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Il costo della crisi: chi paga, chi guadagna

Gli squilibri vengono accentuati, la coesione sociale salta, le condizioni di vita diventano meno tollerabili.

 

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Chi non paga la crisi
Galapagos

È una piramide con una base sempre più larga e un vertice più sottile quella che emerge dai dati di Bankitalia sulla distribuzione dei redditi e della ricchezza. Solo un paio di dati: nel 2010 il 14,4% della popolazione era ufficialmente in una situazione di povertà a causa di un reddito insufficiente. Il tutto mentre il 10% delle famiglie più ricche possiede il 46% della ricchezza totale stimata in circa 9 mila miliardi di euro. Semplificando, circa 6 milioni di italiani possiedono – in media – una ricchezza di quasi 4200 miliardi, circa 700 mila euro a testa, contro 54 milioni di persone che – sempre in media – hanno un patrimonio di circa 90 mila euro. Come dire: il 10-20 per cento delle persone più povere non ha nulla di ricchezza e il 70-80 per cento ha un patrimonio che corrisponde al valore di una abitazioni modesta. Che ovviamente non tutti hanno, visto che il 21% delle famiglie vive in affitto.
C’è un altro aspetto che colpisce: negli ultimi 20 anni il reddito dell’Italia è cresciuto poco, ma il reddito reale dei lavoratori autonomi è aumentato del 15,7%, quasi 5 volte di più del 3,3% dei lavoratori dipendenti. Siamo di fronte a una gigantesca redistribuzione dei redditi a sfavore del lavoratori dipendenti. La specificità della crisi italiana è in questi dati che confermano come la progressiva pauperizzazione del lavoro dipendente a fronte di uno stato sociale sempre meno generoso è alla base della caduta della domanda. Cioè dei consumi, anche quelli alimentari, come confermano i dati Istat sulla vendite al dettaglio.
Ma c’è ancora un altro dato – non di Bankitalia – che completa il quadro: ieri mattina Attilio Befera, il massimo dirigente dell’agenzia delle entrate, ha denunciato che in Italia l’evasione fiscale tocca i 120 miliardi l’anno. E non sono certo i lavoratori dipendenti (anche se a volte lo fanno) e i pensionati a evadere. Insomma, chi più guadagna più evade. E questo spiega perché molti ristoranti sono pieni e ci siano in circolazione centinaia di migliaia di auto di lusso.
Da questi numeri è possibile trarre alcune conclusioni che dovrebbero fare da guida alla politica economica della sinistra. La prima è che la lotta all’evasione deve essere l’obiettivo prioritario: se non aumenta il gettito fiscale non sarà possibile diminuire il cuneo fiscale che penalizza i lavoratori dipendenti e far pagare meno tasse a loro e ai pensionati. E senza recuperare i soldi degli evasori non sarà possibile aumentare la spesa sociale e i consumi privati di milioni di persone. Di più: la distribuzione della ricchezza indica con chiarezza che è necessario procedere a una riforma fiscale che alleggerisca la pressione sui redditi e aumenti quella sul patrimonio.
Quanto ai salari, non aumentano solo con la diminuzione della pressione fiscale, ma anche con l’aumento della produttività. Attenzione, però: la produttività non deve aumentare «strizzando» ancora di più i lavoratori con innovazioni di processo, magari con l’aggiunta del ricatto della flessibilità in uscita, ma deve essere ottenuta attraverso innovazioni di prodotto. Perché – ce lo spiegano i dati annuali di Mediobanca – nelle imprese che innovano che i profitti, ma anche i salari, sono più alti. Ma la sinistra è convinta che il programma di Monti si muova in questa direzione?
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Cresce solo la povertà
Roberto Tesi

Una indagine Bankitalia rivela che i redditi non crescono e la popolazione povera è salita al 14,4% (40% tra gli immigrati). Peggiora la distribuzione della ricchezza: al 10% quasi il 50% del totale 1991-2010: i redditi dei «dipendenti» sono cresciuti del 3,3%, 5 volte meno degli autonomi
Nel 2010 è aumentato il numero dei poveri come conseguenza diretta della discesa dei redditi delle famiglie. A dirlo è Bankitalia che ieri ha pubblicato la tradizionale analisi (biennale) sui bilanci delle famiglie italiane. Oltre al peggioramento nella distribuzione dei redditi, i dati di via Nazionale evidenziano anche una maggiore concentrazione della ricchezza: il 10% delle famiglie più ricche possiede il 45,9% della ricchezza netta totale. Nel 2010 il reddito familiare medio annuo, al netto delle imposte sul reddito e dei contributi sociali, era pari a 32.714 euro, 2.726 euro al mese.
Il reddito «equivalente» una misura che tiene conto della dimensione e della composizione del nucleo familiare, si è attestato a 18.914 euro a persona, un valore inferiore, in termini reali, dello 0,6% a quello del 2008. Di più: in termini reali il reddito medio nel 2010 risulta inferiore del 2,4% rispetto a quello del 1991, mentre il reddito equivalente in termini reali, nello stesso periodo, è aumentato del 3,3%. La contrazione del reddito (e la sua pessima distribuzione) ha prodotto un aumento della quota di persone povere, cioè di chi ha un reddito equivalente o inferiore alla metà della mediana. I poveri in Italia sono il 14,4% della popolazione totale, un punto percentuale in più rispetto al 2008. Tra chi «ruba» il lavoro agli italiani, ovvero i lavoratori immigrati (il 7,7% della popolazione) la quota dei poveri supera il 40%. Il reddito medio da lavoro dipendente nel 2010 è stato pari a 16.559 euro, con una flessione dello 0,3% sul 2008. Il reddito da lavoro indipendente è stato, invece, di 20.202 euro con una diminuzione del 2,3% rispetto a due anni prima. Bankitalia sottolinea, tuttavia, che ««fra il 2008 e il 2010 lavoratori indipendenti hanno registrato un incremento in termini reali del 3,1%, recuperando parte del calo osservato tra il 2006 e il 2008 (-7%)». Nel complesso del periodo 1991-2010 i lavoratori indipendenti hanno visto crescere i propri redditi reali del 15,7%, quasi 5 volte di più dei lavoratori dipendenti.
Il reddito familiare medio risulta, come al solito, più elevato per le famiglie con capofamiglia laureato, lavoratore indipendente o dirigente, di età compresa tra i 45 e i 64 anni, mentre risulta inferiore per le famiglie residenti al Sud e nelle Isole. Inoltre, il reddito delle famiglie in cui il capofamiglia ha la cittadinanza straniera risulta in media inferiore di circa il 45% a quello delle famiglie italiane.
L’indagine di Bankitalia rileva anche come il 29,8% delle famiglie nel 2010 reputava le proprie entrate insufficienti a coprire le spese; il 10,5% le reputava più che sufficienti, «mentre il restante 59,7% segnalava una situazione intermedia». Ovvero riteneva sufficienti a vivere la entrate. Gli economisti della banca centrale commentano questi dati scrivendo che «rispetto alle precedenti rilevazioni emerge una tendenza all’aumento dei giudizi di difficoltà».
Accanto alla penalizzazione (per i lavoratori dipendenti) l’indagine mette in risalto la crescente sperequazione nella distribuzione della ricchezza e la sua concentrazione nella mani di pochi. La ricchezza netta delle famiglie italiane, data dalla somma delle attività reali (immobili, aziende e oggetti di valore) e delle attività finanziarie (depositi, titoli, ecc.) al netto delle passività finanziarie (mutui e altri debiti), ha un valore mediano nel 2010 di 163.875 euro. Il 10% delle famiglie più ricche possiede il 45,9% della ricchezza netta familiare totale contro il 44,3% del 2008.
La percentuale delle famiglie indebitate è pari al 27,7%. L’indebitamento (poco meno di 44 mila euro in media) come in passato, risulta più diffuso tra le famiglie a reddito medio alto (che hanno più facilità nell’accesso al credito) con capofamiglia di età inferiore ai 55 anni, lavoratore indipendente o con elevato titolo di studio. Le passività sono costituite in larga parte da mutui per l’acquisto e la ristrutturazione di immobili.
Nel 2010 il risparmio delle famiglie è stato di circa 50 miliardi di euro; i capital gains sono stati invece negativi (circa 180 miliardi di euro), principalmente a causa del forte calo dei corsi azionari avvenuto nel corso dell’anno. La ricchezza netta delle famiglie italiane, cioè la somma di attività reali (abitazioni, terreni, ecc.) e di attività finanziarie (depositi, titoli, azioni, ecc.), al netto delle passività finanziarie (mutui, prestiti personali), è risultata pari a circa 8.640 miliardi di euro. Il 68,4% delle famiglie italiane nel 2010 era proprietaria della casa in cui viveva, mentre il 21,1% era in affitto.

da “il manifesto”
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