Problema complicato, perché la “terzietà” o imparzialità che dir si voglia, è di fatto impossibile quando si parla di soldi. Tanti.
E quindi, ora che le agenzie di rating “sparano” sull’Europa intera, invece che su singoli stati “Piigs”, ecco che la reazione istituzionale diventa “nazionalista-continentale”. Mentre fino al giorno prima avevano usato proprio quelle agenzie come “prova imparziale” della necessità di sottoporre un certo paese a una cura di tagli, privatizzazioni (qualcuno che compra a prezzi stracciati di trova sempre) e liberalizzazioni (dalla deregulation può uscir fuori qualche fetta di profitto extra, in genere).
Clamoroso il caso del fondo salva-stati, declassato perché nutrito da quegli stessi stati che in teoria dovebbe cercare di sostenere. In realtà, il sostegno va sempre alle banche private, ma il “conflitto di interesse” diventa fin troppo evidente.
Ancor più clamorosa è la sortita di Mario Draghi, che senza mezzi termini invita a non considerare più di tanto quei giudizi. E subito dopo ammette: “la situazione è gravissima”. C’è insomma parecchia confusione, a livello dei dirigenti di questo processo di costruzione forzosa di un “quadro europeo più stabile e regolato”. Il che pone serissimi dubbi sulla loro capacità di controllo.
Proponiamo qui nell’ordine:
– una scheda Ansa sui pacchetti di controllo delle varie agenzie di rating, che dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio come non possa affatto essere “terze”, visto che devono rispondere a dei “privati” che possono conoscere in anticipo certe decisioni e quindi regolare i propri investimenti sui mercati globali in vantaggio rispetto ad altri).
– un pezzo da “il manifesto” a metà tra la cronaca e l’analisi sul punto;
– il pezzo del giornali di Confindustria, che gronda preoccupazione vera;
– un’intervista a Vegas, ex sottosegretario berlusconiano all’economia, che ora chiede un’inchiesta sulle agenzie;
*****
Società di investimento, banche d’affari, gestori, grandi capitalisti come Warren Buffet, hedge fund speculativi ma anche fondi pensione conservativi.
Questo il panorama dei proprietari delle due maggiori agenzie di rating: Standard and Poor’s e Moody’s mentre la terza, Fitch fa capo invece a un imprenditore francese. Entrambe sono quotate in Borsa (S&P attraverso la controllante Mc Graw Hill), con un azionariato ‘polverizzatò e quindi teoricamente contendibili e indipendenti. I loro consigli di amministrazione sono composti da personalità del mondo accademico, dell’impresa e finanziario a garanzia di autonomia. Tuttavia l’accusa di conflitto di interesse a loro mossa fa leva, più che una connivenza con un singolo azionista, sugli interessi del ‘sistemà finanziario anglosassone nel suo complesso. –
STANDARD AND POOR’S: È controllata dal gigante dell’informazione americano McGraw-Hill, quotato in Borsa e fondato nel 1884. Il presidente Harold III McGraw, della famiglia dei fondatori è anche azionista con una quota dell’1,17%. Fra i principali azionisti, secondo la Bloomberg, vi sono il gestore di fondi Capital World (10,2%) e altre società finanziarie quali Vanguard (4,6%), State Street (4,2%) e BlackRock (2,46%) oltre a Morgan Stanley Investment (2,17%) e Pioneer (1,28%). Da segnalare anche il fondo pensione degli insegnanti dell’Ontario con il 2,33%. –
MOODY’S: Il primo azionista della società è la Berkshire Hathaway che fa capo a Warren Buffet, il terzo uomo più ricco del mondo, ascoltato guru della finanza detto ‘l’oracolo di Omahà. Anche qui compaiono numerosi gestori finanziari e fondi: di nuovo Capital Investor (12,6%) e Vanguard (5,02%) ma anche Blackrock (2,18%) State Street (3,24%) e molti altri. –
FITCH: Basata a New York, l’agenzia fa capo però al gruppo francese Fimalac insieme al colosso dell’editoria americana Hearst. Presidente e direttore generale è l’imprenditore francese Marc Ladreit de Lacharriere, già a capo di numerosi colossi d’Oltralpe come Air France e France Telecom.
Fonte: Ansa
*****
L’aspetto apparentemente paradossale è però chiaro: il \«curatore» dei problemi dei debiti sovrani europei è a sua volta un mezzo malato. E l’unico paese ad alimentarlo che mantiene ancora alto il voto è la Germania. Ma questo significa trasferire sulle spalle tedesche quel ruolo di \«finanziatore ultimo» delle magagne europee che la Merkel rifiuta come la peste. Bel problema.
La reazione dei massimi dirigenti delle istituzioni europee è però un tantino preoccupante. Come se quel giudizio, dopo esser servito per mesi ad imporre una torsione drammatica alle politiche di bilancio (quindi sociali) di tutti i paesi europei, fosse improvvisamente, secondario. «Tutte le agenzie di rating hanno subito un grave danno di immagine e reputazione durante la crisi», ha detto ieri il presidente della Bce Mario Draghi. Nel settore del rating »non c’è concorrenza« e qualsiasi cosa per cambiare questa situazione sarà «benvenuta». Di più: «bisognerebbe «imparare a vivere senza le agenzie di rating» o almeno «imparare a fare meno affidamento» sui loro giudizi.
Lo pensavamo anche noi, mentre Draghi e molti altri li usavano invece contro il «modello sociale europeo». Ora, però, ci sembra che questa «scrolata di spalle» davanti alle stesse agenzie sia motivata da una ragione profonda: S&P e Moody’s hanno messo sotto accusa proprio la «cura» che Draghi & co. stanno somministrando al Continente: «solo rigore, niente crescita, non andate da nessuna parte». Fin qui le agenzie erano il «termometro» ritenuto preciso e indispensabile. Ma se non dà le risposte desiderate, si rompe il termometro. Un tocco di stregoneria sul cielo di Francoforte.
Draghi: «Incertezza su crescita e debiti, situazione gravissima»
«Siamo in una situazione gravissima». Il presidente della Bce Mario Draghi, nelle vesti di presidente dell’autorità europea per i rischi sistemici, non nasconde i suoi timori sulla crisi dell’Eurozona in audizione davanti alla commissione economico-finanziaria dell’Europarlamento. «Quando il mio predecessore Jean-Claude Trichet si è rivolto a questa commissione a ottobre – ha ricordato Draghi nel suo intervento a Strasburgo – ha detto che questa crisi aveva raggiunto dimensioni sistemica. Da allora è peggiorata, la situazione è molto grave e non dobbiamo assolutamente nasconderlo».
L’austerity si farà sentire sull’economia
Il presidente della Bce sottolinea come «negli ultimi mesi del 2011 la situazione di incertezza dei debiti sovrani (recentemente certificata dall’ondata di declassamenti da parte di S&P), insieme con le prospettive di crescita stagnante, hanno portato a distorsioni gravi dell’economia reale». Le misure di austerità varate dai governi europei comporteranno una contrazione «nel breve termine».
Attenzione alla crescita
Tuttavia non ci sono alternative al consolidamento di bilancio secondo il presidente della Banca centrale europea. Per contrastarli, Draghi auspica che i governi mettano a punto «riforme strutturali per aumentare la competitività, rafforzare la crescita e creare posti di lavoro». Insomma non solo rigore. «Non ci può essere stabilità senza crescita e non ci può essere crescita senza la sostenibilitá dei conti pubblici» ribadisce a più riprese. Nel suo intervento peraltro riconosce «gli sviluppi incoraggianti» emersi dalle politiche dei governi dell’eurozona per il consolidamento dei conti pubblici.
Più concorrenza nel mercato del rating
«Non manca un accenno alle agenzie di rating. «Dobbiamo imparare a vivere non senza di loro, ma con loro – dice il presidente della Bce – dando un potere molto più limitato di quello che hanno attualmente». Il numero uno dell’Eurotower invoca inoltre maggiore concorrenza in un mercato, quello del rating, dominato da tre società (Moody’s, S&P e Fitch ndr.). Proprio mentre S&P annuncia il declassamento del fondo salva stati Efsf. Draghi spiega inoltre che per il fondo salvastati potrebbe essere necessario «un contributo aggiuntivo da parte dei paesi a tripla A». Il presidente non sapeva che il rating dell’Efsf era effettivamente appena stato ridotto da Standard & Poor’s. «Se non manterrà la tripla A – osserva rispondendo alla domanda di un deputato Ue – o presterà di meno, o lo farà a un tasso più elevato. Oppure manterrà lo stesso livello di rating e la stessa capacità di prestito, ma per questo serviranno contributi aggiuntivi da parte di paesi a tripla A».
Rischi per le banche dal rifinanziamento in dollari
Quanto alla situazione del settore bancario, Draghi lancia l’allarme sulle tensioni sul finanziamento in dollari che «può minare la solvibilità nell’ Ue». I finanziamenti in dollari sono un fattore di rischio e potrebbero spingere «il rischio di azzardo morale» per le banche europee raccomandando ai supervisori nazionali «di monitorare da vicino il finanziamento ed i rischi di liquidità in dollari delle banche e, quando appropriato, limitare tali rischi prima che raggiungano un livello eccessivo».
Le banche si rafforzino con aumenti di capitale
Parlando delle raccomandazioni dell’Eba, l’autorità bancaria europea che ha imposto un rafforzamento patrimoniale al settore del credito, Draghi auspica che vengano «attuate principalmente attraverso un aumento dei livelli di capitale». Bisogna insomma evitare il rischio di «un processo disordinato ed eccessivo di deleveraging». Cioè che le banche, per rafforzare il proprio patrimonio, riducano i finanziamenti alle imprese. Un fenomeno che tuttavia sarebbe già in atto in alcune parti del sistema, come ricorda lo stesso Draghi.
Più liquidità al sistema con le maxi-aste Bce
Il presidente della Bce difende poi la maxi iniezione di liquidità alle banche messa in atto con le recenti aste di rifinanziamento a 36 mesi. «Siamo soddisfatti, le banche che ridepositano alla Bce la liquidità (proprio oggi i depositi hanno segnato un nuovo record ndr.) non sono sempre le stesse che l’hanno ottenuta con le nostre operazioni, in effetti c’é più liquidità in circolazione». Draghi aggiunge inoltre che è prematuro tirare delle conclusioni sull’effetto dell’operazione a sostegno della liquidità perché «deve passare del tempo perché le iniezioni di liquidità si trasferisca sul livello di credito» delle banche all’economia. (An. Fr.)
da Il Sole 24 Ore
*****
Intervista al presidente Consob Vegas: «Abbiamo chiesto all’Esma di indagare sul declassamento»
Rossella Bocciarelli
Nonostante la sberla di Standard & Poors’ la Borsa ieri ha chiuso in rialzo e lo spread sui bund si è ridotto. A che cosa dobbiamo questi segnali positivi?
Non è detto che i risultati positivi si mantengano ma è possibile che dipendano dal fatto che le agenzie di rating abbiano perso un po’ di quella credibilità che avevano un tempo. Va detto però che ci sono già stati gli effetti di venerdì scorso quando dapprima c’è stato un preannuncio di comunicazioni alle 21 intorno alle tre del pomeriggio. Da allora fino alla chiusura della borsa gli indici hanno virato e c’è stata una perdita di circa due punti che, facendo un calcolo a spanne su un ammontare di circa 300 miliardi di capitalizzazione di borsa ammonta a sei miliardi. Sono sei miliardi di danno già compiuto
Secondo lei le modalità di comunicazione del declassamento a raffica sono state corrette o non si è tenuto conto di qualche regola?
Intanto, bisogna ricordare che le nuove procedure per le agenzie di rating sono partite sia dalle decisioni del commissario europeo Michel Barnier sia da quello che abbiamo fatto noi nello scorso mese di luglio, quando ci fu un primo giudizio di Standard & Poors sul debito italiano che portò allora a una perdita di 5 punti mentre lo spread era pari a 180 punti. A quell’epoca abbiamo cominciato a muoverci, li abbiamo convocati e sono partite le nuove procedure Esma: la regolamentazione prevede infatti che che sia l’Esma ad avere la competenza esclusiva sulle agenzie di rating però con la collaborazione delle autorità di vigilanza nazionali. Noi, dunque, faremo le nostre indagini. L’Esma ha già realizzato la parte attuativa relativa alla realizzazione della registrazione delle agenzie di rating e devo dire che la nostra impostazione di partenza e stata seguita.
Quale punto di vista Consob ha ‘esportato’ all’autorità di vigilanza europea?
Innanzitutto la necessità di valutare i possibili conflitti d’interesse perchè molte di queste agenzie sono possedute da signori che poi hanno dei fondi: per esempio il Capital world investor ha una presenza massiccia in tutte e tre le agenzie, Warren Buffett ha presenza significativa soprattutto in Moody’s, Vanguard ha una presenza significativa nelle agenzie, Blackrock ce l’ha in S&P. La seconda questione che abbiamo posto riguarda le metodologie; la terza atteneva alla differenza tra outlook e rating vero e proprio .
C’è un problema legato all’outlook?
In passato per produrre l’outlook le agenzie seguivano una procedura meno rigorosa adesso noi abbiamo chiesto che si osservino procedure più rigorose visto che gli effetti delle loro valutazioni si producono fin dal primo outlook.
Da quando sono in vigore queste nuove procedure Esma?
Dal primo novembre scorso. Tornando all’impatto dell’outlook se guardiamo agli ultimi mesi noi sappiamo che c’è stato un abbassamento del livello della borsa e un innalzamento degli spread. Ma l’effetto più diretto che abbiamo notato è la connessione tra outlook e dinamica dei cds, soprattutto su sull’Italia. Subito dopo la pubblicazione dell’outlook sono scattati in alto i cds. E i cds sono prodotti da cinque oligopolisti americani…
Lei quindi sostiene che c’è una correlazione stretta tra i due fenomeni?
C’è una correlazione temporalmente stretta fra outlook che parla di peggioramento e incremento del valore dei cds. Non voglio dire che ci sia stata una manipolazione del mercato ma è interessante studiare il fenomeno. Questi, come si sa, sono un particolare tipo di assicurazione contro rischi che possono essere sovrani o rischi di emittenti.
E l’incremento di venerdi scorso dei cds è stato alto?
Non abbiamo ancora i dati. Tuttavia abbiamo mandato una lettera all’Esma, chiedendo che verifichi se questa agenzia di rating nei nuovi outlook si è comportata secondo i nuovi criteri in vigore dal primo novembre e anche se l’operazione è stata realizzata correttamente, tenendo conto che a nostro avviso pare che i rumors usciti prima della pubblicazione del rapporto non sarebbero dovuti uscire.
Dunque il comportamento scorretto sarebbe nei rumors?
Noi abbiamo segnalato questo ma abbiamo anche chiesto di sapere se nella produzione dell’outlook sono state seguite le cautele particolari richieste dall’Esma. Infine, c’è la questione dei conflitti d’interesse. Le faccio un esempio che stiamo ancora verificando e al quale ora do solo un valore segnaletico: tra la fine del mese di dicembre e l’inizio del mese di gennaio essendo aperto l’aumento di capitale di Unicredit, Blackrock che è un fondo, prima annuncia di essere sceso sotto la soglia del 2 per cento poi il sei gennaio afferma di essersi sbagliato e che non è vero. Nel frattempo, ci sono stati dei movimenti di capitale non indifferenti. Ecco, Blackrock è uno dei fondi proprietari di Standard & Poors .
I movimenti di Blackrock su Unicredit sono ricollegabili ai movimenti di rating?
E’ una domanda che ci poniamo: ovviamente per ora non ho nessuna risposta da dare ma è un fatto che suscita qualche preoccupazione.
Che sanzioni potrebbe comminare l’Esma se i vostri dubbi fossero accolti?
L’Esma può comminare sanzioni che possono arrivare fino alla sospensione dell’agenzia. Ma c’è anche un altro tipo di intervento importante che si sta intraprendendo nei singoli stati.
Quale?
Un’azione per escludere dalle regolamentazioni vigenti nei vari stati la citazione delle agenzie di rating. Noi ad esempio come Consob stiamo escludendo il rating come riferimento necessario prima delle scelte di investimento. A livello privato, ovviamente, la scelta di ricorrere al rating resta libera; deve essere esclusa, però, dalle normative di carattere obbligatorio. Altrimenti si finisce con il conferire un valore pubblicistico alle agenzie di rating. Oltretutto, in questo modo si deresponsabilizza l’intermediario che invece di compiere le proprie valutazioni si affida alle pagelle altrui.
Ma occorrerebbe intervenire anche su normative di livello europeo come ad esempio Basilea due?
Certo. Ci sono tanti livelli ai quali intervenire e il principale certamente é il livello normativo europeo. Si tratta di ridurre la dipendenza dai giudizi delle agenzie.
Non si potrebbe, intanto, aprire il mercato ammettendo anche altre agenzie?
Ce n’è già qualcuna, piccola in Italia poi c’è quella cinese che però è pubblica. Ma, mi chiedo, che senso ha un’agenzia pubblica? Corre il rischio di essere funzionale a disegni politici.
Ma lei come vede ad esempio l’istituzione di un’ agenzia di rating europea?
Potrebbe avere un senso se fosse privata. Un’agenzia pubblica, ripeto, a mio parere non avrebbe molto senso perchè verrebbe interpretata co come la longa manus della Bce o della Commissione o del Consiglio europeo. Non sarebbe lo strumento utile per spezzare il monopolio d’oltre oceano.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa