ha l’orgoglio di rappresentare un’alternativa pulita all’economia criminale in un territorio esposto come la Sicilia. Il fatto è che la Fiat di Marchionne, come le Fiat di chi l’ha preceduto, in Italia può fare quel che gli pare, a differenza che negli Usa, o in Germania. Non c’è un governo che imponga al Lingotto di restare, o di restituire i soldi pubblici presi in quarant’anni. La politica non si scalda, i lavoratori sono abbandonati al loro destino: un ponte improbabile tira più di tante concrete vite operaie.
Dieci anni sulla strada, molti di loro sono invecchiati in cassa integrazione. Un fatto che per il ministro Romani ha un valore non sociale bensì anagrafico: ancora due anni anni di cassa e forse 900 operai avranno raggiunto l’età del prepensionamento, liberando il campo dalla loro presenza. Gli altri? Se non saranno ancora prelicenziabili tra due anni, se ne prenderà – se non ci ripenserà come ha già fatto con la Irisbus – 1.312 un tipo che assembla in Molise qualche auto cinese. Altri 200 se li porterà a casa un altro paio di imprenditori e il gioco è fatto. Marchionne non ha tempo da perdere, ha troppi impegni negli Usa per cincischiare in un’isola senza ponte, o discutere con un «sindacato ideologico» come la Fiom.
Termini Imerese è il banco di prova di Marchionne: se riuscirà a lasciare l’isola senza pagare dazio, presto potrebbe andarsene anche dalla penisola e abbandonare l’Italia. Ieri, a chi chiede garanzie per gli stabilimenti italiani, Marchionne ha detto: su Mirafiori «sto ancora lavorando». È l’unico, per tutte le tute blu torinesi c’è solo cassa. Marchionne aveva giurato: non chiuderò nessuna fabbrica in Italia. Dopo la Cnh di Modena e la Irisbus di Avellino, Termini è la terza vittima. La Fiom ha annunciato una mobilitazione generale di tutti i lavoratori del gruppo? No problem: «La Fiat andrà avanti, non si farà condizionare da una minoranza». Domanda ai sindacati, alla politica, alla sinistra, ai movimenti: il modello Marchionne è un problema della sola Fiom?

da “il manifesto” del 28 settembre 2011
*****

In bilico la De Tomaso della famiglia Rossignolo

L’avventura della De Tomaso, e della famiglia Rossignolo che voleva rilanciarla, sembra destinata a terminare mestamente. L’azienda è stata infatti sfrattata dallo stabilimento ex Pininfarina di Grugliasco, in provincia di Torino, e ora la maggioranza del pacchetto azionario è in vendita al miglior offerente. Il destino dei 900 operai è in bilico. Sul mensile Quattroruote, Gianluca Rossignolo, figlio del patron Gianmario, ammette le difficoltà del marchio, ma avanza pesanti accuse alla gestione della vicenda da parte della Regione Piemonte: «L’ex presidente Mercedes Bresso ci aveva promesso una copertura finanziaria di 18 milioni di euro; poi sono arrivati i leghisti, ovvero Roberto Cota, e hanno bloccato tutto. Certo che siamo a corto di liquidi, ma è perché la Regione ha cambiato le regole del gioco in corsa».
*****

Fiat, per il ministro Romani  «si è fatto un altro passo in avanti»

Soddisfazione del governo dopo l’incontro con Invitalia, Regione Sicilia e sindacati sul futuro di Termini Imerese

TERMINI IMERESE – «È stata una riunione importante che ha avuto un esito positivo: si è fatto un altro passo avanti». Lo ha detto il ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, al termine dell’incontro con Invitalia, Regione Sicilia e le rappresentanze sindacali, sul futuro dello stabilimento Fiat di Termini Imerese. «Ora con i sindacati verificheremo la composizione e l’anzianità dei lavoratori», spiega Romani, precisando che «i sindacati hanno chiesto un incontro con Di Risio per verificare la bontà del piano industriale».

Un incontro che potrebbe avvenire a breve: «Noi – dice Romani – abbiamo dato la disponibilità anche per i prossimi giorni». Il ministro ha poi spiegato che attualmente i dipendenti dello stabilimento siciliano di Termini Imerese sono 1.566, più l’indotto diretto e indiretto stimato in qualche centinaia di persone. Degli oltre 1.500 operai, 1.312 verranno assorbiti da Dr Motor, mentre la parte restante, dalle altre aziende. «Noi – ha concluso il ministro – riteniamo di aver fatto un buon lavoro, ora spetta ai sindacati assumersi le responsabilità di ritenere l’accordo positivo».

Redazione online

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *