Grame, ovviamente.
Goldman Sachs rivede infatti al ribasso la crescita economica nella zona euro a causa della crisi dei debiti sovrani, con l’Italia che segnerà una contrazione dello 0,4% nel 2012.
«Ci aspettiamo una lieve recessione nella zona euro all’inizio dell’anno prossimo. Ma mentre i paesi centrali della regione vedranno un ritorno alla crescita nella prima metà del 2012, quelli periferici continueranno ad indebolirsi», spiega la Banca Usa nello studio ‘European Views’.
Nel 2011 l’Eurozona vedrà una crescita dell’1,6% ma nel 2012 il Pil dell’area segnerà un misero +0,1%. Nel dettaglio, la crescita della Germania crollerà da un +2,8% nel 2011 ad un +0,6% l’anno prossimo, quella della Francia da +1,6% a +0,2% mentre la crescita dell’Italia, sempre l’anno prossimo, subirà una contrazione dello 0,4% dopo il +0,8% di quest’anno. Anche il Pil della Spagna vedrà una contrazione dello 0,4% dopo un +0,7%.
Questo report è anche un segnale per gli investitori di grandi dimensioni: abbandonare l’area, in attesa che torni il bel tempo (se tornerà). L’indicazione è palesemente a doppio taglio, comunque, visto che molte grandi banche Usa e inglesi (tra cui la stessa Goldman Sachs, oltre alla già citata – ieri sera – Morgan Stanley) hanno in cassaforte montagne di titoli di stato di diversi paesi europei “a rischio”. Una svalutazione molto rapida di questi titoli costringerebbe prima o poi questi istituti a “registrare” le perdite. E in un mercato finanziario nervosissimo, che attende le “trimestrali” aziendali come massimo orizzonte temporale possibile, dei writedown rischiano di essere la miccia per esplosioni incontrollabili. Specie per le banche “troppo grandi per fallire” (e quindi anche per essere salvate).
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Intanto anche Deutsche Bank entra nel gorgo. Non riuscirà infatti a centrare l’obiettivo di un utile operativo pre-tasse di 10 miliardi di euro quest’anno. Lo ha reso noto la stessa banca in un comunicato, aggiungendo che per il terzo trimestre prevede svalutazioni per 250 milioni di euro a causa dell’esposizione in Grecia. Sulla scia di queste notizie il titolo crolla alla Borsa di Francoforte perdendo l’8,5%.
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da Il Sole 24 Ore
In ansia per l’euro, Londra allenta il credito
di Leonardo Maisano
«La spinta più forte per rilanciare l’economia inglese non posso annunciarla io perché non dipende da me». George Osborne si ferma un istante e aggiunge: «Arriverà dalla risoluzione della crisi dell’eurozona».
Ogni giorno da Londra si levaun appello, un richiamo, un incoraggiamento ai partner stretti nella guaina della divisa comune perché facciano un salto in avanti nell’integrazione, mettendoin sicurezza sé stessi e il Regno di Elisabetta. Domenica era stato il premier David Cameron ieri è stata la volta del Cancelliere dello Scacchiere. Fra loro s’è incuneato anche il pensiero cupo di un banchiere dei due mondi come Stephen King, chief economist del gigante anglo cinese Hsbc. «Il fallimento dell’euro scatenerebbe una nuova Grande Depressione».
In attesa che i partner agiscano Londra fa le barricate per rimettere in moto un’economia che l’Ocse ha indicato essere ferma un poco meno, ma non troppo, di quella italiana. E dà sfogo alla fantasia su innovativi strumenti monetari per affrancarsi dalla dipendenza dall’area euro racchiusa più che mai in un dato: il 40% dello scambio commerciale britannico avviene con il continente. E non solo, se è vero che lungo il braccio di mare che la divide dall’Irlanda corrono più manufatti e servizi made in Uk di quelli destinati a Brasile, Russia, Cina e India.
L’ansia per l’euro è giustificata e nemmeno manca, come accennato, la fantasia per immaginare nuovi mezzi capaci di accelerare l’uscita dalla crisi. George Osbone ieri al congresso del partito conservatore ha sfilato dal cilindro l’allentamento del credito. Si tratta di lasciar fare al Tesoro quanto le banche non fanno abbastanza: concedere finanziamenti alle imprese, quelle medio piccole prima di tutto. I dettagli mancano, ma l’ipotesi è che con il gettito di emissioni di bond siano comperate obbligazioni ad hoc emesse dalle società che cercano finanziamenti. In questo modo il Tesoro agirebbe da supplente rispetto alle banche che si sono impegnate a garantire linee di credito pari a 190 miliardi di sterline per il 2011. Troppo poco, secondo Osborne. Da qui l’idea di un nuovo stimolo che potrebbe anche essere coordinato – in forme ancora da definire – con la Banca d’Inghilterra. Un’altra ipotesi che veleggia da giorni lungo la linea Cancelliere-Governatore è l’istituzione di una banca con il solo mandato di finanziare le Pmi.
Le idee non mancano, ma per ora si rafforza una sola certezza. In attesa dell’allentamento del credito arriva l’allentamento quantitativo. Il comitato di politica monetaria della banca centrale sta progressivamente muovendo verso il sì a un nuovo round di quantitative easing, non meno di 50 miliardi, che potrebbe essere già deliberato nelle prossime settimane. Un altro po’ di eccitante per un’economia inchiodata a sé stessa, ma pericolosamente minacciata da un’inflazione che galoppa verso il 5 per cento. Non c’è dubbio, anche Londra… ha bisogno dell’euro.
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Dexia crolla in Borsa: -25%. Il gruppo verso lo smantellamento
Pesano in portafoglio titoli di Stato di Pigs e Italia per 21 miliardi, rischio credito all’11,4%. Possibile la creazione di una bad bank con gli asset in perdita. Le prime difficoltà nel 2008 dopo il crak di Lehman Brothers.
di GIULIANO BALESTRERI
Partenza shock per Dexia. Sul listino belga, il titolo dell’istituto perde oltre il 24% (è sprofondata fino al -32%) dopo un cda fiume che ha aperto a nuove cessioni e alleanze per risolvere “problemi strutturali” del gruppo e ha lasciato intravedere il rischio di uno vero e proprio smantellamento dell’istituto. Dopo una svalutazione di 377 milioni sui titoli greci in scadenza prima del 2020, la banca rischia ora di perdere altri 3 miliardi di euro per i suoi investimenti in titoli ellenici, italiani, portoghesi, spagnoli e irlandesi. Complessivamente Dexia ha in portafoglio 21 miliardi di bond governativi di Pigs e Italia che, con un tier 1 capital di 14,4 miliardi, si traducono in un rischio credito dell’11,4%.
Il consiglio di amministrazione ha quindi ammesso che le dimensioni del portafoglio degli attivi non strategici pesa strutturalmente sul gruppo e ha dato mandato all’amministratore delegato, Pierre Mariani, di assumere le misure necessarie e aprire a nuove prospettive di sviluppo per le filiali francesi e belghe. Senza escludere una separazione di tale portafoglio dalle altre attività bancarie.
Per Financial Times e Le Figaro la riorganizzazione passerebbe attraverso la creazione di una “bad bank” con gli asset in perdita, mentre – secondo il giornale francese – il resto del gruppo andrebbe incontro a una liquidazione che coinvolgerebbe la controllata turca Denizbank, la gestione degli attivi, il private banking e anche l’attività di banca commerciale in Belgio.
Solo ieri il titolo aveva ceduto il 10%. Lo smantellamento di Dexia – dicono gli addetti ai lavori – sarebbe la prova definitiva dell’allargarsi della crisi del debito: dal periferia al cuore dell’Europa, coinvolgendo Belgio e Francia. Non è, però, la prima volta che il gruppo entra in sofferenza. Quello che un tempo è il primo creditore mondiale delle amministrazioni locali, nel 2008, aveva già ricevuto aiuti per 6 miliardi da Francia, Belgio dopo il crack di Lehman Brothers.
E ancora una volta potrebbero essere i governi a salvare la banca. “Possiamo intervenire e se sarà necessario lo faremo” ha detto il ministro delle finanze belga, Didier Reynder
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