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Strade d’oro per i “prenditori”

Nel dettaglio, l’aumento tariffario di competenza di Autostrade per l’Italia sarà pari al 3,47%. Per le concessionarie controllate – Raccordo Autostradale Valle d’Aosta e Tangenziale di Napoli – gli adeguamenti delle tariffe sono rispettivamente del 14,44% e del 3,59%.
Ma gli aumenti dei pedaggi autostradali già decisi non bastano e le società concessionarie protestano contro la decisione dei ministeri competenti di dare il via libera solo ad una parte dei rincari tariffari che avevano richiesto. La “confindustria” delle società concessionarie – l’Aiscat – denuncia “la scarsa attenzione sia nei confronti del mercato sia degli investitori, dimostrata anche dal fatto che l’Esecutivo ha atteso l’ultimo giorno utile».E allora le concessionarie autostradali per le quali gli aumenti sono stati bloccati, e alcune delle quali quotate, «valuteranno eventuali azioni legali a loro tutela”..

il sistema delle concessioni autostradali è una cuccagna per i “prenditori” che ne fanno parte visto che genera profitti enormi e pressoché certi. La costruzione delle autostrade italiane comincia nella seconda metà degli anni ’50 già in concessione (ma ad aziende o istituzioni pubbliche): “Le concessioni erano basate sulla logica della tariffa-remunerazione: i pedaggi dovevano servire a coprire i costi operativi e l’ammortamento dei debiti con i quali veniva finanziato l’investimento”, spiega Giorgio Ragazzi nel suo libro “I signori delle autostrade” (edizioni Il Mulino).

Il grosso dei lavori finisce a metà degli anni ’70 e in una ventina d’anni, il calcolo è sempre di Ragazzi, “molte concessionarie erano già state in grado di rimborsare i debiti finanziari e di ottenere una buona remunerazione sul capitale proprio versato (di regola modestissimo). Molte convenzioni avrebbero quindi potuto scadere per avvenuto integrale recupero del capitale investito”. E invece vengono prolungate. “Quasi due terzi della rete apparteneva allo Stato tramite l’Iri, e l’Iri aveva bisogno di tutto le risorse che potevano venirgli dalla Società Autostrade (definita già al tempo una vera e propria “gallina dalle uova d’oro”).

Il resto della rete, con la sola eccezione della Torino-Milano (fatta e gestita praticamente dalla Fiat), era di proprietà di Province e comuni e quindi anch’essa pubblica”. Nel 1999-2000, poi, la privatizzazione (a palazzo Chigi c’era D’Alema). Il governo “concesse ai concessionari” (scusate il gioco di parole) tariffe adeguate a ripagare un investimento che è già stato ripagato nei decenni precedenti chiedendo però di fare investimenti in nuove infrastrutture arrivate praticamente col contagocce.

Risultato: guadagni inauditi per le società concessionarie. Tra queste, Benetton, ad esempio, in soli sei anni avevano quadruplicato l’investimento iniziale, Gavio l’aveva visto moltiplicarsi per venti. Per Benetton le autostrade sono diventate ben più remunerative della moda e dell’abbigliamento che pure lo ha reso un marchio famoso a livello internazionale. “Edizione Srl, la finanziaria della famiglia Benetton, presenta un fatturato consolidato che ha raggiunto nel 2010 gli 11,6 miliardi di euro, con una popolazione totale del gruppo di oltre 85.000 persone. Edizione è attiva nel settore retail principalmente con le partecipazioni in Benetton Group e Autogrill, mentre, attraverso la controllata Sintonia SA, opera nel settore delle infrastrutture e dei servizi per la mobilità, con partecipazioni in Atlantia-Autostrade per l’Italia, Investimenti Infrastrutture (Gemina-Aeroporti di Roma) e SAGAT” è scritto testualmente nel sito del gruppo Benetton.

Oltre al prolungamento delle concessioni – l’ultimo regalo è di Berlusconi: da 30 a 50 anni – ci sono le tariffe, elaborate con un sistema definibile “price cup all’italiana” ossia l’individuazione di un prezzo massimo inferiore a quello praticato in monopolio non regolato. In pratica si tiene conto dell’inflazione, di obiettivi di efficienza, del traffico previsto e, incredibilmente, della qualità del servizio con criteri completamente sbilanciati a favore dei concessionari e con capacità di rivalsa dello Stato praticamente nulle anche in caso di inadempienze.

L’art.8 duodecies del decreto legge 59/2008 ha inoltre disposto l’approvazione di tutti gli schemi di convenzione già sottoscritti dalle società concessionarie autostradali con la società ANAS S.p.A. e ha introdotto un nuovo meccanismo di adeguamento tariffario che lega la variazione dei pedaggi – da una parte – al tasso di inflazione effettiva dell’anno precedente (fissandolo al 70% di quest’ultima) e – dall’altra – alla remunerazione degli investimenti. Il nuovo sistema tariffario può essere esteso, su richiesta, a tutte le società concessionarie ai sensi del successivo art.3 del decreto legge 185/2008 che ha introdotto un pacchetto di norme finalizzate al blocco e alla riduzione delle tariffe.

In Italia, per dire, col price cup si stabilisce di quanto debbano aumentare le tariffe, ma non si discute sulla base di partenza, cioè le tariffe già in vigore al momento della privatizzazione e che dovevano servire a ripagare la costruzione dell’autostrada: “Basta dare un’occhiata ai bilanci delle concessionarie italiane – scrive nel suo libro Giorgio Ragazzi – per vedere che il valore residuo dell’autostrada è ormai generalmente una quota modesta dell’attivo, e in molti casi si è quasi azzerato”.
Si conferma così la filiera che dai beni pubblici porta i soldi direttamente nelle casse dei “prenditori” che rischiano sempre meno e incassano sempre di più. La rinazionalizzazione delle autostrade sarebbe una misura utile per invertire il flusso di denaro e riportarlo nelle casse pubbliche e magari per ridurre le vessazioni verso chi è costretto a usare le strade e ridurre il consumo di territorio attraverso le nuove cementificazioni a fini autostradali.


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