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Banche intoccabili, Ecofin diviso

Questa cronaca, che riportiano dal quotidiano di Confindustria, spiega molto bene come gli interessi strategici veri in questa costruzione europea non siano affatto quelli “dei popoli”, ma esclusivamentre quelli di poteri molto forti ma molto malmessi.

Una centralità che ha partorito aborti anticostituzionali come il governo Monti, o quello Papademos in Grecia. Governi messi a fare un lavoro preciso, con priorità certe e uno squolibrio assoluto: ammazzare chi lavora, arricchire chi è già ricco. Sul piano della teoria macroeconomica, per così dire, ci è arrivato anche Massimo D’Alema a capire che non si va avanti a lungo con uno squilibrio che vedono anche i ciechI: «quello di un rigore che ha le sue regole e sanzioni e di una crescita, invece, lasciata solo agli auspici».

 

 

L’Ecofin si spacca su Basilea 3

Beda Romano

BRUXELLES – I ministri finanziari dell’Unione erano ieri sera alla ricerca di un difficilissimo compromesso su una direttiva che servirà a trasporre le nuove regole prudenziali di Basilea 3. Dopo 10 ore di negoziato, l’Ecofin era ancora al lavoro per smussare le posizioni di alcuni Stati membri, convinti che le nuove norme bancarie debbano comunque garantire una certa flessibilità a livello nazionale.

Da settimane ormai l’Unione è alla ricerca di un equilibrio tra il desiderio di avere regole comuni tra i 27 Paesi membri e la sensazione che le autorità nazionali debbano poter introdurre norme specifiche, fosse solo per bloccare sul nascere locali bolle speculative. Nella ricerca del compromesso l’obiettivo della Commissione è di evitare che un margine di manovra nazionale metta a rischio il mercato unico.

La presidenza danese ha illustrato all’inizio delle trattative una bozza di accordo che prevedeva che le autorità nazionali potessero introdurre requisiti patrimoniali a livello locale del 3%, oltre alla quota già stabilita a livello internazionale. Il cuscinetto avrebbe potuto essere adottato in piena libertà se inferiore al 3%; avrebbe richiesto invece il benestare delle autorità comunitarie quando superiore a questo livello.

Il compromesso è stato bocciato da quei Paesi, tra cui la Gran Bretagna, la Svezia e la Polonia, alla ricerca di maggiore discrezionalità. Una seconda offerta di accordo, presentata dalla presidenza danese, considerava un cuscinetto più elevato, del 5 per cento. Anche questo compromesso è stato respinto, non solo da Londra e Varsavia, ma anche dalla Commissione preoccupata da una segmentazione del mercato unico.

Il dibattito tra i ministri finanziari, trasmesso in diretta nella sede del Consiglio a Bruxelles, ha mostrato quanto gli animi fossero accesi ieri sera dopo oltre dieci ore di negoziato. Il commissario al Mercato interno, Michel Barnier, ha accusato il cancelliere dello Scacchiere George Osborne di volere a tutti i costi strappare piena libertà, «nei fatti un’opzione di opting out» dalle regole comuni europee in campo bancario.
Osborne si è difeso, ricordando che anche la Banca centrale europea si è detta d’accordo in marzo di concedere maggiore flessibilità alle autorità nazionali e sottolineando di non potere tornare a Londra con un accordo che non fosse convincente. Il ministro delle Finanze ceco Miroslav Kalousek ha ribattuto, tra le risate dei colleghi, che «dare l’impressione di essere idioti è uno dei requisiti principali dell’essere ministri».

La partita diplomatica è particolarmente difficile perché a differenza che in passato lo scontro non è sull’opportunità di regolamentare il settore bancario, ma sul modo in cui regolamentarlo. In questo frangente, la posizione dei singoli Paesi è influenzata tra le altre cose dalle caratteristiche del settore bancario nazionale: in Svezia è pari a quattro voltre il Prodotto interno lordo, mentre in Polonia è gran parte in mani straniere.

L’aspetto tecnico, ovvero la possibilità di introdurre un ulteriore requisito patrimoniale per gli istituti di credito, ha quindi un’importante valenza politica, in un contesto in cui la liquidità non è illimitata. Tra le righe, la partita mostra come la crisi abbia riacutizzato le posizioni nazionali e il desiderio degli Stati di difendere la stabilità finanziaria delle proprie economie, mettendo in secondo piano la difesa del mercato unico.

da “Il Sole 24 Ore”

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