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I prossimi passi della crisi

Eppure non è sorprendente. Krugman, tra l’altro, se la prende con l’estrema superficialità con cui i media – anche quelli prestigiosi come il “suo” New York Times – accolgono e riciclano infomazioni precotte, fasulle, formule ideologiche anziché notizie e riflessioni vere.

E’ un problema molto serio. La proprietà dei media è qasi sempre di società quotate in borsa. La finanza è per la proprietà un luogo da abitare tremando, ma non ce n’è per loro un altro. Quel che gira “sui mercati” è legge anche se appare a prima vista una patente stronzata, o un ballon d’essai per speculatori pronti a colpire. Un po’ come le agenzie di rating, anche se ovviamente con peso specifico molto minore.

Per il vecchio pirata di origine ungherese, invece, c’è la praticità senza remore di un lupo di mare che ne ha viste tante. Ma neppure lui sa cosa siaa una crisi come quella in corso. Mette lì idee complesse, che non troveranno risposta tanto presto. L’inadeguatezza della politica – la qualità dei politic europei  è per loro disarmante. Ma proprio questo tipo di “politici” sono stati selezionati nel corso degli ultimi 30 anni. esecutori fedeli degli ordini sovranazionali, difensori cauti del proprio orticello, pragmantici speculatori di un consenso elettorale volatile. gente senza ide, strategie, vista lunga, progetti.

Ma altrettanto disarmante è l’alterigia “tecnocratica” delle istituzioni preposte a gestire concretamente la crisi. Anche qui abbiamo “tecnici”, magari di grandissima specializzazione, ma assolutamente privi della benché minima visione globale, sistemica, tendenzialmente unitaria. Una classe dirigente complessivamente indaguata viene spiazzata giorno per giorno dai manovratori di grandi masse di capitale finanziario senza patria né approdo fisso. Ma non possiedono nessuno strumento – quindi nessuna volontà, né politica né tantomeno “tecnica” – di immaginare rimedi all’altezza del problema.

Naturalmente anche a sinistra, tra i comunisti, la situazione non è al momento molto diversa. Ci si oppone, quando va bene. Ma da qui a immaginare un superamento “concretamente possibile” del modello sociale, ce ne corre….

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Bce, Ocse, economisti e (certi) giornali:è tutto da rifare

di Paul Krugman

Ci sono volute idee sbagliate e mosse sbagliate da più parti per ridurci nello stato in cui ci siamo: raramente, nel corso degli eventi umani, così tante persone si sono impegnate così tanto per fare così tanti danni.

Se dovessi individuare qualche colpevole più colpevole degli altri, punterei il dito su quelle istituzioni europee (o con sede in Europa) che hanno offerto una credibilità intellettuale immeritata ai fautori della politica del rigore. Nello specifico: l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), che un anno fa ha chiesto un risanamento dei conti pubblici e un forte incremento dei tassi di interesse negli Stati Uniti, perché… perché sì. L’Ocse ha analizzato la situazione economica del Regno Unito e ha concluso che l’inflazione probabilmente calerà, la disoccupazione salirà e che quindi il Governo di Londra dovrà continuare a tagliare la spesa pubblica e alzare i tassi di interesse. Come ha scritto un analista: «In che pianeta vivono? In che pianeta vivo?».

Tra i colpevole anche la Bce, che ha sposato con entusiasmo la dottrina dell’austerità espansiva a dispetto della mole di dati che ne dimostrano l’infondatezza e ha provveduto ad alzare i tassi in presenza di un’economia in depressione, dando il colpo di grazia all’euro.
Non senza colpe la Banca dei regolamenti internazionali, che tre mesi fa ha chiesto alle Banche centrali di dare una stretta alla politica monetaria per combattere un’inesistente minaccia inflazionistica. È il caso di far notare che l’inflazione attesa è in picchiata?
Queste organizzazioni farebbero bene a farsi un esame di coscienza e a chiedersi come hanno fatto a sbagliare così clamorosamente nonostante si vantino di essere le depositarie della saggezza.

Giornali freudiani. Forse (anzi, è probabile) sono io che sono troppo sensibile all’argomento, ma mi ha colpito il titolo di un articolo del Financial Times: “L’Fmi mette in guardia dalle politiche di stimolo”. Mi ha colpito perché si apprende che l’Fmi mette in guardia dalle politiche di austerity. Come ha scritto Alan Beattie sul Financial Times del 20 settembre: “In una situazione in cui la ripresa mondiale sembra sempre più a rischio, gli Usa e le altri grandi economie devono evitare di tagliare eccessivamente la spesa pubblica sul breve termine, è l’ammonimento del Fondo monetario internazionale”.

Quel titolo è un classico esempio di lapsus freudiano. È indiscutibile che nell’ultimo anno la febbre del rigore si è diffusa come un’epidemia tra le fila delle persone tanto coscienziose, e che politici, alti funzionari e mezzi di informazione fanno fatica a tornare alla realtà. Se si sono esposti parecchio per cantare le lodi di questo magico universo dove la contrazione della spesa pubblica produce effetti espansivi sull’economia, ora è difficile fare marcia indietro senza dover ammettere che non hanno la idea di quello di cui stanno parlando.
Economisti confusi. Vedo che l’economista Tyler Cowen ha stabilito che un piccolo incremento del Pil irlandese e un calo dei tassi di interesse sui titoli di Stato del Governo di Dublino da livelli drammatici a livelli che indicano un forte rischio di default rappresentano una confutazione delle teorie keynesiane. I modelli keynesiani in economia aperta sono chiari . Nessun Paese rimane in recessione in eterno: una disoccupazione alta produce una deflazione reale, o quantomeno relativa, che migliora gradualmente la competitività e porta a un incremento delle esportazioni e a una graduale espansione dell’economia.

Questa è la tesi di Keynes in The economic consequences of Mr Churchill, un saggio del 1925. Che l’Irlanda ora cresca un po’ non è una confutazione delle teorie keynesiane: al contrario, è quello che ci si poteva aspettare considerando che quel Paese sta realizzando gradualmente una “svalutazione interna” attraverso una deflazione relativa. Un rapido ritorno alla piena occupazione, quello sì che sarebbe stato un rebus intellettuale. Ma non è quello che sta avvenendo.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
© 2011 NYT DISTRIBUITO DA NYT SYNDICATE

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Per salvare l’Eurozona un Tesoro comune e ampi poteri alla Bce su banche e Stati

di George Soros

I mercati finanziari stanno indirizzando il mondo verso un’altra Grande depressione, dalle incalcolabili ripercussioni politiche. Le autorità, soprattutto in Europa, hanno perso il controllo della situazione. Devono recuperarlo, e devono farlo senza indugio. È indispensabile quindi dare il via a tre audaci provvedimenti.

Primo: i governi della zona euro devono approvare in linea di principio un nuovo trattato che porti alla creazione di Tesoro comune per la zona euro. Secondo, le banche più grandi devono essere assoggettate alla guida della Bce in cambio di una garanzia transitoria e di una ricapitalizzazione permanente. Terzo, la Bce dovrebbe permettere a paesi quali Italia e Spagna di rifinanziare a breve termine il loro debito a un costo estremamente basso. Questi primi passi tranquillizzerebbero i mercati e offrirebbero all’Europa il tempo necessario a mettere a punto una strategia per la crescita senza la quale il problema del debito resterà irrisolto.

Dal momento che la formulazione di un trattato della zona euro che istituisca un Tesoro comune richiederà sicuramente molto tempo, nel frattempo gli stati membri dovranno rivolgersi all’autorità finanziaria che già esiste, la Bce, affinché essa colmi il vuoto che si è creato. Nella sua forma attuale questo embrione di Tesoro comune – il cosiddetto fondo salva-stati, l’European financial stability facility – è solo un erogatore di fondi. In che modo tali fondi siano spesi è lasciato all’iniziativa dei singoli stati membri. Permettere che l’Efsf collabori con la Bce rende necessaria un’agenzia intergovernativa di nuova creazione, che dovrà essere autorizzata dal Bundestag tedesco e forse anche da altri parlamenti della zona euro.

Il compito più immediato da assolvere consiste nel dotarsi di tutte le necessarie tutele nei confronti di un contagio innescato da un possibile default della Grecia. In particolare, occorre tutelare due entità particolarmente vulnerabili: le banche e i titoli di stato di paesi quali Italia e Spagna. Per riuscire in tali imprese correlate al resto, l’Efsf dovrebbe essere utilizzato fondamentalmente per garantire e ricapitalizzare le banche. Quelle sistemicamente più importanti dovrebbero approvare l’Efsf per conformarsi a quanto prevede in materia la Bce finché tali garanzie saranno valide. Le banche che si rifiuteranno di farlo non saranno garantite, ma un numero sufficiente di loro accetterà quasi sicuramente di fornire alla Bce la massa critica necessaria.

A quel punto la Bce potrebbe predisporre che le banche mantengano attive e operative le loro linee di credito e i loro portafogli prestiti, pur monitorando da vicino i rischi nei quali potrebbero incorrere per i loro stessi conti. Questi provvedimenti arresterebbero il deleveraging concentrato che è una delle cause principali della crisi. Una volta portata a termine la ricapitalizzazione, infine, si toglierebbero incentivi al processo di deleveraging, e a quel punto le garanzie cautelative potrebbero essere eliminate.

Per alleviare la pressione dei titoli di stato di paesi come l’Italia, la Bce dovrebbe abbassare il suo tasso di sconto: ciò incoraggerebbe di conseguenza i paesi coinvolti a finanziarsi interamente tramite l’emissione di buoni del tesoro e le banche sarebbero a loro volta indotte a comperarli. Le banche potrebbero abbassare ulteriormente il prezzo dei titoli per la Bce, ma non lo faranno fino a quando guadagneranno di più da essi che dal denaro liquido.

Tutte queste misure consentirebbero alla Grecia di entrare in default senza provocare uno sfacelo globale, il che non significa naturalmente che la Grecia dovrebbe essere costretta a entrare in default. Qualora la Grecia rispettasse i propri obblighi, l’Efsf potrebbe sottoscrivere un piano “volontario” di ristrutturazione di circa 50 centesimi sull’euro, diciamo. L’Efsf avrebbe sufficienti capitali residui per garantire e ricapitalizzare le banche europee, lasciando all’Fmi il compito di ricapitalizzare le banche greche.

Io credo che questi provvedimenti potrebbero veramente porre fine alla fase più acuta della crisi dell’euro tamponandone per così dire le due cause principali (debolezza delle banche e sovranità vulnerabili), e rassicurando i mercati sul fatto che una soluzione a più lungo termine è in vista.

Sono attualmente allo studio molte altre proposte, perché le autorità finalmente si sono rese conto che continuare a procrastinare le cose gingillandosi con le quisquilie e “prendendo a calci una lattina per strada” li ha portati di fatto in un vicolo cieco. La maggior parte di tali proposte punta a dar la scalata all’Efsf trasformandolo in una banca, una compagnia assicurativa, una società di progetto che si accolli la parte maggiormente a rischio della partnership pubblico-privata.

La strada dei provvedimenti sin qui prospettata non richiede un leveraging o di aumentare i volumi dell’Efsf, ma è più radicale, in quanto metterebbe le banche europee sotto il controllo europeo. Quasi certamente ciò scatenerà l’opposizione sia delle banche sia delle autorità nazionali, ma si tratta pur sempre di un’opposizione che soltanto le pressioni dell’opinione pubblica potranno superare.
(Traduzione di Anna Bissanti)


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