La pressione sui debiti sovrani è fortissima, nonostante si segnalino acquisti da parte della Bce sui titoli italiani e spagnoli. I rendimenti hanno toccato un nuovo record dall’introduzione dell’euro. Per i BoT sono volati al al 6,504% contro il 3,535% dell’asta precedente. Record anche per i CTz a due anni (al 7,814%). Unica consolazione la domanda rimasta relativamente buona: 11,7 miliardi.
Spaventa soprattutto che i rendimenti salgano di più sui titoli a breve scadenza. Il rendimento del Btp a due anni schizza al 7,80%, segnando un nuovo record storico. Questi rendono ormai più dei decennali (al 7,23%). Il fenomeno viene chiamato “inversione della curva dei rendimenti” e segnala rischi fortissimi di crack a breve.
Tutto ciò pesa negativamente sulle quotazioni di Piazza Affari, dove gli indici che arrivano a perdere oltre due punti percentuali. Anche la moneta unica soffre e scende sotto la soglia di 1,33 dollari attestandosi a 1,3263 dollari.
I pericoli sono stati ammessi stamattina anche dal Commissario all’economia della Ue, Olli Rehn: «È fondamentale convincere gli investitori che stiamo prendendo le decisioni necessarie per affrontare la crisi. È urgente riuscire a produrre risultati su vari elementi di questa strategia». Secondo lui «potrebbero aver giocato anche aspettative non realistiche sui tempi necessari per attuare le decisioni del vertice di ottobre. Dal punto di vista concreto, oggettivo, le preoccupazioni sono esagerate, ma si sono radicate sui mercati e stanno portando i costi raccolta a livelli dolorosi». Certp è che però «l’Italia ha di fronte sfide formidabili», deve dare «segnali forti a mercati e cittadini» sul perseguimento di obiettivi «raggiungibili». Ma deve fare presto, perché il contagio della crisi si sta diffondendo dai Paesi della periferia a quelli centrali dell’Unione. «La costante ripresa economica sia pure modesta che avevamo vissuto da metà 2009 è ora in fase di stallo purtroppo. Le cause sono le turbolenze nei mercati e un rallentamento globale, quindi la produzione nell’area dell’euro crescerà solo dello 0,5% l’anno prossimo e non previsti miglioramenti del mercato del lavoro. Questo stallo renderà ancora più complesso il risanamento delle finanze pubbliche».
ne ostinatamente a galla il suo alleato. Ma la minaccia a doppio taglio e l’ accusa sfacciata sono ormai tecniche classiche di questa crisi che Merkel, Monti e Sarkozy ieri hanno cercato di affrontare. Vi si sono esercitati persino gli americani, che al G20 hanno preso di mira i tedeschi: il loro modo di imporre la disciplina a ciascuno senza offrire reti di sicurezza generali, hanno detto, distrugge la credibilità dell’ euro e fa divampare il contagio. Se questi erano i precedenti per il trio di Strasburgo, 70% dell’ economia e 70% del debito di Eurolandia, ieri i leader hanno eccelso per buone maniere: più per quello che si sono detti a porte chiuse, che per i duelli che hanno messo in scena in pubblico. Nella conferenza stampa ciascuno ha sì tenuto le sue posizioni, specialmente Angela Merkel, la quale ha tenuto a precisare: «Siamo lontani dall’ avere le stesse idee». Ma al tavolo con Monti e Sarkozy, al riparo dalla sorveglianza del suo partito, del suo Parlamento – e della Bundesbank – la cancelliera si è invece dimostrata (in parte) meno dura. Ha accettato un accordo perché tutti smettano di dare «istruzioni in negativo alla Bce»: in teoria, i politici tedeschi da ora in poi dovranno rinunciare ad attaccare la Banca centrale europea perché interviene a parziale sostegno dell’ Italia e Spagna. Ma soprattutto, Merkel ha condiviso per la prima volta l’ analisi che le hanno presentato l’ Italia e la Francia insieme. Secondo Sarkozy e Monti, la crisi non è solo un problema dei singoli Paesi che non fanno quelli che Merkel ha chiamato, un filo sprezzante, die Hausaufgabe («i compiti a casa»). Il terremoto che sta scuotendo l’ Europa – ha insistito Monti ieri con Merkel – è anche un fenomeno sistemico che mette a nudo difetti di costruzione dell’ euro da correggere al più presto: l’ assenza di una politica di bilancio e di gestione del debito davvero comune, regole fiscali serie ma non tali da aggravare una recessione in corso, un ruolo maturo per la banca centrale. Merkel a tutto questo non si è ribellata, sapendo perfettamente che il punto d’ arrivo di un’ analisi del genere possono essere gli eurobond e probabilmente un maggiore attivismo della Bce. Un gruppo di lavoro alla cancelleria sarebbe già a lavoro per avanzare una controproposta sull’ emissione di debito comune in Europa, a un certo punto in futuro. Non è difficile capire perché la cancelliera ora suoni intransigente in pubblico ma molto meno a porte chiuse. A Berlino si deve difendere dall’ irritazione nel suo partito verso l’ Italia o la Francia; ma anche Merkel vede la realtà: se il suo obiettivo era difendere la forza del Bund, la cancelliera ha fallito poiché ieri il debito tedesco doveva pagare un premio più alto rispetto ai titoli danesi e persino a quelli della indebitatissima Gran Bretagna; se invece voleva difendere la sua economia, l’ aggravarsi della crisi tutto intorno sta vanificando il suo sforzo. Merkel sugli eurobond esce dal vertice di Strasburgo nella posizione in cui era un anno e mezzo fa sulla Grecia. Allora disse che per Atene non ci sarebbe stato un euro; dopo un po’ cedette, quando era quasi troppo tardi. Ma per ora i tempi li detta comunque lei, dunque Monti e Sarkozy hanno dovuto accettare che al vertice europeo del 9 dicembre ci siano (salvo sorprese) solo due decisioni: all’ eurogruppo saranno dati poteri di veto sulle leggi di bilancio dei Paesi in procedura di deficit eccessivo e un governo che violerà le norme sarà deferito alla Corte di giustizia europea. L’ «unione fiscale» che chiede Merkel avrà così le sue gabbie e i suoi catenacci e solo dopo – spera Monti – la cancelliera potrà muovere anche sugli eurobond. A patto, ovviamente, che anche stavolta i mercati non siano stati più veloci di lei. Federico FubiniFubini Federico
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