Significa che si prevede un ulteriore peggioramento della situaione nel prossimi mesi, e quindi che si potrebbe facilmente arrivare a un altro taglio del voto. Sul piano pratico, da domani il costo di finanziamento del debito italiano aumenta.
Fondata nel 1909 da John Moody, Moody’s Corporation è la seconda agenzia di rating per importanza dopo Standard&Poor’s.
Insieme a Fitch sono definite le «tre sorelle» del rating, perchè di fatto costituiscono un’oligopolio delle valutazioni sull’affidabilità creditizia di società e stati sovrani che emettono bond. Insieme hanno una quota i mercato che va dal 90 al 95%.
Dietro Moody’s c’è Warren Buffett, il grande finanziere americano che ha chiesto di far pagare più tasse ai ricchi, lui per primo. Tramite la sua holding Berkshire Hathaway Buffett ha la quota di maggioranza di Moody’s (12,47%). Ma i veri padroni dell’agenzia sono i grandi fondi di investimento americani che peraltro controllano anche Standard&Poor’s. Capital World Investors, Blackrock, State Street, Vanguard Group e TRowe Price Associates possiedono rispettivamente il 12,3%, il 6,6%, il 3,3%, il 3,4% e il 5,6% di Moody’s, sommare le quota non è formalmente corretto perchè non c’è alcun patto di sindacato, ma insieme possiedono il 31,2%.
Le altre quote sono controllate da Davis Selected Advisers (6,3%), Capital Reserch Global (3,7%) Valueact Holdings (3,6%), Executive manager (1,5%). Il restante 41,23% è costituito dal flottante. Dal 19 giugno 1998 Moody’s Š quotata al New York Stock Exchange.
La notizia ha ovviamente raggiunto anche il ministro dell’economia, Giulio Tremonti, che sembra parò aver perso – oltre all’autocontrollo – anche un bel po’ di lucidità. Non si poccono infatti avere “conti in ordine anche senza crescita”.
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da La Stampa
Moody’s: le ragioni del downgrade
Il downgrade di Moody’s sul debito italiano da A2 con outlook negativo ad Aa2 è attribuito dall’agenzia di rating a fattori sia domestici e internazionali. L’agenzia ha abbassato di tre livelli il merito di credito del Bel Paese ed evidenzia il deterioramento della fiducia della comunità finanziaria sui titoli del debito sovrano dell’Eurozona con effetti di aggravamento degli oneri correlati al funding. Particolarmente esposti a questo clima di sfiducia sono proprio i paesi a elevato indebitamento come l’Italia che solo nel 2012 dovrà rifinanziare debiti per oltre 200 miliardi di euro sui mercati.
Sebbene con un giudizio Aa2 l’ipotesi di default dell’Italia rimanga remota – evidenzia Moody’s – bisogna sottolineare questo crescente clima di sfiducia sui mercati sull’affidabilità del debito italiano.
Sul fronte interno Moody’s evidenzia diverse difficoltà collegate a una debolezza strutturale del Bel Paese che è correlata principalmente alla bassa produttività e a “forti rigidità nel mondo del lavoro” e della produzione che impediscono l’attuazione della più elevata crescita potenziale del paese e continuano a intralciare la ripresa.
Tali impedimenti strutturali, afferma Moody’s, non possono essere rimossi rapidamente e i piani di riforma del governo hanno appena avviato alcuni cambiamenti che comunque necessitano di una implementazione efficiente.
Va inoltre considerato che le prospettive moderate di crescita dell’economia del Bel Paese nel medio termine sono state ulteriormente riviste al ribasso a causa dell’indebolimento della crescita globale e delle prospettive dell’Eurozona.
La crescente incertezza sulla capacità del governo di raggiungere gli obiettivi di consolidamento fiscale è un fattore altrettanto importante ed è collegato al fatto che essendo le misure di consolidamento italiane legate agli introiti dello Stato, i dubbi sulla crescita economica rischiano di metterne a rischio il successo.
Sembra inoltre difficile, aggiunge Moody’s, che si raggiunga un consenso politico sulle misure di taglio della spesa previste. I governo potrebbe dunque incontrare difficoltà a generare i surplus primari necessari a mettere su un solido tragitto discendente l’evoluzione del rapporto deficit/Pil a fronte di un debito che si dovrebbe attestare alla fine dell’anno intorno al 120% del Prodotto interno lordo. Tutto ciò potrebbe comportare anche una pericolosa e maggiore sensibilità dell’Italia agli shock finanziari.
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