Noi non crediamo che sarà possibile. Certo, si metteranno d’accordo su come spremere i popoli dei paesi più deboli. Certo, vareranno criteri più restrittivi e prescrittivi di quelli di Maastricht.
Ma non sarà considerato sufficiente. E’ la costruzione europea, così come è stata pensata ed edificata (leggete l’ottimo contributo di Pitagora, su questo giornale), a non reggere lla prova dei fatti.
Diciamolo subito. Nessun’altra costruzione lo sarebbe stata. Ma questo è un ragionamento più lungo e complesso. Che stiamo affrontando da tempo, con la produzione di materiali che non consideriamo “definitivi”, ma che stanno costruendo un ragionamento – speriamo – all’altezza del problema.
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da Il Sole 24 Ore
«Per L’Europa tempo scaduto»
dal nostro corrispondente Marco Moussanet
PARIGI – I Paesi “non euro” del G-20 lanciano un ultimatum ai loro partner dell’Eurozona: la crisi si è trascinata troppo a lungo senza essere adeguatamente affrontata, ora il tempo è scaduto perché i rischi di contagio sono evidenti e ci aspettiamo risposte concrete e definitive dal vertice di Bruxelles del 23 ottobre. Un ultimatum che, fatto del tutto inusuale per incontri di questo genere, viene esplicitato nel comunicato diffuso al termine del summit parigino tra i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche centrali delle venti economie più importanti al mondo.
Pur riconoscendo i passi avanti già compiuti, il documento abbandona infatti il consueto linguaggio diplomatico optando per una impietosa chiarezza: «Ci aspettiamo dei nuovi lavori per massimizzare l’impatto dell’Efsf al fine di evitare il contagio e attendiamo i risultati del Consiglio europeo del 23, che presenterà un piano globale per dare una risposta energica alle attuali sfide».
«Abbiamo ascoltato cose incoraggianti dai nostri colleghi europei – ha detto il segretario di Stato americano Tim Geithner – a proposito del nuovo piano per finirla con la crisi sul continente. Il piano contiene gli elementi giusti e la sua credibilità è rafforzata dalla strategia adottata dai Governi francese e belga per limitare i potenziali danni collaterali che avrebbe potuto causare la caduta di Dexia. Sappiamo inoltre che quando Francia e Germania decidono insieme di passare all’azione grandi cose sono possibili». Possibili, appunto. Un’apertura di credito, l’ennesima, ma poco più. Mentre il presidente Usa Barack Obama ha telefonato ancora una volta alla cancelliera tedesca, Angela Merkel, per sapere a che punto siamo.
La realtà è che la pazienza dei Paesi extraeuropei è ridotta al lumicino, per non dire che è proprio finita. Troppe parole e troppi pochi fatti. Reazioni troppo lente, e sempre in ritardo. Come ha fatto notare in maniera molto netta il ministro sudafricano Pravin Gordhan: «Gli europei stanno trascinando questa crisi da un anno». Mentre il ministro brasiliano Guido Mantega ha aggiunto: «Noi siamo solidali, ma le soluzioni della crisi sono nelle mani degli europei».
Lo stesso ministro francese, e presidente di turno, François Baroin ha ammesso che il summit del 23 sarà «decisivo». Non a caso quando i riflettori si sono spenti sul G-20 i ministri dell’Eurozona si sono nuovamente riuniti, nel tardo pomeriggio di ieri, per continuare a lavorare tra loro. Per approfondire i temi sul tappeto, cercare di appianare le divergenze, capire com’è possibile superare gli ostacoli che ancora ci sono, nonostante le solenni dichiarazioni, lungo la strada che dovrebbe portare all’atteso effetto shock del 23.
La lista è di quelle da far tremare le vene ai polsi: ruolo e dotazione, in strumenti e risorse, del Fondo di stabilità; tempi, modalità e quantità del processo di ricapitalizzazione delle banche; aumento del default selettivo della Grecia – presumibilmente dal 21% al 50% – di cui dovranno farsi carico i creditori privati (banche e assicurazioni). Tutte cose sulle quali ci si aspetta una parola finale domenica prossima, ma su cui non esiste ancora unanimità di vedute all’interno dell’Eurozona.
Così come il G-20 è diviso sull’opportunità di incrementare le risorse finanziarie del Fondo monetario internazionale per dargli la possibilità di intervenire qualora alcune grandi economie europee – Italia e Spagna – dovessero trovarsi in gravi difficoltà di finanziamento. Gli emergenti insistono per un aumento in cambio di maggior peso all’interno del Fondo. Germania e Stati Uniti – Geithner lo ha ribadito ieri – non sono d’accordo. Su questo punto il comunicato è generico, pur lasciando la porta socchiusa agli emergenti: «Ci siamo impegnati a vigilare affinché il Fondo abbia le risorse adeguate per assumere le proprie responsabilità sistemiche». Rinviando la spinosa questione al G-20 dei capi di Stato e di Governo che il 3 e 4 novembre a Cannes chiuderà l’anno di presidenza francese.
Il comunicato chiama infine in causa la Cina (pur senza nominarla esplicitamente, come ha invece fatto Geithner), auspicando «tassi di cambio determinati dai mercati, con una loro accresciuta flessibilità che consenta di rispecchiare i fondamentali economici».
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