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La Polonia espropria i fondi pensione privati

 

Gli ultraliberisti del governo polacco hanno deciso di espropriare del 50% circa il patrimonio della previdenza privata. Obiettivo: ridurre il debito pubblico.

 

Interessante vero? Il meccanismo è molto semplice. I fondi pensione privati hanno comprato soprattutto titoli di stato polacchi, sui quali Varsavia paga interessi e cedole. Riprendendosi i propri “vo” e “btp”, incamera un patrimonio (per quanto cartaceo) ed evita di continuare a corrispondere le cedole annuali o semestrali alle società private. E dire che il debito polacco, appena sopra il 50% del Pil, è oltre la metà di quello italiano…

Bel risparmio, certamente. E naturalmente anche un bel danno per i lavoratori dipendenti che dovevano esser coperti, parzialmente, dalla previdenza privata. Cornuti e mazziati, ovvero prima “persuasi” ad aderire alla pensione complementare per compensare la miseria di quella statale (anche in Polonia sono state fatte privatizzazioni e tagli al welfare), e poi derubati. Unica consolazione, ci rimettono anche i finanzieri privati.

Non stiamo affatto suggerendo un meccanismo simile anche per l’Italia (andrebbe comunque prevista una compensazione diretta, pubblica, per i lavoratori, mentre per i fondi di investimento sarebbe sufficiente un “arrivederci e non grazie”, visto quel che si sono messi finora in tasca), ma è intrigante verificare come – dopo tre decenni di “innovazione liberista” – la partita della crisi si giochi ancora e sempre su due serbatoi primari: si favorisce il “privato” a scapito del “pubblico” o viceversa?

 Nemmeno i liberisti più servi riescono a seguire la prima strada fino in fondo…

 Di seguito, l’articolo terrorizzato con cui IlSole24Ore – organo di Confindustria, quindi anche dei fondi pensione privati – ha dato la notizia.

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Pensioni choc in Polonia: il premier annuncia la nazionalizzazione di quelle private

 di Marco Lo Conte

 E tre: dopo Argentina e Ungheria anche la Polonia decide di nazionalizzare la previdenza privata. L’obiettivo è analogo ai casi precedenti: ridurre il debito pubblico di otto punti percentuali dall’attuale 52,7% del Pil nazionale, scendendo così sotto la soglia del 50%. In questo caso la modalità identificata dal premier polacco Donald Tusk è quella di trasferire nelle casse dello Stato le obbligazioni detenute dai fondi pensione coperti da garanzia pubblica, in particolare obbligazioni sovrane, per un ammontare superiore ai 40 miliardi di euro. In Polonia l’adesione alla previdenza complementare è volontaria: a questi strumenti va il 2,92% della retribuzione dei lavoratori che chiedono di includere anche una parte privana nel proprio piano previdenziale. Quello di Varsavia è un sistema previdenziale “ibrido” con un veicolo pubblico (lo “Zus”) e uno privato.

La mossa comporterà in sostanza il dimezzamento del patrimonio di questi strumenti – visto che i titoli di Stato ammontano al 51,5% degli “asset under management” dei fondi pensione -, riducendo in misura conseguente il ruolo della previdenza complementare nel sistema economico e finanziario della Polonia. L’altra metà del portafoglio dei fondi pensione è investita per buona parte in titoli quotati alla Borsa di Varsavia. Il Ministro delle Finanze polacco Jacek Rostowski ha annunciato alla stampa che prossimamente il governo modificherà la normativa che regola la disciplina di investimento dei fondi pensione, offrendo loro una maggiore possibilità di investire in titoli azionari.

Le critiche dei gestori e la difesa del Governo
L’annuncio ha ovviamente suscitato critiche da parte dell’associazione dei fondi pensione che hanno giudicato incostituzionale l’iniziativa dell’Esecutivo, in quanto la sostanziale annessione di asset non prevede alcuna forma di compensazione da parte dello Stato. Dure le dichiarazioni anche dei principali attori del sistema finanziario polacco: in particolare dalle società di gestione del risparmio, che amministrano i patrimonio affidati loro dai fondi pensione, da Ing ad Aviva, Axa, Generali e Allianz. Complessivamente il sistema della previdenza privata in Polonia pesa per quasi il 20% del Pil nazionale e la stessa Borsa di Varsavia vede i gestori di fondi pensione protagonisti degli scambi. L’indice principale polacco ha iniziato a scendere dopo l’annuncio del governo per chiudere la giornata a -2,6%. «Il peggio che ci si possa aspettare, una decisione che potrebbe far chiudere la previdenza privata» ha commentato Rafal Benecki di Ing Bank Slaski. Da parte sua il Ministro delle Finanze Rostowski ha cercato di rasserenare gli animi anticipando una maggiore flessibilità nelle scelte di portafoglio dei fondi. L’annessione dei propri titoli obbligazionari, ha precisato, visto che fino a ieri il debito polacco «appariva superiore» rispetto alla realtà.

Può accadere anche in Italia?
Come detto la Polonia non è il primo paese che decide di annettere nelle casse pubbliche patrimoni previdenziali privati: le necessità di bilancio hanno portato ad analoghe misure il governo della presidente Cristina Kirchner nel 2008 e due anni il parlamento ungherese ha varato una riforma complessiva del sistema previdenziale che ha innalzato le aliquote contributive e incamerato i portafogli dei fondi pensione nel Fondo Pensionistico Nazionale, con una clamorosa inversione a U rispetto alla decisione di lanciare la previdenza privta, dieci anni prima. La possibilità di individuare forme per annettere al bilancio dello Stato parte se non tutto il patrimonio della previdenza privata, è stata occasione di ipotesi anche nei corridoi dei palazzi italiani: si va dall’annessione dei titoli di debito sovrani, come accaduto in Polonia, alla creazione di vincoli di portafoglio, passando dall’imposizione – per gli strumenti di primo pilastro – di una tassazione da strumento speculativo, non conforme con gli obiettivi previdenziali. Ipotesi respinte da una parte dall’effettivo ruolo della previdenza privata a supporto di una pubblica che progressivamente garantirà pensioni più basse, dall’altra dall’del un sistema.

I fondi pensione complementari italiani, in particolare, presentano costi particolarmente bassi se confrontati con quelli di analoghi strumenti europei e con rendimenti medi che negli ultimi otto anni – crisi compresa – hanno battuto quello dei Tfr, alternativo nelle scelte dei lavoratori italiani. Il fianco scoperto del sistema italiano di secondo pilastro è rappresentato dalla gestione prudente – che impedisce per esempio di investire in paesi considerati nel 1996, epoca della definizione del decreto che stabilisce i criteri di investimento – “rischiosi”; Cina, Brasile, Russia compresi; dall’altra l’alta esposizione in titoli di Stato in particolare italiani, per quasi 30 miliardi di euro: titolo il cui merito di credito è sceso complice i declassamenti delle agenzie di rating, tanto da spingere le autorità di vigilanza ad invitare a prendere “con le pinze” le indicazioni relativi alle soglie minime. E infine, oltre al “pericolo polacco”, sono da considerare le condizioni fiscali dei fondi pensione: divenuti particolarmente convenienti negli ultimi due anni a causa dell’inasprimento dell’imposizione fiscale di altri strumenti utilizzati analogamente come forma di risparmio di lungo termine: da una parte il recentissimo decreto 102 che taglia le detrazione per le polizze Vita e dall’altra l’imposta definita dal decreto Salva Italia dello 0,15% sul totale affidata in gestione a fondi comuni, Etf, gestioni finanziarie.

Può accadere anche in Italia ciò che è accaduto in Polonia e prima in Argentina e Ungheria? I tecnici che in passato si sono esercitati con le ipotesi di cui sopra sanno che un’analoga “annessione” a quella polacca di titoli di Stato porterebbe nelle casse pubbliche solo 30 miliardi: poco se confrontato con gli oltre 90 miliardi di euro di interessi sul debito pagati da Repubblica italiana nel 2012 ai propri sottoscrittori di titoli di Stato. E soprattutto rispetto ai 120 miliardi di euro in asta da qui alla fine dell’anno: una nazionalizzazione verrebbe letta come un mossa disperata per far quadrare i conti, con conseguente impennata dei rendimenti dei Btp. E di conseguenza delle tasse dei contribuenti italiani.

 

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