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Prepararsi al naufragio, dice Draghi

 

 

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L’ultimo allarme di Draghi
Francesco Piccioni

«L’economia peggiorerà» e «dov’è il fondo salvastati?». Lo scontro tra Francia e Germania indebolisce la governance europea. E la Bce
Esordio crudele per Mario Draghi. Il suo primo intervento fuori dalle mura della Banca Centrale Europea (Bce) è diventato un allarme sulla situazione dell’economia del continente. E, indirettamente, uno squarcio sui ritardi pericolosi che la governance sta accumulando. Parlando davanti allo European Banking Congress ha spiegato che l’economia si va indebolendo nella maggior parte delle economie avanzate. È una dinamica che si sta manifestando da qualche settimana e che ha spinto la Bce a ridurre i tassi di interesse, portandoli all’1,25%. È consapevole, ovviamente, che una misura del genere è del tutto insufficiente, mentre le banche sono in sofferenza per la rapida svalutazione dei titoli pubblici posseduti. Ma molto di più, con gli attuali statuti, non può fare.
«Siamo coscienti anche della esiguità dei finanziamenti sul mercato e della scarsità di asset di buona qualità da poter usare come collaterale», ossia di un riduzione generale dell’attività. Anche perché – specie per i bond pubblici – «c’è una concentrazione di rischi sul breve termine». La Bce fin qui ha cercato di compensare le difficoltà delle banche – accentuate dalla necessità di aumentare il capitale posto a garanzia, come disposto dalle regole di Basilea 3 – con «diverse misure non standard». Come «le aste della Bce ad ammontare illimitato», con cui di fatto presta denaro a tassi inferiori all’inflazione, quelle «a scadenza più lunga», «operazioni in dollari» e «un secondo programma di acquisto di covered bonds».
Ma non basterà. Ha dunque aperto un capitolo difficile con toni particolarmente duri, quello del «fondo salvastati», l’Efsf, di cui non si vede fin qui traccia. «Siamo a oltre un anno e mezzo dal vertice che lo ha lanciato come parte di un pacchetto di sostegno finanziario da 750 a 1.000 miliardi di euro; a quattro settimane dal vertice che ha deciso di rendere disponibile l’intero volume di garanzie dell’Efsf; a quattro settimane dal vertice che ha deciso di usare la leva finanziaria per quadruplicare o quintuplicare le risorse». Un riassunto della storia recente di «scelte di vertice» che lo ha portato a porre la più ruvida delle domande: «dov’è la messa in pratica di queste decisioni prese da tempo? Non dobbiamo aspettare oltre».
Qui si esce dalla cronaca e comincia l’interpretazione, col supporto di altre informazioni. Di fatto, con quelle parole Draghi ha preso atto che la famosa «governance europea» è più un concetto che non una pratica operativa (cosa che potrebbe aprire foschi scenari anche per l’operato di Papademos in Grecia e di Monti in Italia). E il surplace dipende in parti più o meno uguali da contrasti tra i diversi stati, sia dagli schieramenti interni alla stessa Bce (che, almeno in parte, quei contrasti «riflettono», anche se Draghi giura sull’«autonomia» dell’istituto che dirige).
È di ieri una notizia riportata dalla Frankfurter Allgemeine: nella Bce sarebbe stato raggiunto un «accordo segreto» per limitare a soli 20 miliardi la spesa per acquistare sul mercato secondario titoli di stato dei paesi in difficoltà (i Piigs, ma ora anche la Francia). I maligni ritengono che così verrebbe «commissariato» lo stesso Draghi, considerato dai «virtuosi» (Germania, Olanda, Austria, Finlandia) un po’ troppo propenso a elargire «aiuti». Anche se viene ammesso che questo limite non sarebbe operativamente rilevante: una sola volta la Bce lo ha superato (di appena un miliardo), mentre nella settimana che ha portato alle dimissioni di Berlusconi (e lo spread sui Btp a 575 punti) ne aveva usati solo 4,5. Artiglieria pesante, non c’è dubbio.
Ma anche sul piano politico, sull’Efsf, i problemi sono rilevanti. La Germania ha aperto a un rafforzamento del ruolo del fondo (brutalmente: a metterci più soldi), ma non sono disposti a a farlo diventare un finanziatore diretto delle banche. Secondo lo staff della Merkel, toccherebbe ai singoli paesi «aiutare» le proprie banche (alla faccia del «libero gioco del mercato»). Solo se non fosse possibile, allora interverrebbe – limitatamente – l’Efsf. Per Sarkozy, col terrore di perdere la «tripla A» a pochi mesi dalle elezioni presidenziali, vorrebbe che il fondo diventasse il «prestatore di ultima istanza».
Quel ruolo che – negli Usa come in Giappone o a Londra – svolge la banca centrale. Vietato, però, dagli «stupidi» trattati che hanno dato forma a questa Ue che non funziona.
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Anche i tedeschi si scoprono divisi sul ruolo della Banca europea
Guido Ambrosino BERLINO
La nuova dimensione assunta dalla crisi dei debiti europei, che questa settimana ha fatto impennare i tassi di interesse di Francia, Belgio, Austria, Olanda oltre a quelle dei soliti Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna, da tempo sulla graticola), fa vacillare le non più granitiche certezze della dottrina tedesca della “stabilità” monetaria, col corollario del divieto per la Banca centrale europea di fungere da prestatrice di ultima istanza a garanzia dell’Euro. Come la vecchia Bundesbank tedesca non poteva stampare marchi per comprare buoni del tesoro tedeschi, così la Bce – a differenza delle banche d’emissione degli Usa o della Gran Bretagna – non dovrebbe batter moneta per accollarsi i debiti degli stati dell’Eurozona. La Germania fece di questa clausola una condizione irrinunciabile per poter rinunciare al marco. E così sta scritto nei trattati europei.
Tuttavia ora i politici della coalizione di governo di centrodestra stanno rimanendo sempre più soli nel difendere questa vecchia dottrina. I gruppi d’opposizione, per primi i socialisti, poi i verdi e i socialdemocratici, hanno rotto il tabù dell’assoluto divieto della “socializzazione del debito”chiedendo – sebbene con diverse modalità e molte cautele – l’emissione di eurobonds. Buona parte degli economisti si spinge a chiedere una garanzia della Bce sull’euro sul modello anglosassone. E i giornali non sono più un coro unisono a difesa delle vecchie certezze, ma discutono pro e contra in modo controverso.
Per i tutori dell’ortodossia – e tra questi c’è ancora la Bundesbank – già l’acquisto di titoli di stato greci, italiani e spagnoli praticato dalla Bce sul mercato secondario (ovvero non al momento dell’emissione, ma riacquistando in seguito i titoli dalle banche) è uno scandalo. Nel direttorio della Bce il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, è in minoranza, ma vigila – col fucile puntato su Mario Draghi – perché questo intervento di sostegno resti limitato nel tempo e nei volumi. La Bce ha già accumulato nei suoi bilanci la notevole somma di 187 miliardi in obbligazione degli stati europei più periclitanti.
La Frankfurter Allgemeine Zeitung ha rivelato ieri che ogni due settimane la Bce stabilisce a priori il limite massimo dei suoi interventi. Ultimamente il tetto sarebbe di 20 miliardi di euro a settimana.
Per questo, quando la settimana scorsa il rendimento dei titoli italiani è balzato sopra il 7 per cento, la Bce è potuta intervenire solo con 4,5 miliardi di euro. Sulla stampa berlusconiana in Italia, la limitatezza di questo intervento viene interpretato come una perfidia del presidente della Bce Mario Draghi per far cadere Berlusconi. In realtà Mario Draghi ha anche lui le mani legate dai limiti che gli sono stati imposti, nella trattativa all’interno della Bce con la Bundesbank. Secondo la Faz, la Bce aveva sin qui tutelato come un segreto la limitazione dei sui interventi, nella consapevolezza che altrimenti i mercati non avrebbero più preso sul serio il suo tentativo di calmierare i rendimenti dei titoli di stato. Il quotidiano di Francoforte, che spesso funge da megafono per le battaglie della Bundesbank nella Bce, e preferirebbe che la Banca centrale europea smettesse di comprare al più presto i Bpt di Tremonti-Monti, è ben fiero di aver svelato quanto sia ridotta la potenza di fuoco contro la speculazione al ribasso.
Che fare: tirar fuori il “big bazooka” come chiede Francois Baroin? Il ministro francese delle finanze, parlando mercoledì scorso col giornale Les Echos, aveva detto che la Bce deve diventare “prestatore d’ultima istanza”. Un appello disperato nello stesso senso è venuto da Zapatero, primo mi spagnolo uscente, alla vigilia di elezioni che saranno catastrofiche per il suo partito socialista spagnolo.
La novità è che queste grida di dolore cominciano a trovare qualche ascolto in Germania. Thomas Mayer, analista della Deutsche Bank, la maggior banca privata, ritiene che la Bce dovrebbe fissare dei corridoi massimi per i saggi di interesse richiesti sulle obbligazioni europei, per poi difenderli con interventi illimitati.
Wolfgang Franz, presidente dei “cinque saggi”, la consulta per l’economia che dovrebbe indicare la via al governo, ha addirittura lanciato la scorsa settimana la proposta di eurofonds per garantire i debiti degli stati europei fino al 60% del Pil. Qualcosa comincia a Muoversi anche nell’immobile regno di Angela Merkel.

da “il manifesto”

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