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Il Fiscal Compact ora spaventa anche Confindustria

La circostanza è notevole. Soprattutto quando persino gli imprenditori di accorgono che – con trattati così concepiti – anche loro si ritrovano “sudditi” di poteri peraltro parecchio oscuri e sen’altro privi di legittimità democratica.
Naturalmente Confindustria spinge per una “riforma” della costruzione europea, non per la sua rottura. Ma il punto di crisi viene individuato con chiarezza: o si va a una sospensione delle “regole automatiche” (che stanno facendo scattare una trappola suicida, a partire dai paesi meno forti, ma presto ricadente anche sulla Germania), per favorire quella che qui Savona indica come una “fase costituente” della nuova Europa, oppure “come extrema ratio, non resterebbe altro che decidere insieme un’uscita ordinata e governata dagli accordi presi, perché non possono essere ottemperati o perché non lo si vuole“.
Com’è noto (https://www.contropiano.org/primo-piano/item/15299-dentro-leuropa-che-lotta-fuori-dallunione-euroea-delle-gerarchie) noi pensiamo invece che ormai il giocattolo dell’Unione europea sia incorregibile all’interno delle regole date e soprattutto degli interessi consolidati (tedeschi, ma non solo). E che quindi la via maestra – anche per evitare un rinculo nazionalista che ha già, basta guardare la Grecia, connotati foschi – sia quella della costituzione di aree monetarie diverse, basate su compatibilità economiche sufficientemente evidenti (tra i paesi Piigs, ma non solo loro, in una moneta che non sarà più l’euro).
Chi si incaponisce – per palesi limiti di autonomia intelettuale e/o politica – nel “rispetto degli impegni internazionali assunti”, anche di fronte alla prova provata che non possono essere rispettati, in realtà sta lavorando per un conclusione drammatica e reazionaria dell’avventura “unitaria”.
Due ultime notazioni.
E’ curioso che sia l’associazione “sindacale” degli imprenditori a levare forte la sua voce contro l’applicazione acefala dei “trattati europei”, mentre quelle che un tempo pretendevano di rappresentare i lavoratori (Cgil, Cisl, Uil) su questo punto tacciono o seguono le giravolte impazzite dei partiti politici di riferimento. E quindi, al massimo, chiedono “misure per la crescita” senza mettere in discussione il quadro regolativo che impedisce proprio quelle misure.
In secondo luogo, è invece criminale che tutto il dibattito “politico” italiano, dal centrodestra al grillismo, passando sui corpi prostrati di Pd e Sel, non faccia mai menzione minima (se non quella rituale “vogliamo stare dentro l’Europa”…) dei disastri che stanno preparando quei trattati votati all’unanimità e senza alcuna discussione parlamentare: pareggio di bilancio in Costituzione, Fiscal Compact, Six Pack e Two Pack. Quelli, insomma, che impediranno di fare alcunché a qualsiasi governo.

Se non cambia in profondità diventa una trappola

di Paolo Savona

Si susseguono le dichiarazioni sullo stato delle istituzioni europee comunitarie, alcune molto simili a un pentimento. Dire oggi che forse l’adesione all’euro è stata troppo frettolosa serve a ben poco, soprattutto se a gestire o solo suggerire che fare per uscire dalla “precipitazione” siano gli stessi autori o sostenitori della scelta non meditata.

Essi troveranno sempre motivi per difendere ciò che è stato fatto e quello che si va facendo “per evitare il peggio”, ma non prendono atto che la china in cui l’Europa, e quindi l’Italia, va scivolando con queste scelte non si inverte. Bene ha fatto Pellegrino Capaldo a ricordare da queste stesse colonne quali fossero le “regole di ingaggio” dell’Italia all’Unione europea, invocandone il rispetto. Chi lo ha fatto a tempo debito è stato emarginato e ha lasciato all’antipolitica il compito non di chiedere il rispetto dei patti, ma l’uscita disordinata dagli stessi.
Ancora più grave è il silenzio con cui è stata circondata l’analisi di Giuseppe Guarino sull’illegalità di alcuni provvedimenti comunitari presi dai capi di Stato della Ue, ultimo tra essi quello che va sotto il nome oscuro, ma dagli effetti tragici, di fiscal compact. Dire che siamo guidati da uomini ammantati di potere democratico a livello nazionale e sovranazionale non cancella la perdita della natura di Comunità di popoli retta dal diritto e l’essere ridiventati sudditi di poteri non facilmente individuabili. Le élite gioiscono per questa evoluzione e al popolo stordito non resta che una reazione di scomposta protesta che non lo toglie da questo status inaccettabile.
Il professor Capaldo – che avrebbe ben figurato tra i dieci “saggi” recentemente nominati dal presidente della Repubblica, almeno per la sua conoscenza del problema dei problemi, quello del debito pubblico – ha giustamente sostenuto che «quel che stiamo facendo è sbagliato, drammaticamente sbagliato» e «che ci stiamo costruendo da soli una trappola mortale».

C iò accade certamente perché l’Italia ha offerto il fianco con i suoi errori di governo, ma la trappola è quella dei meccanismi istituzionali denunciati dal professor Guarino. Non vi è una realtà da considerare indipendentemente dal diritto nascente dai trattati europei. Se la tesi di Guarino non viene contestata – e lui aspetta ansioso chi vorrà farlo – non c’è realpolitik che tenga.
Per evitare la trappola mortale occorre riformare l’architettura europea affinché possa produrre ciò che aveva promesso e stabilito per trattato. Non è solo l’articolo 126 di cui parla Capaldo, ma anche il più chiaro ed esaustivo articolo 2 (nonché 3bis e 3ter) del Trattato di Lisbona, i cui contenuti devono essere rispettati, riportando nell’ambito della legittimità le scelte fatte e quelle che si faranno. Altrimenti rimarremo in quella che Giovanni Papini, padre di tutti gli stili critici, definirebbe «baccanali di lirismo idealista».
Nella mia “Lettera agli amici tedeschi” – amici nei quali ancora confido e non solo per mera convenzione – ribadisco che abbiamo bisogno del mercato comune, che richiede l’euro per essere tale, ma che va completato con un assetto giuridico di Stato federale, perché altrimenti non sopravvive. E, semmai sopravvivesse così com’è, come sta accadendo, sarebbe una trappola mortale per tutti noi, come giustamente sostiene Capaldo.
Se vogliamo veramente muovere verso una definizione dei compiti sussidiari dell’Unione, il passo urgente da compiere – urgente da domani – è la nascita della scuola europea e la scelta della lingua ufficiale. Sarebbe la cartina da tornasole della volontà di procedere verso un’Europa unita.

Abbiamo bisogno di una costituente che decida subito il da farsi, ma soprattutto che individui se è possibile fare ciò che deve essere fatto. Altrimenti, come extrema ratio, non resterebbe altro che decidere insieme un’uscita ordinata e governata dagli accordi presi, perché non possono essere ottemperati o perché non lo si vuole. Da parte nostra, come di altri. Allontaniamo dalla politica gli illusi e coloro che sanno solo proporre di distruggere e non correggere ciò che è stato fatto.

da IlSole24Ore

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“Il Fiscal compact è nullo, il governo lo certifichi”. Parla Guarino

Esistono ragioni politiche, economiche e culturali per rifiutare la dottrina dell’austerity che si è imposta in Europa, ma prim’ancora c’è una motivazione giuridica che dovrebbe obbligare il governo italiano – questo in carica e soprattutto quello che gli succederà – a liberarsi dagli attuali vincoli che gravano sulla politica di bilancio. A meno di non voler continuare ad “attentare alla Costituzione dell’Unione europea”. La tesi è di Giuseppe Guarino, giurista classe 1922, uno dei primi professori ordinari di Diritto pubblico alla Sapienza di Roma, che all’Università di Sassari ebbe come assistente Francesco Cossiga, poi a Roma esaminò Giorgio Napolitano, attuale presidente della Repubblica, e Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea. Guarino è stato inoltre amministratore e sindaco di società e istituzioni pubbliche, deputato con la Democrazia cristiana nella decima legislatura (1987-1992), quindi ministro delle Finanze nel quinto governo Fanfani (1987) e infine dell’Industria nel governo Amato tra 1992 e 1993. “Oggi però il mio atteggiamento è quello del medico”, esordisce in questa conversazione con il Foglio. E lo ripete spesso: “Sono come un medico, e mi limito a esporre la diagnosi, non voglio consigliare ricette. Il problema è che in troppi, anche tra i miei amici e colleghi, nemmeno mi contraddicono. L’atteggiamento è quello dei pazienti che non vogliono sentirsi dire la verità dal loro dottore”.

Il malato, in questo caso, è l’Europa intera. Guarino non lancia allarmi generici sulla disoccupazione o sul disagio sociale, piuttosto da mesi esamina il paziente e raccoglie tutti i risultati degli esami in alcuni faldoni, sempre a portata di mano: “Guardi qui – dice indicando una tabella che ha appena fatto stampare – Nel quarantennio che va dal 1950 al 1991, la media del tasso di crescita del pil è stata del 3,86 per cento in Francia, del 4,05 in Germania, del 4,36 in Italia. Le percentuali, dopo i primi sei anni del trattato dell’Unione europea, sono invece impietose: la Francia scese all’1,7 per cento, la Germania all’1,4 e l’Italia passò all’ultimo posto. I dati che vanno dal 1999 al 2011 sono addirittura drammatici: la media per i tredici anni dell’euro è diminuita per la Francia all’1,61 per cento, per la Germania all’1,32, per l’Italia allo 0,68. Un crollo verticale”.

La causa della patologia, secondo Guarino, va ricercata nella disciplina giuridica dell’Eurozona e dell’Ue. In particolare, “non esiste precedente storico di stati che, per perseguire obiettivi di crescita, si siano rigidamente vincolati al rispetto della parità di bilancio”. Vincoli – è questo l’aspetto più originale del ragionamento di Guarino – imposti illegalmente. Incluso il Fiscal compact firmato lo scorso marzo e negoziato nel dicembre 2011, cioè nel momento di massima tensione sui mercati per le sorti dell’Europa. “Prendiamo l’articolo 3 del Fiscal compact – dice il giurista sollevando un sottile fascicolo già pronto sul tavolo della sua dimora romana – E’ qui che si introduce l’obbligo per gli stati di mantenere ‘la posizione di bilancio della pubblica amministrazione (…) in pareggio o in avanzo’”. Norma draconiana, non c’è che dire. “Inapplicabile, piuttosto. All’articolo 2 del Fiscal compact, infatti, si ripete per due volte che questo accordo internazionale dev’essere interpretato e applicato soltanto finché compatibile ‘con i trattati su cui si fonda l’Unione europea e con il diritto dell’Unione europea’”. Tuttavia i trattati costitutivi dell’Unione non restringono a tal punto la possibilità di indebitarsi dei paesi membri. Il Trattato di Lisbona, documento fondamentale dell’Ue che è entrato in vigore nel 2009 “fondendo” il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea, “fissa al 3 per cento il limite che l’indebitamento non può superare – ricorda Guarino – Il Fiscal compact, invece, riduce il limite a zero punti. Insomma il Fiscal compact sopprime la sovranità fiscale degli stati firmatari, in violazione del Trattato di Lisbona al quale pure si richiama. E’ probabile che il Fiscal compact sia stato una scorciatoia, visto che l’unanimità tra i 27 paesi membri necessaria a modificare il Trattato di Lisbona non sarebbe mai stata raggiunta. Fatto sta che questo trattato rimane illegale. Non ha la forza costituzionale per modificare il Trattato di Lisbona”. Non soltanto il riferimento ai trattati, anche quello al “diritto dell’Unione europea” contenuto nel Fiscal compact pare fuori bersaglio, visto che l’azzeramento del deficit non è previsto dal regolamento 1175 del 2011, vigente tuttora in materia di politica di bilancio. Gli stati europei, dunque, da qualche mese si stanno infliggendo più rigore fiscale – a colpi di azzeramento dei deficit e rientro dei debiti pubblici – di quanto il diritto comunitario ne preveda.
D’altronde non è la prima volta che “l’euro è gestito applicando principi privi di base giuridica certa”. Fino al 6 dicembre 2011, giorno d’entrata in vigore dell’attuale Regolamento numero 1175, infatti, Guarino ricorda che era già stato applicato un altro regolamento “viziato da incompetenza assoluta”, il numero 1466 del 1997. Nel 1997, mentre si concludeva la fase transitoria che avrebbe dovuto rendere più omogenee tra loro le economie dell’Eurozona in vista dell’introduzione della moneta unica, “la Commissione si arbitrò di sostituire l’articolo 104 C del trattato dell’Unione europea con due regolamenti, uno dei quali è appunto il 1466/97”. In sintesi: il parametro dell’indebitamento al 3 per cento – uno dei famosi “parametri di Maastricht” – veniva sostituito “con il parametro dello zero per cento, cioè il pareggio di bilancio, togliendo invece rilevanza al parametro del rapporto debito/pil al 60 per cento”. Guarino ammette: “Studiando la materia, sono rimasto sorpreso anch’io. Mi sono accorto di questo regolamento soltanto ora. I ministri della Repubblica italiana continuavano a parlare di ‘parametri di Maastricht’, in realtà operavano ottemperando a vincoli ancora più stringenti”.

Il professore rilegge ancora una volta, con un sorriso incredulo, l’articolo 2 del regolamento 1466/97 che stabilisce l’obbligo di raggiungere a medio termine un saldo del bilancio della Pubblica amministrazione “prossimo al pareggio o in attivo”. Fu un “attentato alla Costituzione europea”, spiega, ad opera di membri della stessa Commissione Ue. (E in quella Commissione – ma questo Guarino non lo dice – erano presenti due italiani, Mario Monti alla Concorrenza, ed Emma Bonino responsabile per la Politica dei consumatori, della pesca e degli aiuti umanitari). La motivazione di quella mossa? E’ probabile che quel regolamento dovesse servire come pungolo per gli stati meno rigorosi: “La sua adozione fu proposta in anticipo rispetto alla fine del periodo di ‘convergenza’ per accedere all’euro. Quindi gli stati che temevano di non superare lo scrutinio, se non avessero accettato questo ulteriore restringimento dei bulloni sulla loro politica fiscale, avrebbero dato segno di debolezza. Si trattò perciò di consensi formalmente volontari ma sostanzialmente coatti”. Lo schema, insomma, è simile a quello che si ripete oggi con il Fiscal compact. Nel 1997 fu un regolamento ad avere la pretesa di correggere le norme di un trattato che pure era legalmente sovraordinato, con la Commissione che si arrogò di inserire l’obiettivo del bilancio in pareggio o in attivo. Nel 2012 è stato firmato il Fiscal compact che, sul rigore di bilancio, ha tradito le norme vigenti del Trattato di Lisbona e quelle appena stabilite nel Regolamento 1175/2011.

Forse oggi anche la Germania, all’apice della crisi dell’euro, ha ottenuto consensi “formalmente volontari ma sostanzialmente coatti” attorno a una politica di bilancio che avvantaggia Berlino? D’altronde è stato lo stesso presidente del Consiglio, Mario Monti, a dire che il Fiscal compact è stato fortemente voluto da Angela Merkel. Guarino insiste: “Sono soltanto un medico, la mia diagnosi dal punto di vista legale è questa e nessuno finora me l’ha contestata”. Dice di non credere troppo a chi vede una macchinazione di Berlino dietro ogni mossa dell’Unione europea: “La realtà è che i risultati di questo impianto giuridico schizofrenico penalizzano tutti gli europei. Basti dire che Berlino nel 1953 aveva una quota del 5,3 per cento del commercio mondiale, che divenne dell’11,7 per cento nel 1973, del 10,2 per cento nel 2003, dell’8,5 per cento nel 2010. Negli anni 90, nel momento in cui tutto il mondo accelerava per avvantaggiarsi della rivoluzione informatica, la Germania ha scelto di autovincolarsi, di immobilizzarsi per fare da modello a tutti gli altri, ed ecco i risultati. Così sta forse acquistando la preminenza in Europa perdendo quella nel mondo, un errore in cui è già incappata altre volte nella storia. Il punto è che oggi è tutta l’Europa a rischiare l’irrilevanza”. Non a caso la settimana scorsa il Financial Times Deutschland ha dedicato quasi una pagina intera – in uno dei suoi ultimi numeri prima della chiusura – alle tesi del giurista italiano, definito nel titolo come “Der Euro-Chaostheoretiker”, cioè il teorico dell’euro-caos.

Ammettiamo ora che questa ricostruzione giuridica sia corretta. Che cosa cambia? “Il Fiscal compact non si applica, se vogliamo rispettare i trattati europei. Né va portata avanti la sua trasposizione nella Costituzione italiana, con la riforma dell’articolo 81 sul pareggio di bilancio”. Quanto alla possibile reazione dei mercati, all’imperversare dello spread, Guarino parla di “grande imbroglio” e dice che il differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi si può far salire e scendere “muovendo una decina di miliardi di euro”. E’ sulla base di queste premesse che l’ex ministro scruta i sommovimenti politici in atto e suggerisce la prima mossa da compiere per un esecutivo davvero responsabile, sia questo ancora in carica o il prossimo che verrà: “Esigere l’applicazione dei trattati vigenti, cioè del Trattato di Lisbona firmato nel 2007 e in vigore dal 2009. Quel trattato garantisce la possibilità di un indebitamento annuo pari al tre per cento del pil”. In calce al più stringente Fiscal compact, per quanto non applicabile, resta pur sempre la firma di un rappresentante del nostro paese: “Il governo – conclude Guarino nelle vesti di medico nient’affatto pietoso – dovrà esigere che sia la Commissione dell’Unione europea ad attestare pubblicamente che il limite valido all’indebitamento annuo è quello del 3 per cento, e non altro”.

Da – FOGLIO QUOTIDIANO
11 dicembre 2012
di Marco Valerio Lo Prete

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