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La recessione c’è e ci resta

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La recessione c’è e ci resta

Francesco Piccioni
Esemplare e drammatica fotografia della situazione produttiva italiana. Confindustria ha tecnici di valore nel suo Centro Studi (Csc) e l’analisi mensile – la «congiuntura flah» – diffusa ieri conferma il giudizio. Peccato che, scorrendo i dati, emerga con chiarezza quanto le politiche pretese dal board degli imprenditori nazionali siano assolutamente dannose, anche per imprese stesse.
Partiamo dai numeri, che hanno una grande chiarezza. L’attività industriale in questo paese è calata – nel mese di dicembre – dello 0,7% e addirittura del 2,9 nell’ultimo trimestre. Questo comporta una caduta del Pil nazionale che viene prevista dello 0,7%. La recessione è dunque iniziata. Sul piano «tecnico», infatti, si parla di recessione quando la contrazione economica prosegue per almeno due trimestri consecutivi. Ma lo stesso Csc prevede che l’andamento resterà negativo «almeno fino alla metà del 2012». Insomma, ci siamo dentro.
Le ragioni di questo pessimismo sull’immediato futuro arrivano dagli ordinativi, che hanno segnato un’altra riduzione in dicembre; che portano con sé anche le «attese di produzione» delle singole imprese, che devono peraltro constatre l’aumento delle scorte di magazzino (se non si vende, resta lì).
Eppure il commercio globale non va malissimo. Fiacco, è vero, ma ancora in lievissima crescita. Ma sono le esportazioni italiane a mostrare qualche cedimento, anche se per ora non gravissimo (-0,3%). le principali speranza, in questo settore, vengono alimentate dal marcato deprezzamento dell’euro negli ultimi mesi: le «nostre» merci escono dall’area euro «svalutate» rispetto a dollaro, yen, yuan; e quindi sono «più competitive». C’è il rovescio della medaglia: forse solo questo deprezzamento ha impedito una flessione più marcata.
Lo sguardo verso il mercato interno non lascia in effetti molte illusioni. L’occupazione diminuisce in modo sensibile; le imprese che prevedono di ridurre il personale è più alto ora che non nella prima fase della crisi (tra il 2008 e il 2009). Soprattutto, pensano di doverlo fare a stretto giro, nei prossimi mesi. Naturalmente, questo «deprime i consumi», perché se il reddito familiare cala, gli acquisti debbono diminuire. L’effetto feddbasck è assciurato: se la popolazione compra meno, le aziende producono ancora meno, e quindi non investono più. Anzi – e i tecnici di Confindustria questi dati li hanno di prima mano – quest’anno dovrebbero esserci «forti ristrutturazioni nel manifatturiero», a partire dai settori che noon hanno recuperato alcunché rispetto ai livelli pre-crisi (mezzi di trasporto, tessil,e apparecchiature elettriche, legno, ecc).
C’è un modo per sostenere i consumi, aumentare gli investimenti, cercare di rilanciare la crescita? Certo, in ambiente totalmente liberista, si chiama «credito». Ma le banche ne fanno sempre meno. La massa dei prestiti, nell’ultimo anno, è rimasta uguale. Ma i criteri sono diventati molto più selettivi, come sa chiunque abbia chiesto un mutuo. Nonostante il tasso di riferimento della Bce sia sceso dall’1,5 all’1%, i tassi alla clientela sono cresciuti insieme al movimento verso l’alto dell’Euribor e, soprattutto, alla salita dello spread applicato dalle singole banche, fino a dare un tasso medio del 3,9%; che per le piccole imprese diventa il 4,6.
Anche le banche, del resto, hanno i loro problemi. Il costo della raccolta – vista la quantitòà di titoli di stato detenuta – è molto più alto. Non si fidano reciprocamente (i depositi presso la Bce sono arrivati al record di 528 miliardi), nonostante proprio la Bce le abbia beneficiate con iniezioni colossali di liquidità a buone mercato. Per finire, i prezzi delle materie prime – petrolio in prima fila – restano alti. Qui il margine di aumento della produzione è praticamente zero. Signiifica che i prezzi resteranno alti, anche per il consumatore finale.
Qualche ingenuo potrebbe chiedere: ma los Stato che può fare? Fa la politica esattamente opposta: le «ingenti manovra di riduzione del deficit» – peraltro molto apprezzate da Confindustria e dall’Europa – peseranno «per il 4,4% nel 2012 e di un altro 1,6% nel 2013». In piena recessione, si fanno manovre depressive. Che geni, nella classe dirigente…

 

da “il manifesto”

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