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Il rialzo dei tassi aiuta la speculazione delle banche

Una breve ma significativa nota di Banca d’Italia uscita una settimana fa è piuttosto esemplificativa di come funzioni il sistema bancario del paese e, in generale, di come questo modello di sviluppo si regga sulla speculazione fatta sulle tasche dei più.

Nella pagina diramata da Palazzo Koch si invitano gli istituti bancari a evitare modifiche unilaterali dei contratti con la giustificazione dell’aumento dell’inflazione, e a rivedere le manovre stabilite in passato sulla base dell’andamento decrescente dei tassi di interesse, ora che invece stanno risalendo.

La banca centrale italiana non è diventata tutto d’un tratto paladina dei risparmiatori vessati, ma è piuttosto esplicita anzi nel dire che questo invito a non incrementare il costo dei conti correnti a carico dei clienti deriva dal fatto che l’aumento dei tassi deciso dalla BCE è “potenzialmente in grado di compensare l’aumento dei costi indotto dall’inflazione”.

Quel potenzialmente è un eufemismo: negli ultimi tre mesi del 2022 le prime otto banche del paese hanno visto i ricavi aumentare con percentuali in doppia cifra – fino al 40% – e gli utili sono volati di conseguenza. Ma la questione è un po’ più complessa e, in un qualche modo, più subdola.

Perché la nota di Banca d’Italia continua dicendo che la precedente politica sul costo del denaro aveva già spinto molte banche ad azzerare la remunerazione dei depositi in conto corrente e ad alzare gli oneri per i clienti. Eppure, insieme ai tassi di interesse, la BCE ha incrementato anche il rendimento dei depositi presso di lei delle altre banche, in maniera quasi simmetrica.

Si tratta dei soldi che tutti i giorni la maggior parte di noi, lavoratori, pensionati, studenti, controlla di avere sul conto corrente. Ma la remunerazione sui depositi della clientela non è aumentata nemmeno dello 0,2%. Per fare un paragone, gli interessi che si pagano per un mutuo a tasso variabile sono quasi raddoppiati.

I conti delle banche si gonfiano artificiosamente, e tramite un meccanismo che fa leva esclusivamente su una dinamica monetaria, decisa a tavolino a Francoforte, noi vediamo parte della nostra ricchezza trasferirsi nei portafogli di chi controlla e gestisce questi grandi istituti. Un altro processo regressivo di questo modello sempre più iniquo e decadente.

A difesa di quest’ultimo, la nota di Banca d’Italia conclude così: “resta fermo che, in un’economia di mercato, la fissazione delle condizioni economiche dei beni e servizi offerti rappresenta un elemento centrale delle libere scelte imprenditoriali.

In ogni caso, in presenza di modifiche unilaterali, la clientela ha sempre il diritto di recedere dal contratto senza spese entro la data di entrata in vigore delle nuove condizioni, valutando anche offerte più convenienti di altre banche”.

Che la clientela, in una posizione di evidente asimmetria di potere e di informazione, possa recedere così facilmente, così come che in un sistema fortemente concentrato in poche banche possa trovare condizioni migliori, fa sorgere qualche dubbio.

E il problema sono proprio le “libere scelte imprenditoriali” che, in ultima istanza, sono in contraddizione con le finalità sociali e l’interesse generale della maggioranza della popolazione.

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