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Spezzatino alla Telecom

Il consiglio di amministrazione di Telecom del 30 maggio 2013, dopo anni di discussioni in cui il CDA era imbrigliato da interferenze politiche ed economiche, ha approvato il progetto definitivo di societarizzazione della rete di accesso.

Siamo all’epilogo di una lunga storia iniziata con i capitani coraggiosi nel 1999, con a capo Roberto Colaninno, i quali grazie ad un’Opa da 100 mila miliardi di vecchie lire su una Telecom Italiaprivatizzata da poco per un piatto di lenticchie – appena 27 mila miliardi – dal Tesoro, in ossequio (uno dei tanti atti d’ossequio sbagliati) al malaugurato accordo tra il governo italiano e la commissione europea(il patto Andreatta-Van Miert), che impose al nostro Paese di privatizzare presto e male tante sue ottime aziende.

Ebbene, puntando tanti soldi su Telecom, gli scalatori contavano, come poi accadde nel giro di due anni, di riprenderseli tutti con gli interessi, spolpando il patrimonio dell’azienda. Quando nel 2001 quella cordata vendette la Telecom al gruppo Pirelli, l’azienda era gravata da ben 43 miliardi di euro di debiti.

La nuova gestione pilotata da Marco Tronchetti Provera, subentrato agli scalatori nel luglio del 2001, inizio a spolpare l’azienda e non solo, basti ricordare durante tale gestione i vari scandali delle intercettazioni abusive legato a varie vicende del 2005-2006, tra cui il caso Abur Omar e lo spionaggio di Alessandra Mussolini prima delle elezioni regionali nel Lazio nel 2005, oltre, secondo la procura di Milano, gli intercettati erano giudici, giornalisti, politici e uomini di altri servizi (l’indagine peraltro è correlata al suicidio, avvenuto nel 2006, di Adamo Bove, manager di Telecom Italia avente incarichi nel campo della sicurezza).

Nel 2007, il governo Prodi – che vedeva di cattivo occhio la gestione Tronchetti, considerato troppo vicina al rivale Berlusconi – ideò per la prima volta un piano che prevedeva che Telecom Italia scorporasse la rete fissa e la cedesse allo Stato. Tronchetti si oppose, resistette, ma di lì a poco venne travolto dallo scandalo di un’inchiesta sui dossier illeciti, finita poi con il suo completo scagionamento, che però ebbe l’effetto di indurlo a passare la mano.

Il declino di Telecom prosegui anche se quattro anni più tardi queidebiti erano stati dimezzati, la successiva fusione tra Telecom e Tim, pur molto gradita dal mercato, ne ricostituì una buona parte.

Oggi la montagna di debiti che ancora grava sull’azienda, 28 miliardi, non può essere più spianata dalla redditività industriale generata dall’azienda stessa, tantomeno se questa vorrà continuare a pagare dividendi e a investire. Al contrario, molti analisti sostengono che di questo passo Telecom rischia, nel giro di qualche anno, di non riuscire più a rimborsare il proprio debito.

Anche se vista la complessità dell’operazione, a partire dal perimetro industriale, quella parte della rete (doppino di rame) che partendo dalle abitazioni arriva sino al primo armadio, che verrà conferito alla newco, comprensivo del suo debito e dipendenti, richiederà tempi non brevi non prima di 18 mesi, nel frattempo andrà avanti la trattativa con Cassa depositi e prestiti ed eventualmente con altre aziende proprietarie di rete.

L’operazione di scorporo comunque costerà caro: secondo alcune stime http://www.corrierecomunicazioni.it/tlc/21451_100-milioni-il-prezzo-dello-scorporo-telecom-verso-spin-off.htmtra i 90 e 100 milioni. Quanto al valore della newco sarà certamente un terreno di scontro e discussione non facile: secondo alcune indiscrezioni Telecom Italia valuterebbe gli asset scorporati 15 miliardi al netto dei debiti. Una cifra ritenuta decisamente eccessiva da Cdp.

Resta il dubbio che se la Telecom fosse stata un’azienda sana, forse oggi non avrebbe avuto bisogno né di scorporare la rete, né del sostegno della Cdp per accelerare gli investimenti sulle reti veloci. Il processo di scorporo avrà comunque tempi lunghi e andrà ad accavallarsi con la scadenza dei patti di Telco (la holding che controlla il 22,4% di Telecom e che a settembre potrà dare il via alla scissione) e del mandato del management (in carica fino a marzo 2014).

E quindi il nocciolo della questione non è solo delle scelte del management, ma ancora più a monte, è sempre della classe politica italiana, artefice di tutti i problemi nati a seguito delle liberalizzazioni e privatizzazioni a vantaggio del mercato selvaggio, con il risultato di fallimenti a favore della logica azionistica e a sfavore di chi lavora nelle aziende per due lire, coloro i quali dall’oggi al domani si possono trovare senza il lavoro.

Nessuno si preoccupa dei lavoratori e di che cosa rimarrà di una azienda strategica per la nazione che perderebbe una parte rilevantissima del proprio capitale, dopo essere stata spogliata precedentemente di tutti gli immobili di proprietà, l’attuale governo cosa farà per non distruggere quel poco che resta della nostra economia, delle nostre industrie, del nostro lavoro e delle nostre identità e di impoverirci ad arte.

Cosa rimarrà dell’azienda TELECOM ITALIA E DEI LAVORATORI CHE NE FANNO PARTE??

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